Chissà perché nell’immaginario collettivo nostrano alla parola lager si accostano subito lo sterminio degli ebrei ed Adolf Hitler. L’Italia che pure varò le leggi razziali nel 1938, si distinse anche per il sistematico sterminio delle popolazioni slave, dopo l’invasione della Jugoslavia da parte delle forze dell’Asse. L’idea di Benito Mussolini, con l’appoggio del cancelliere tedesco, era quello di sostituire la popolazione locale con gli italiani. Una sostituzione etnica non dissimile da quella che stava facendo la Germania nell’Europa dell’Est.
Arbe-Rab, Gonars, Visco, Monigo, Renicci, Cairo Montenotte, Colfiorito, Fraschette di Alatri sono alcuni dei nomi dei campi in cui furono deportati sloveni, croati, serbi, montenegrini e in cui morirono di fame e malattie migliaia di internati. Una tragedia rimossa dalla memoria nazionale e raccontata in questo libro di Alessandra Kersevan, Lager italiani, pubblicato dall’editore Nutrimenti, anche grazie ad una importante documentazione fatta di foto, lettere e testimonianze dei sopravvissuti. Ricercatrice storica, Alessandra Kersevan da anni si dedica allo studio della storia del Novecento delle terre del confine orientale. Nel 1995 ha pubblicato Porzûs. Dialoghi sopra un processo da rifare, studio su una delle più controverse vicende della Resistenza italiana; nel 2003 ha svolto per conto del Comune di Gonars una ricerca sul campo di concentramento istituito in quel paese del Friuli, Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943. Nel 2005, per conto della Commissione europea e del Comune di Gonars, è stata autrice del documentario The Gonars Memorial 1942-1943: il simbolo della memoria italiana perduta. È coordinatrice della collana “Resistenzastorica” delle edizioni Kappa Vu. Il libro è uno spaccato approfondito dei campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi tra il 1941 e il 1943. L’orrore di un sistema concentrazionario che portò all’internamento di oltre centomila sloveni croati serbi montenegrini di cui molte migliaia morirono di fame e di malattie. Dopo l’aggressione nazifascista alla Jugoslavia, fra il 1941 e l’8 settembre del 1943, il regime fascista e l’esercito italiano misero in atto un sistema di campi di concentramento in cui furono internati decine di migliaia di jugoslavi: donne, uomini, vecchi, bambini, rastrellati nei villaggi bruciati con i lanciafiamme. Lo scopo di Mussolini e del generale Roatta, l’ideatore di questo sistema concentrazionario, era quello di eliminare qualsiasi appoggio della popolazione alla resistenza jugoslava e di eseguire una vera e propria pulizia etnica, sostituendo le popolazioni locali con italiani. Un’infamia di cui in Italia si è preferito dimenticare. Fabio Poletti

Alessandra Kersevan
Lager italiani
Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943
2024 Nutrimenti
pagine 384 euro 18,05

Per gentile concessione dell’autrice Alessandra Kersevan e dell’editore Nutrimenti pubblichiamo un estratto dal libro Lager italiani

Inutile che ti scriva come ci troviamo qui a Gonars, lo puoi comprendere da solo; perché, scrivendoti, non lo crederesti, specialmente ora che ci siamo trasferiti un po’ più vicino. Purtroppo la situazione è peggiorata; non sappiamo come ci potremo sistemare e sostenere più oltre. Qui c’è una forte mortalità di bambini e di vecchi, e presto avverrà che anche i giovani dovranno perire, poiché siamo nelle baracche, senza stufa, con un freddo intenso. Vorrei descriverti meglio, ma preferisco tacere. Non riceviamo nemmeno la posta…

Così scriveva Antonietta Stimac, una donna internata nel campo di concentramento di Gonars, paese a sud di Udine, in una lettera che non sarebbe mai stata letta dal destinatario, poiché è una delle tante in partenza da quel campo e finite ai tagli dell’Ufficio censura della Prefettura di Udine. Quello che noi possiamo leggere oggi sono le frasi ‘stralciate’, quelle che venivano coperte con l’inchiostro nero, perché contenenti informazioni che non dovevano essere divulgate. Ci sono pervenute ‘grazie’ alla burocrazia censoria, che prevedeva che, prima di essere coperte, le frasi venissero battute in più copie da inviare ai vari uffici, alla Prefettura, al Ministero dell’Interno, al Sim, il Servizio informazioni militari.

Se avete, mandateci un po’ di pane. Sapeste quanto siamo ansiosi di qualche cibo secco! Non rimproverarmi di quanto ti chiedo; se tu ci potessi vedere, piangeresti a trovarci in questo stato. Soffriamo il freddo e la fame, e particolarmente i pidocchi. È un orrendo Golgota il nostro…

Sono lettere, tutte del periodo novembre 1942 – febbraio 1943, documenti eccezionali non solo per il contenuto, che rivela una drammaticità inimmaginabile delle condizioni di vita nei campi di concentramento fascisti, ma anche sotto l’aspetto documentale, essendo scritti contemporanei ai fatti, non frutto di memoria o ricostruzione del ricordo.

Ora siamo nelle baracche, dove moriamo dal freddo e dalla fame. Vi scongiuro di mandarmi qualche cosa da mangiare. Milenka [la figlia] è morta in Arbe; era soltanto pelle ed ossa; il 31/12 è morto pure mio padre, con altri 12 uomini. Liberateci da questo campo, dal Golgota della nostra vita…

Nell’Archivio di Stato di Udine ci sono una trentina di stralci di questo genere, tradotti dagli addetti alla censura dallo
sloveno e dal croato, quasi tutti di donne, internate a Gonars nell’inverno 1942-43, qui trasferite dal campo di Arbe, cioè Rab, l’isola della Dalmazia in cui nell’estate del 1942 il comandante della II Armata, il generale Mario Roatta, costituì il più grande campo di concentramento per jugoslavi, destinato a contenere almeno ventimila persone:
…questo comando habet incaricato intendenza preparare in un’isola dalmata campo di concentramento della capacità di circa 20.000 internati.
Così scriveva all’inizio dell’estate 1942 il generale Roatta. La disposizione non era incidentale, non era dovuta a necessità contingenti della guerra, ma era il coronamento di una strategia di eliminazione del ‘problema slavo’ sui vasti territori del confine orientale conquistati e annessi al Regno d’Italia che aveva percorso tutto il ventennio fascista.
Dunque, per capire perché in quell’inverno 1942-43 nei campi di Gonars e di Arbe – e in tanti altri sia in territorio italiano sia nei territori annessi e occupati – ci fossero donne, uomini, vecchi e bambini che soffrivano tanto da paragonare a un Golgota, a un calvario, il luogo in cui erano rinchiusi, e perché Roatta ordinasse l’internamento di così tanti jugoslavi, dobbiamo percorrere, seppur brevemente, la storia della politica dello Stato italiano postrisorgimentale e del regime fascista, riguardo i Balcani e quel confine orientale che dalle guerre d’indipendenza alla Seconda guerra mondiale si era andato spostando sempre più a est, arrivando nel 1941 a comprendere la città di Lubiana, e trasformando l’Adriatico in un ‘mare nostrum’, dopo aver inglobato oltre un milione di ‘slavi’.

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