Da schiava a donna libera. È la storia di un viaggio nel tempo questo L’autobiografia di miss Jane Pittman, scritto da Ernest J. Gaines, pubblicato per la prima volta nel 1971 negli Stati Uniti e ora tradotto in Italia dall’editore Mattioli 1885. Scritto sotto forma di intervista alla ex schiava oramai ultracentenaria, il libro attraversa un’intera era: dai campi di cotone all’abolizione della schiavitù dopo la Guerra di Secessione persa dai Sudisti, dalla Depressione del ‘29 alla Prima e Seconda Guerra Mondiale, dal conflitto nel Vietnam alle battaglie per i diritti civili. Temi che sono nel Dna di questo scrittore afroamericano, nato in Louisiana negli Anni Trenta, finito a lavorare nei campi di cotone da bambino fino al riscatto sociale con la laurea a Stanford. L’esordio è nella letteratura per bambini ma poi Ernest J. Gaines si farà strada con romanzi sempre più complessi, spesso finiti sul grande schermo, e che nel tempo gli sono valsi il National Book Circle Awards e il Premio Dos Passos. Il grande successo arriva con questo L’autobiografia di miss Jane Pittman, che gli porta grande notorietà dentro e fuori gli Stati Uniti, fino alla sua morte nel 2019 e anche oltre. L’epopea di Jane Pittman si apre quando lei, ancora bambina, dieci anni appena e già orfana, incontra per la prima volta un soldato Nordista che la tratta da essere umano e non da schiava. A seguito del XIII emendamento della Costituzione che abolisce il possesso dei lavoratori dei campi da parte dei grandi proprietari terrieri, gli ex schiavi si trovano ad affrontare per la prima volta i problemi legati alla finalmente conquistata libertà. Gli inizi non sono facili. Non avevano lavoro, non avevano una casa, non sapevano leggere e scrivere perché per generazioni non avevano fatto altro che servire l’uomo bianco, lavorare nelle loro piantagioni, vivere nelle baracche a loro destinate e mangiare il cibo che gli era riservato. Ma poi prevale il desiderio della libertà e la dignità di questi uomini e donne, mai piegati anche se in catene. Il viaggio verso l’Ohio della piccola Jane Pittman è un viaggio dell’intera comunità afroamericana che si appropria della propria identità, della propria cultura, senza mai dimenticare le radici. Un viaggio che attraversa il Paese e i decenni e che non è finito ancora oggi, quando la comunità afroamericana è costretta a difendere i propri diritti dall’odio e dal razzismo che imperversano negli Stati Uniti e non solo. Fabio Poletti Ernest J. Gaines L’Autobiografia di Miss Jane Pittman traduzione di Nicola Manuppelli 2022 Mattioli 1885 pagine 304 euro 18
Per gentile concessione dell’editore Mattioli 1885 pubblichiamo un estratto dal libro L’Autobiografia di Miss Jane Pittman. Eravamo nel campo a raccogliere il cotone quando sentimmo suonare la campanella. Avevamo paura di smettere di lavorare: il sole era troppo alto in cielo perché potessimo rientrare. Ma la campanella continuava a suonare e suonare; semplicemente suonava e suonava. Il tizio che ci dava gli ordini, un vecchio negro grande e grosso, con il viso tondo e coperto di sudore, continuava a voltarsi verso la casa. Ogni volta che suonava la campanella si voltava. Ci disse di continuare a lavorare e che sarebbe andato a vedere di cosa si trattava. Lo guardai salire fino alla casa, poi lo vidi tornare agitando il braccio. Ci caricammo le zappe sulle spalle e attraversammo il campo. Il tizio ci disse che il padrone ci voleva tutti a casa. Non gli domandammo per quale motivo, non ne avevamo idea, semplicemente andammo lassù. Il padrone era fermo sotto il portico con in mano un foglio di carta. “Ci siete tutti?” chiese. “Anche i bambini negli alloggi? Voglio qui tutti quelli che ce la fanno a stare in piedi.” Le persone risposero che c’eravamo tutti. “D’accordo, ho una notizia da darvi” disse il padrone. “Siete tutti liberi. Mi sono appena arrivati gli ordini esecutivi e dicono che siete liberi quanto lo sono io. Potete restare e lavorare percependo dei contributi, perché io non posso pagarvi niente, dal momento che io stesso non ho più niente da quando gli yankee sono passati di qui l’ultima volta. Potete restare tutti o andarvene. Se rimarrete, prometto che sarò giusto come sono sempre stato con tutti voi.” La vecchia padrona e la giovane padrona erano ferme sulla porta a piangere, e proprio dietro di loro anche i negri che la- voravano nella casa stavano piangendo. Per un po’, dopo che il padrone ebbe finito di leggere il Proclama, le persone non emisero alcun suono. Stavano lì a guardarlo come se stessero ancora ascoltando le sue parole. “Bene, questo è tutto” disse lui. Poi all’improvviso qualcuno gridò e tutti iniziarono a cantare. Semplicemente cantavano, ballavano e battevano le mani. Vecchi che si pensava non fossero nemmeno in grado di camminare iniziarono a saltellare tutto intorno come galli selvatici. Ecco che cosa cantava la gente: “Siamo liberi, liberi, siamo liberi siamo liberi, liberi, siamo liberi siamo liberi, liberi, siamo liberi oh, Signore, siamo liberi.” Semplicemente cantare e battere le mani, cantare e battere le mani. Semplicemente parlarsi l’uno con l’altro e darsi pacche sulla schiena. Il tizio sudato che ci dava gli ordini nei campi, lui non partecipò ai festeggiamenti. Tutti gli altri cantavano e battevano le mani, e lui se ne stava lì a guardare il padrone. Poi si avvicinò al portico e disse: “Padrone, se siamo liberi di andarcene, dove dobbiamo andare?” “Prima che il padrone potesse aprire bocca, dissi: “Dov’è il nord? Indicatemelo e vi mostrerò dove andare.” Il guardiano nero disse: “Zitta. Sei solo un problema tu. Non ho avuto altro che guai da te da quando sei arrivata in questo campo.” “Se io sono solo un problema, tu non sei proprio niente” dissi. E prima che avessi il tempo di accorgermene, mi ritrovai stesa a terra con la bocca indolenzita. Il padrone mi fissò e disse: “Non posso farci niente. Ora sei libera e non mi appartieni più. Devi cavartela da sola.” Balzai in piedi e affondai i denti nella mano di quel negro, che era ruvida come le pinne di un barracuda. Lui riuscì a liberarsi e mi mollò un altro ceffone su un lato del viso. Questa volta quando mi alzai nuovamente, afferrai la zappa che avevo portato dal campo. Un vecchio che chiamavamo tutti zio Isom mi si piazzò davanti. “Aspetta” disse. “Non aspetto affatto” dissi. “Negro, di’ le tue preghiere. Signore, dammi la forza.” “Ho detto aspetta!” disse zio Isom. “Quando dico aspetta, intendo aspetta.” Appoggiai la zappa a terra, ma tenni gli occhi fissi sul guardiano per tutto il tempo. Mi toccai le labbra con la mano, ma non riuscivo a sentire nulla. Non sanguinavano, ma erano completamente intorpidite. Quando zio Isom fu sicuro che non stessi per colpire quel negro con la zappa, si rivolse al padrone. “Gli ordini dicono che possiamo andare o restare, padrone?” gli chiese. “No, dicono solo che siete liberi, Isom” disse il padrone. “A loro non importa cosa fate o dove andate. Sono io a dire che potete restare tutti se volete. Se restate, vi darò un contributo corrispondente a quello che guadagnerete lavorando e lavore- rete quando vorrete. Non dovrete lavorare la domenica a meno che non vogliate. Potete andare in chiesa e starvene lì e cantare tutto il giorno se volete. Siete liberi come lo sono io, Isom.” “Padrone” disse zio Isom, “possiamo radunarci un attimo negli alloggi per discutere fra di noi?” “Di che cosa intendete discutere, Isom?” disse il padrone. “Se dobbiamo andarcene o restare, padrone” disse zio Isom. “Certo, siete liberi come me” disse il padrone. “Potete prendervi tutto il tempo che volete per decidere. Basta che non decidiate di dare fuoco a questo posto.” Titolo originale The Autobiography of Miss Jane Pittman © 1971 by Ernest J. Gaines © 2022, Mattioli 1885