Quando si parla di migranti e profughi si ha un’ immagine quasi paradisiaca dei Paesi Scandinavi. Accoglienti, con una legislazione assai aperta, integrazione è parola del lessico di uso comune. Ma negli anni, con la crisi economica, gli afflussi sempre più numerosi, il clima estraniante con i suoi lunghi inverni, per non parlare delle difficoltà del loro modello di welfare ad essere attuato, la realtà soprattutto per i norvegesi di seconda generazione è tutt’altro che rosea. Questo Oslo blocco boyz, scritto da Zeshan Shakar, nato in Norvegia da uno dei primi immigrati pakistani nel Paese, pubblicato da Stilo Editrice, è una sorta di romanzo fotografia scritto dall’interno di Stovner, il quartiere dormitorio per i migranti a Nord Est della capitale norvegese.Anche se si tratta di un romanzo è quasi un’analisi sociologica. L’autore, che a Stovner ci è nato e ancora vive, racconta quello che nella sua vita ha visto in prima persona. Laureato in Scienze politiche all’Università di Oslo e in Economia alla Norwegian Business School (BI), Zeshan Shakar ha lavorato per diversi ministeri e uffici pubblici, attualmente è impiegato presso il Comune di Oslo. Questo è il suo romanzo d’esordio, ha vinto numerosi premi ed è oggetto di studio e dibattiti. Dopo aver venduto oltre 150.000 copie, ne è stato tratto anche un’opera teatrale. Protagonisti del romanzo sono Mo e Jamal, due tra i tanti ragazzi di origine straniera che abitano a Stovner. I due accettano di partecipare a un progetto di ricerca che ha lo scopo di indagare sulle condizioni di vita dei giovani che risiedono nella periferia Nord Orientale di Oslo. Partendo da personalità e situazioni familiari molto diverse, i ragazzi si raccontano descrivendo le loro giornate, scandite da lunghe ore di studio o lavori saltuari, feste con altri studenti o spinelli con gli amici, genitori esigenti o assenti. Entrambi si troveranno ad affrontare eventi storici di carattere nazionale e internazionale che influenzeranno pesantemente le loro aspirazioni, costringendoli al confronto tra desiderio di integrazione, senso di emarginazione e fedeltà alle proprie radici. Un romanzo-manifesto dei conflitti sociali, culturali e generazionali che attraversano le banlieue della capitale norvegese e di tutta Europa. Fabio PolettiZeshan ShakarOslo blocco boyztraduzione di Margherita Podestà2022 Stilo Editricepagine 440 euro 18

Per gentile concessione dell’autore Zeshan Shakar e di Stilo Editrice pubblichiamo un estratto dal libro Oslo blocco boyz.Mio padre è arrivato in Norvegia alla fine degli anni ’70. Mia madre alcuni anni dopo. Sono nato a Oslo. All’Ospedale Aker. Vivo da sempre nel quartiere di Stovner. Non conosco il Paese da cui provengono i miei genitori. Per niente. Conosco Stovner. I ragazzi con le felpe e il cappuccio accampati davanti ai palazzoni. Le donne con l’hijab che spingono le carrozzine. I vecchi norvegesi che fumano e giocano a bingo. Questo Stovner. Lo Stovner dei casermoni. Non lo Stovner delle villette. È diverso. A Stovner lo sanno tutti. Lo Stovner delle villette è il posto dove tutti hanno il giardino e vai a rubare le mele. Lo Stovner dei casermoni è invece il posto che, in base alle cartine dei vari quartieri di Oslo pubblicate sull’«Aftenposten», è sempre di colore rosso scuro. Come se una goccia di sangue avesse imbrattato la pagina del giornale. Alta densità di immigrati. Alta percentuale di criminalità giovanile. Alta percentuale di abbandoni scolastici. Alta percentuale di cassieri, inservienti, operatori sanitari, addetti alle pulizie e di chi vive di assistenza sociale. Tre fratelli e due genitori stipati in un trilocale al settimo piano in Tante Ulrikkes vei, con la tappezzeria e i mobili che risalgono agli anni ’80 e un ascensore che si blocca un po’ troppo spesso. Il tipo che abita sotto di noi fa uso di droghe ed è psichicamente instabile, ha un pitbull che mi annusa ogni volta che mi vede. Odio i cani. O il vecchio Svendsen al secondo piano. Quello che apre la porta e si mette a sbraitare che si sente odore di cibo e che le scale non sono state lavate quando andava fatto e, quando i bambini fanno casino, urla dal pianerottolo: «Dateci un taglio, cazzo!» e dichiara a tutti quelli che lo stanno a sentire che «Voterò per Carl». Allora i bambini gli suonano il campanello per fargli dispetto e gli lanciano i sassolini sulla finestra, e lui sbraita con voce sempre più forte e a volte borbotta che «Questo posto è diventato una vera e propria fogna».Davanti al nostro condominio ce ne sono altri, palazzoni più o meno alti color rosa salmone. Al centro di questa cooperativa abitativa c’è la grande scultura di una fiamma. A dire il vero non capisco cosa ci sia di bello in qualcosa che brucia. Il ponte che porta al centro commerciale di Stovner è formato da assi ormai verdi di muffa e con dei buchi sui lati. Oscilla. Parlo sul serio. Quando qualcuno ci corre sopra, lo senti che si muove su e giù come un’onda. Un giorno finirà per crollare, ne sono certo. Al centro commerciale ci sono sempre le stesse facce che fanno sempre le stesse cose. Gente che vive di previdenza sociale, ha molto tempo a disposizione e parla con altri che a loro volta vivono di previdenza sociale e hanno molto tempo a disposizione, oppure giocano con le varie macchinette. Ovunque vai, i giovani se ne stanno lì a ciondolare, spesso al Burger King o davanti al chiosco Mix, e gridano: «Ti spacco, cazzo, giuro che ti spacco». Ecco quello che urlano. Se c’è una cosa che detesto è quando sbraitano così.La fermata dell’autobus e la stazione della metropolitana sono proprio lì accanto. È dove a gennaio hanno sparato con una mitraglietta a tre tipi. Uno è rimasto paralizzato dalla vita in giù. Ai miei genitori non piace che la sera mi trovi nei paraggi. Neanche a me. Il danese che lavora al chiosco Narvesen all’ingresso della metro è sempre incazzato e quando ti dà il resto lo lancia in modo che le monetine rimbalzino sul bancone. A volte ti cadono davanti ai piedi e le devi raccogliere. Come se ti dovessi inchinare davanti a lui. Le porte della stazione sono in plexiglas e completamente cosparse di tagging. Non solo pennarelli e vernice spray, alcuni hanno usato il coltello per incidere il vetro. Le pareti, giù all’altezza dei binari, sono sempre state coperte di graffiti, ma all’inizio degli anni ’90, con lo spirito di una vera comunità multicolore, ci avevano dipinto sopra grandi immagini raffiguranti il profilo di bambini provenienti da tutti gli angoli del mondo. Adesso sono tutte sbiadite e screpolate. Si sente puzza di fumo e di piscio, soprattutto la domenica mattina, ma a prescindere dall’odore, George rovista sempre nella spazzatura alla ricerca di bottiglie di plastica che può riportare al supermercato per incassare il deposito del vuoto a rendere. Con il braccio infilato fino al gomito. Per me è raccapricciante soltanto assistere alla scena.È questo ciò che penso. A volte. O a dire il vero, spesso. Sono negativo. Lo so. È solo che… faccio fatica a non esserlo…Però, un tempo Stovner mi piaceva anche. Da bambino. Sulle cartine non c’erano gocce di sangue. I palazzi erano abitazioni. Il tagging alla stazione della metropolitana erano disegni. Chi riceveva il sussidio erano vicini. Tutti i bambini dalla pelle scura, erano amici. Anche quelli bianchi. Se guardo gli annuari dei tempi delle elementari, posso indicarne parecchi tra i maschi della classe. Christian. Stian. André, Thomas A. e Thomas N. A scuola i bambini dell’arcobaleno avrebbero vissuto insieme. C’erano i giorni dedicati ai cibi provenienti da ogni parte del mondo. Visitavamo moschee, chiese e templi. Giocavamo a calcio, tutti insieme, a Rommensletta, e alla fine bevevamo l’acqua più buona del mondo dai rubinetti della sede della polisportiva Rommen SK e mangiavamo i lamponi che crescevano lungo la scarpata che dava sul centro giovanile Fossumklubben. Se avevamo i soldi, compravamo con una moneta da dieci corone venti gomme da masticare Bugg in uno dei supermercati della catena Vivo, che oggi non esiste più. Me lo ricordo. Compleanni festeggiati con tavolate addobbate da festoni di carta crespa multicolori, i bicchieri di carta con l’immagine delle Tartarughe Ninja e le torte di cioccolato cosparse di polvere di noce di cocco. In inverno era il momento delle palle di neve e della punta delle dita congelate, giocavamo a ‘Re del Mucchio’ quando ci arrampicavamo sui grandi ammassi bianchi di neve spalata, cercando di respingere gli altri contendenti, o ci rintanavamo a casa André a giocare con la Nintendo fino a quando eravamo costretti ad andarcene perché doveva cenare.Credo che fosse così. Diverso. Un altro Stovner. Un’altra Norvegia. E io ero un bambino. Poi le cose sono cambiate, lo so. Eppure, quanto avrei voluto che tutto questo fosse durato un po’ di più.© Gyldendal Norsk Forlag 2017© 2022 Stilo Editrice