L’abbrivio è di quelli classici. C’è una clandestina eritrea, Nazret, che affronta il mare su un barcone. Il barcone si rovescia e lei finisce spiaggiata sull’Isola dei Conigli di fronte a Lampedusa. Solo questa è già un’avventura. Ma in questo Noi due, clandestine, che Susanna Garavaglia ha pubblicato con l’editore Bookabook, la tempesta arriva dopo. Arriva quando Nazret finisce a Milano City Life, quartiere fighetto con affitti stratosferici, dove questo romanzo che non t’aspetti prende tutta un’altra piega. Diventa romanzo psicologico e pure un thriller. Il primo aspetto è pressoché inedito. Delle cicatrici lasciate sul corpo dei migranti, nei loro viaggi tra deserti e carceri libiche, tra trafficanti coi barconi e vedette della Giardia Costiera, delle Guardie Costiere di mezzo Mediterraneo, sappiamo quasi tutto. Ma ci sono altre cicatrici, più profonde, che segnano talvolta per sempre psiche messe a dura prova. C’entrerà di sicuro la formazione olistica di Susanna Garavaglia, autrice di altri libri sull’argomento. Ma come in un gioco di scatole cinesi, anche questo è solo un aspetto, un piano diremmo, di questo romanzo. Dentro c’è altro, tanto altro. A partire dallo sguardo narrativo di una custode che vede e talvolta capisce prima di tutti. Poi c’è Viola, la volontaria cha ha accolto Nazret, l’ha seguita, così da vicino fino ad innamorarsene. C’è lo studioso di manipolazione mentale, un guru lo definiremmo, che appare e scompare in incontri non sempre facili, tantomeno scontati. C’è lo psichiatra che segue Nazret nell’impresa quasi impossibile di ricucire certe ferite della mente, più profonde di quelle del corpo. E c’è Scradford l’amaricano che vorrebbe essere creduto quando racconta degli esperimenti simili a torture a cui si sottopongono cavie umane, nel profondo di una città sotterranea sotto il Golfo di Aden, alla ricerca dell’eterna giovinezza, un mito inossidabile nei secoli che oggi, nella società dell’apparire dove conta più la forma della sostanza, diventa una necessità quasi come respirare. L’americano è alla ricerca di una donna eritrea che inconsapevole porta nel suo corpo un microchip in grado di svelare l’insvelabile. Che sia proprio Nazret la donna con i dati sensibili elettronicamente tatuati addosso? Il finale, ça va sans dire, non saremo certo noi a svelarlo. Ma facciamo nostro l’avvertimento di Susanna Garavaglia, l’autrice di questo libro, quando afferma che nel suo romanzo «niente è come sembra». Fabio Poletti
Susanna Garavaglia Noi due, clandestine 2022 Bookabook pagine 335 euro 17 ebook 6,99Per gentile concessione dell’autrice Susanna Garavaglia e dell’editore Bookabook pubblichiamo un estratto dal libro Noi due, clandestine.
No, grazie, detesto le caramelle, dottor Balbi, le detesto. Le caramelle. Tic tac. Vuole sapere ancora che rapporto c’è tra noi due. Tra me e lei. Lei Nazret, intende? Che rapporto c’è? Ma glielo ho già detto, si sente amata solo da me. Solo da me si sente amata. Cosa puoi fare tu per me, mi ha chiesto al Centro di Accoglienza dopo il naufragio da cui si è salvata, è stato un miracolo, un miracolo è stato. Un miracolo. Le altre donne al colloquio erano spaventate e confuse, lei era a suo agio. A suo agio. Spero che lei possa aiutarmi, mi ha detto senza giri di parole. Vedrò di fare quello che posso, le ho risposto. Quello che posso. Le confesso dottore che in quel momento non mi andava proprio di occuparmi di lei, non mi andava di occuparmene. Di lei, di quella clandestina privilegiata, in posa al momento del naufragio, quella delle mostre fotografiche. Mi dispiaceva per i suoi problemi, mi dispiaceva, ma ne sento tante di storie simili con il mio lavoro. Ne sento tante di storie. È il mio lavoro, dottore, pieno di storie. Di storie. Io sono una volontaria e mi occupo dei clandestini. E poi mi ha detto che anche i suoi fratelli non sono mai tornati ad Asmara, li hanno ingannati e spediti a fare la guerra. A fare la guerra ma nessuno ha mai più dato loro notizie, sono dispersi. Dispersi. Sua madre è morta, mi ha detto, ma da poco, da quando lei è arrivata in Italia. È morta. Non l’ha mai più vista, non è nemmeno andata al suo funerale. Al suo funerale. Non ci è andata. Cosa mi ha spinto nel mondo di Nazret, mi chiede, dottore? È lei che mi ha cercata. Mi ha cercata. Lei. Voleva una vita diversa, io gliel’ho data, no? Mi ha chiesto: deciderai tu la mia sorte? La deciderai tu, Viola? Ma io non decido niente, mi limito a scrivere su un modulo le mie considerazioni se accoglierli come rifugiati politici o ricollocarli in altri Paesi. Non decido io. Io non decido. Dottore quando Nazret mi ha chiesto dove l’avremmo mandata le avevo risposto che ancora non lo sapevo. Io non lo sapevo. Sei pronta? Le ho chiesto. Devo farti qualche domanda. E comunque non sarò io a decidere. Non decido. Senta, dottore, me lo chiede sempre e io le rispondo sempre allo stesso modo, io e Nazret siamo amanti, devo dirglielo così, devo usare la parola amante perché la gente altrimenti non capisce. Amanti, siamo amanti. Amanti. E, le dico la verità, qualche volta anche lei, dottore, mi sembra non capisca, mi fa sempre le stesse domande. Le stesse. Ma quella parola, amante, è vaga e non rende l’idea di quanto ci sia tra noi. È una parola vaga, amanti. Saremmo amanti anche se non avessimo mai fatto sesso. Senza sesso. Amanti comunque. Senza sesso. Amanti. Tic tac. Va bene, continuo a raccontare. Ma è proprio necessario il tic tac così fastidioso di questo metronomo? Se lo sento ancora un po’ scoppio. Scoppio. Qualche volta quando le parlo in questo modo non so più chi sia io e chi sia Nazret. Forse perché siamo amanti. DUE E adesso beccatevi me che, con rispetto parlando, ho lo scilinguagnolo sciolto, perché da qui inizia la storia, una come tante, forse dirà qualcuno alzando le spalle e sbuffando un po’. Per me che l’ho vissuta da vicino e compaio qua e là, è venuto il tempo di troncare gli indugi e iniziare a raccontare, anche se non è stato facile mettere insieme i pezzetti di vita che ho afferrato. Niente mi sembrava mai abbastanza perché – ecchecavolo! – con rispetto parlando, non volevo andare per mare senza biscotto, insomma non mi andava di iniziare un’impresa così, narrare una storia così complicata, senza l’attrezzatura adatta, senza le notizie fondamentali. Si sa, ciò che mentre viviamo ci pare chiaro ed evidente, quando cerchiamo di ricostruirlo ci fugge via, lasciandoci lì come quelli della mascherpa. Fine della storia. Punto. Non si trattava di attaccare il campanello al collo dei gatti, non è stata un’impresa impossibile, anche se confesso di avere sudato sette camicie perché ho raccolto tutto quello che trovavo, basandomi su quanto ho visto di persona e ciò che via via mi veniva raccontato e su quello che… be’, le solite cose e comunque non posso mettere il carro innanzi ai buoi, vi rovinerei il racconto. E io ho molta paglia in becco, come si suol dire, conosco cose che molti non sanno e poi ho messo in fila qualche parola, qualche segreto, qualche immagine rubata qua e là, spesso facendo orecchie da mercante e ci ho anche aggiunto qualche mia illazione personale, tutti ingredienti che, soli, servirebbero a condire non più di una mezza verità. Messi insieme, invece, sono abbastanza per farci almeno un’idea sulle vicende di questa clandestina eritrea arrivata a Milano dopo molte peripezie. E adesso lo dico, certo, io sono una privilegiata, il mio punto di osservazione, chapeau, garantisce qualche briciola di verità perché la vedevo tutti i giorni entrare e uscire. E sapete perché? Ero la custode della casa di Nazret e, nomina sunt consequentia rerum, divento automaticamente anche la custode di questo tratto della sua vita. Fine della storia. Punto. E ora sto per scagliare una freccia che andrà dritta dritta al centro del bersaglio. Quale bersaglio, vi chiederete voi. Non sto certo a ciurlare nel manico e svuoto il sacco, parlo del momento esatto per capire lo strano comportamento della nostra clandestina e degli altri personaggi coinvolti nella sua storia. Sarà difficile inquadrare le sue vicende senza sentirsi all’inizio un po’ sperduti qua e là, quasi dispersi nella narrazione, con i suoi piani diversi che s’intrecciano e che s’impastano. Ma voi non preoccupatevi, respirate profondamente, rientrate in voi stessi nella magia senza tempo e fate spazio alla storia. Non dovete uscire da voi per andare a cercarla, è la storia che inizierà ad abitarvi, con tutti i suoi personaggi. Ci ho pensato a lungo e – ecchecavolo! – ora sono certa che il momento esatto da cui partire sia quello che la vede in un appartamento milanese nel quartiere più ricercato del momento, la vecchia Fiera ora chiamata City Life, convocata dal padrone di casa per una conferenza stampa un po’ particolare, o meglio invitata lì per organizzare un’intervista. Ma la casa è piena di giornalisti che lui sta intrattenendo, con rispetto parlando, tutto nudo, nella vasca da bagno. La vedo con chiarezza davanti a me, mentre sta fissando quell’uomo che tiene una mano avviluppata al bordo della vasca, l’indice dell’altra nell’ombelico. Gli occhi di questo singolare padrone di casa, i suoi occhi dall’espressione bizzarra pronta a spaccare gli schemi, sono semiaperti o semichiusi, dipende dai punti di vista, insomma le solite cose. © 2022 Bookabook