Ci vuole un bel coraggio per essere Nancy Porsia che dal 2011 racconta i teatri di guerra di mezzo mondo. Il suo è uno sguardo tutto femminile, non scevro di una certa ironia, quando definisce i reporter di guerra come lei «avvoltoi perché in qualche modo campiamo sulle disgrazie altrui». E la Libia del dopo Gheddafi, della guerra civile e dei trafficanti di esseri umani che traghettano i migranti verso il loro destino, spesso in fondo al mare, è l’emblema perfetto delle disgrazie umane. Mal di Libia, si chiama l’ultimo reportage di Nancy Porsia, pubblicato da Bompiani. Nancy Porsia è una giornalista italiana indipendente esperta di Medio Oriente, Nord Africa e Corno d’Africa. I suoi lavori da Siria, Libano, Iraq, Libia, Tunisia, Eritrea e Etiopia sono stati pubblicati da emittenti e giornali nazionali e internazionali, tra cui RAI, Sky, L’Espresso, Panorama, la Repubblica, Il Fatto Quotidiano, ARD, The Guardian, el País e Al Jazeera. È autrice dell’inchiesta sulla collusione tra la guardia costiera libica e i trafficanti di esseri umani pubblicata nel 2016. Dal 2017 lavora anche come consulente e ricercatrice per università e istituti privati. Nancy Porsia arriva per la prima volta a Tripoli il 4 novembre 2011, due settimane dopo la morte di Muammar Gheddafi, con la netta sensazione di aver mancato un appuntamento con la Storia. Per un anno viaggia tra Nord Africa, Europa e Medio Oriente alla ricerca di storie da raccontare, ma poi è a Tripoli che ritorna e decide di stabilirsi, diventando l’unica giornalista italiana di base in Libia a scrivere di un Paese che, giorno dopo giorno, diventerà anche il suo. Da lì racconta i grandi intrecci della politica, tra colpi di stato e interferenze dei servizi, gli sviluppi della guerra civile, le dinamiche complesse tra rivoluzionari e nostalgici. Fino all’ultima tragedia, quella dei richiedenti asilo e dei migranti, che a suon di dollari – spesso tutto quello che hanno – si comperano un biglietto per l’Europa e, molto spesso, per il fondo del mare. Lo sguardo di Nancy Porsia non è mai asettico, come quando racconta dell’incontro con Omar il trafficante, di cui pubblichiamo un esteatto dal libro. Ed è un bene, perché non sei un vero watchdog, un reporter di guerra, se non ti cali anima e corpo nelle storie che devi raccontare. E poi si sa, anche gli avvoltoi hanno un’anima. Fabio PolettiNancy PorsiaMal di LibiaI miei giorni sul fronte del Mediterraneo2023 Bompianipagine 288 euro 18 ebook euro 9,99

Per gentile concessione dell’autrice Nancy Porsia e dell’editore Bompiani pubblichiamo un estratto dal libro Mal di Libia.Omar è un muharrib, parola che in arabo significa contrabbandiere. Muharrib qui a Zwara è una parola chiave e priva di connotazione negativa: il contrabbando è sempre stato vissuto come atto politico di sfida al regime che sin dagli anni settanta ha attuato una politica di repressione di Amazigh, Tuareg e Tabu, le tre principali minoranze etniche. Muharrib qui è l’uomo d’affari che vive di commercio di frontiera, con la Tunisia via terra e con l’Europa via mare. Quando negli anni novanta la Libia era finita sotto embargo statunitense perché considerata un paese canaglia, da Abu Kammash entravano zucchero, farina, banane e tutto quello che negli spacci della Libia socialista non si trovava. I muharribin hanno iniziato a lavorare con i migranti alla fine degli anni novanta, quando Zwara piano piano andò affollandosi di gente che proveniva dall’Africa dell’Ovest e subsahariana, dal Corno d’Africa e anche dall’Asia.Dopo un’ora passata a parlare di guerra, degli zintan e delle milizie di Misurata, trovo il coraggio di chiedere a Omar se possiamo fare una prima intervista. Dal suo sorriso penso che avrebbe accettato anche un’ora fa. Sistemiamo la videocamera. Lui mi guarda negli occhi e mi dice solo: “Fai quello che vuoi. Mi fido.” È completamente a suo agio: beve una Redbull mentre rolla una sigaretta contenente hashish. Il posacenere, giallo a forma di dado, è strapieno di cicche. “Che lavoro fai?” gli chiedo per cominciare e lui senza indugi mi risponde: “Sono un capitano, capitano di navi.” “Quanti ne hai fatti partire?” Con un cinismo disarmante mi risponde: “E chi se lo ricorda. A migliaia. Africani, asiatici, siriani. Pure i libici farei partire se mi pagassero.” Prende una mappa nautica. “Guarda, tra Zwara e Lampedusa le acque sono molto basse e le correnti deboli. Per questo è la città più sicura da cui partire.”Quest’uomo, laurea in sociologia, progressista in merito a questioni di genere, sorriso scanzonato, mi sta quasi simpatico, ma cerco di scacciare il pensiero perché per me è intellettualmente e politicamente imbarazzante: io che da anni mi batto per i diritti dei migranti, io che ho urlato in piazza il diritto degli uomini e delle donne al riscatto dalle violenze dei trafficanti, io che cercavo un trafficante per guardare dritto negli occhi uno di quegli uomini senza scrupoli che ha mandato a morire Mohamed e Ahmed, non posso empatizzare con lui.Munizioni Copyright © 2019 Roberto Saviano© 2023 Giunti Editore S.p.A. / Bompiani