Fino al XIX secolo Sahel era una parola pressoché sconosciuta. Saranno i colonialisti francesi, in un processo di semplificazione arbitrario, a stabilire un’omogeneitá sociale, culturale e politica, in quella fascia di territorio africana che si incunea tra il Sahara a Nord e la Savana a Sud. Quanto ci sia di arbitrario nell’indicare i confini in Africa, basta guardare una cartina del Nord del continente, con quelle frontiere che sembrano tirate con il righello da uno studente svogliato. Eppure, come ci racconta Jean-Loup Amselle, in questo L’invenzione del Sahel pubblicato da Meltemi editore, la eco nefasta di quella suddivisione artificialmente perpetrata dai molteplici interessi economici dell’uomo bianco, si sente ancora oggi.
Secondo Jean-Loup Amselle, tra i massimi antropologi contemporanei, a questa categoria geografica è stata associata una questione socio-culturale e politica del tutto arbitraria: il Sahel non esiste e nasce esclusivamente all’interno del contesto coloniale francese. Un tempo il territorio era attraversato dagli imperi Ghana, Mali e Songhai, che mettevano in comunicazione l’Africa subsahariana con le coste del Mediterraneo. Sulle rotte commerciali di Timbuctù, Djenné e Kong viaggiavano le carovane che trasportavano l’oro in Europa e gli schiavi in direzione del mondo arabo-musulmano. A questo asse Nord-Sud, con la colonizzazione francese del continente africano, se ne sovrappose un altro da Oriente a Occidente. Secondo Jean-Loup Amselle, è proprio a questa cesura storica, politica e culturale che vanno imputati i problemi che interessano oggi il Sahel e tutto il continente africano. Jean-Loup Amselle, antropologo e Directeur d’études all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, ha svolto gran parte delle sue ricerche in Nuova Guinea, Mali e Costa d’Avorio, affrontando i temi dell’identità, del multiculturalismo e del post-colonialismo. Fabio Poletti Jean-Loup Amselle L’invenzione del Sahel Narrazione dominante e costruzione dell’altro prefazione di Marco Aime traduzione di Maria Elena Buslacchi 2023 Meltemi Editore pagine 174 euro 16Per gentile concessione dell’autore Jean-Loup Amselle e dell’editore Meltemi pubblichiamo un estratto dal libro L’invenzione del Sahel.
Come tutte le categorie – etniche e geografiche, per esempio – che si applicano all’Africa, anche il Sahel sembra essere qualcosa di scontato e naturale. Se ripensiamo alle carestie e alle siccità degli anni Settanta, alle rivolte e alle insurrezioni che si sono verificate in tutta l’area per decenni, il Sahel ci appare innanzitutto come una regione pericolosa. Forse perché si tratta di una categoria instabile e ibrida, a metà tra deserto e savana, tra nomadismo e sedentarietà, tra popolazioni “bianche” (mori, tuareg), “rosse” (peul) e “nere” (bambara, wolof, mossi, ecc.), tra animismo e Islam. È quindi impossibile dare una definizione rigorosa del Sahel, dei suoi limiti o di ciò che lo caratterizza. Si tratta di una nozione del tutto arbitraria che deve la sua esistenza solo al consolidamento a cui è stata sottoposta, come vedremo, da alcuni studiosi coloniali e successivamente dagli intellettuali post-coloniali. Inoltre, sebbene il Sahel sia un termine di origine araba, che viene dal nord, non esiste un termine equivalente nelle lingue locali del Mali, tra cui la lingua banmana. Se si volesse definire il concetto geografico di Sahel in termini locali, almeno per il suo limite meridionale, si potrebbe citare il fatto che in epoca precoloniale le carovane di dromedari provenienti dal nord si fermavano a Bamako, perché gli animali si sarebbero danneggiati gli zoccoli se si fossero avventurati più a sud. Il Sahel, quindi, sarebbe una continuazione del deserto di sabbia – il Sahara – contrapposto alla savana, caratterizzata da piste pietrose di laterite. L’INVENzIONE DEL SAHEL Storicamente questa categoria instabile, meticcia e inconsistente è stata vista come la patria dei grandi imperi del Ghana, del Mali e del Songhay, formazioni politiche che fungono da collegamento tra la foresta e la savana da una parte e il Sahara e il Maghreb dall’altra. Questo asse nord-sud, corrispondente alla rotta commerciale Timbuctù, Djenné e Kong, svolgeva un ruolo centrale nell’approvvigionamento dell’oro in Europa prima dell’invasione dell’America e poi nel trasporto degli schiavi verso il mondo arabo-musulmano. L’asse meridiano fu interrotto solo dalla conquista francese che, come vedremo, lo sostituì con un asse longitudinale ovest-est. L’ipotesi di questo libro è che i problemi dell’attuale Sahel siano in gran parte il risultato di questa artificiosa stortura. Capitolo primo Il Sahel, una categoria coloniale francese Prima di chiederci che cosa significhi il termine Sahel, dovremmo chiederci che cosa si intenda con il termine Africa. Per darci una risposta, dobbiamo tenere presente che i continenti, così come li conosciamo oggi – le Americhe, l’Asia, l’Oceania, l’Europa e l’Africa – hanno una storia relativamente recente, che deriva dalla sostituzione della vecchia concezione di un mondo “diviso in quattro” con la suddivisione in continenti. L’invenzione dell’Africa L’Africa, così come la conosciamo oggi, è il prodotto della circumnavigazione operata dai portoghesi alla fine del XV secolo1. Fu il portoghese Vasco da Gama a circumnavigare per primo l’Africa, doppiando il suo estremo meridionale, il capo di Buona Speranza: con il suo viaggio, è stato il primo a delimitare il continente nei suoi confini attuali. Prima di lui, l’Africa era l’Africa romana, quella del III secolo d.C., che si estendeva dall’oceano Atlantico fino al di là delle rive dei Sirti (la Libia) e meritava l’elogio di Plinio il Vecchio, per cui “c’è sempre qualcosa di nuovo che arriva dall’Africa”. Il termine ha designato, in seguito, l’attuale Tunisia, che era chiamata Ifriquiya. Poi i colonizzatori europei hanno diviso il continente in aree secondo la latitudine (torneremo su questo punto più avanti): l’Africa del Nord o Maghreb (Occidente in arabo), il Sahara (deserto in arabo), il Sahel (riva in arabo) e l’Africa nera o subsahariana. Secondo questa suddivisione, nel Maghreb vivevano popolazioni alfabetizzate, arabofone, appannaggio quindi degli orientalisti, mentre l’Africa nera o subsahariana era abitata da società ed etnie completamente immerse nell’oralità, appannaggio quindi dell’etnografia. Quest’idea era erronea, perché l’Islam era penetrato nell’Africa subsahariana già dal X secolo, e ancora prima in Africa orientale, il che aveva permesso la diffusione di una cultura letteraria in arabo, in particolare a Timbuctù e a Djenné. È solo in tempi recenti che questa suddivisione fra Africa bianca e Africa nera è stata abolita nel mondo della ricerca e che le relazioni plurisecolari tra il Nord e il Sud dell’Africa sono state ristabilite, in particolare per quanto riguarda la circolazione delle merci (oro, schiavi) attraverso il Sahara, la circolazione delle idee, delle religioni o delle istituzioni. Oggi il Sahara appare, storicamente, più come una regione di passaggio che come un ostacolo. È vero però che il Maghreb e l’Africa subsahariana hanno subito le conseguenze della schiavitù in misura completamente diversa. Innanzitutto, la tratta degli schiavi, prima dell’invasione dell’America nel 1492, era diretta esclusivamente verso il Maghreb, il mondo arabo-musulmano e l’Europa. È questione ancora dibattuta il confronto fra il commercio trans-sahariano e quello transatlantico: se la “caravella” abbia prevalso sulla “carovana” o viceversa resta un nodo irrisolto, e in ogni caso dipendente da un dibattito intrappolato nell’islamofobia. © 2023 – Meltemi Press Srl