I migranti non muoiono solo in mare. O al freddo in montagna lungo la Rotta Balcanica per arrivare in Europa. Muiono di fatica nei campi dove per pochi euro raccolgono i pomodori o nelle serre dove si coltivano i peperoni, sfruttati peggio degli animali, o volando dai ponteggi nei cantieri edili dove sono impiegati rigorosamente in nero come la coscienza di chi li sfrutta, e talvolta a fucilate o coltellate, per razzismo o per spegnere la loro voce di protesta. Qualcuno diventa un simbolo, finisce in prima pagina, turba per un momento le coscienze pronte ad assopirsi di nuovo. Altri finiscono in qualche trafiletto nelle pagine interne, ai margini come la loro vita. Quasi tutti vengono dimenticati presto. A ricordarceli, come Edgar Lee Master, ci pensa Antonello Mangano in questo La Spoon River dei braccianti, pubblicato dall’editore Meltemi. Antonello Mangano ha scritto ricerche, inchieste e saggi sui temi di migrazione e lotta alla mafia. Fondatore di “terrelibere. org”, ha scritto Gli africani salveranno Rosarno nel 2009, Gli africani salveranno l’Italia nel 2010, Ghetto Economy nel 2014 e Lo sfruttamento nel piatto nel 2020. In questo La Spoon River dei braccianti, Antonello Mangano ha raccontato otto storie, in otto capitoli, alcune note altre meno. Si parte da Adnan Siddique che riparava macchine per stampa e cucito a Caltanissetta. Aveva accompagnato i suoi amici a denunciare i caporali dei campi. Prima lo hanno minacciato e poi colpito a morte con ventisei coltellate. Per l’omicidio hanno arrestato cinque pakistani, accusati anche di procacciare manodopera schiavizzata per le aziende delle campagne siciliane. Adnan Siddique era nato a Lahore, in Pakistan, il 10 febbraio 1988 ed è morto a Caltanissetta, il 3 giugno 2020 quando aveva 32 anni. E si passa per Becky Moses che era sfuggita a un matrimonio forzato in Nigeria con un uomo di 74 anni. Arrivata in italia, le hanno negato il diritto d’asilo. la sua speranza era rimanere a Riace, “dove era perfetto”. Ma è finita nel ghetto e dopo due giorni è morta bruciata viva. Becky Moses era nata a Nassarawa in Nigeria, l’11 gennaio 1992 ed è Morta a San Ferdinando, Italia, il 27 gennaio 2018 quando aveva 26 anni. Ci sono i passaporti e il dolore, ad unire con un filo nero queste storie. Ricordare Adnan Siddique, Becky Moses, o il rumeno Ioan Puscasu della cui storia pubblichiamo un estratto dal libro, non è solo fare testimonianza della memoria. Ricordare è pure un passo in avanti perché non accada mai più. Fabio Poletti
Antonello Mangano La Spoon River dei braccianti 2023 Meltemi pagine 170 euro 15 Per gentile concessione dell’autore Antonello Mangano e dell’editore Meltemi pubblichiamo un estratto dal libro La Spoon River dei braccianti Ioan Puscasu Lavorava nelle campagne di Torino. Emigrato dalla Romania, era arrivato in Piemonte per guadagnare di più. È morto nei pressi di una serra dove lavorava in nero. I padroni hanno lavato, rivestito e spostato il cadavere per dimostrare che non lavorava da loro. Nato a Costești (Romania) nel 1968 Morto a Carmagnola (Torino) il 17 luglio 2015 Aveva 47 anni. Voleva completare la costruzione della casa in Romania. Non lo sa nessuno se Giovanni è morto naturale o se lo ha ammazzato il lavoro. Quando mi hanno chiamato, lui era disteso tra le serre da un po’. Mi ha chiamato Ottorina. Erano le 8 e qualcosa. Me lo ricordo perché mio marito era arrivato dal lavoro e stava andando in bagno, gli ho detto: “Non fare la doccia, andiamo fino in campagna che mi ha chiamato Ottorina e ha detto che si sente male Giovanni”. Lui dice: “Lascia stare, chissà cos’hanno combinato…” Ma io dico: “Andiamo fin lì, perché ho visto che è spaventata”. Mio marito si è preso i pantaloni corti, era estate, e ha detto: “Andiamo”. Siamo andati lì alla cascina dove abitavano, loro a quell’ora di solito tornano dal lavoro. C’erano tutte le luci accese, anche in cortile, stava venendo buio, ma non c’era nessuno. La porta piccola era aperta, ho detto a mio marito: “Qualcosa è successo, c’è la luce accesa in tutte le stanze… Andiamo alle serre”. Così siamo andati alle serre. Loro già lo trascinavano dalle mani, lo tiravano… C’erano Ignazio, Ottorina, Dragos e Gaspare, il padrone, c’erano tutti quanti. Erano spaventati, uno lo portava dai piedi, uno lo tirava dalle mani. “Ma cos’è successo?”, abbiamo chiesto, “perché non avete chiamato l’ambulanza?”. “No”, dicevano, “ché è già morto, cosa fa l’ambulanza?”. “No”, ho detto io, “di dove lo sapete voi che è morto? Di dove lo sapete?”. Io non l’ho toccato perché ero incinta ed ero spaventata… “Chiamate l’ambulanza”, gli dicevo. “Sì, sì, chiamiamo”, dicevano loro, “ma lo dobbiamo portare alla cascina, non lo devono trovare qui, ché dopo dobbiamo pagare tanti soldi”. Ho detto a mio marito: “Ma questi sono pazzi, ma cosa fanno?”. “Prendo io il numero, adesso chiamiamo noi l’ambulanza!”. Quando siamo arrivati, loro l’avevano portato già fino alla fine delle serre, la macchina aveva la porta aperta, lo volevano caricare sulla macchina di Ignazio, sulla Stilo, perché era più grossa, più larga. Io ho detto a mio marito: “Tu non toccare”. Loro gli dicevano: “Vieni a dare una mano”. Ma io ho detto: “Mio marito non tocca niente. E adesso chiamiamo i carabinieri”. Alla fine dicono: “Chiamiamo l’ambulanza”. Io ho detto: “Se non chiamate l’ambulanza, io chiamo… ma ero completamente nel panico, non sapevo manco il numero dei carabinieri”. Così ho chiamato un altro numero romeno, un altro nostro amico. “Guarda, Nico”, gli ho detto, “dammi un numero di ambulanza, di carabinieri, di qualcosa…” Intanto loro lo portavano, gli hanno anche sbattuto la testa, lo avevano preso dalle mani, gli è scappato, con la testa, ha battuto, sulla macchina. In cascina hanno messo un telo per terra, gli hanno levato i vestiti, l’hanno lavato, gli hanno messo altra roba pulita. Io chiedevo: “Hai chiamato l’ambulanza?”. “Ah, sì sì sì”, dice. “Ma”, dicevo io, “quanto dura che arriva un’ambulanza?”. Giovanni era già gonfio ché ha fatto due infarti, i pantaloni non si abbottonavano proprio. Alla fine non so neanche io chi stavo chiamando, ho sbagliato i numeri, ero tutta agitata, ma alla fine qualcuno ha risposto e hanno detto: “Carabinieri”. Uh, mamma mia, dico, gli ho detto: “Venite, che è successo qualcosa, che è morto un nostro paesano”. Dopo loro hanno messo Giovanni su due sedie, l’hanno messo seduto. E Ottorina da dietro gli teneva la testa. Poi Ignazio è andato in casa e finalmente ha chiamato: “Pronto, serve un’ambulanza”. “Pronto”, risponde un uomo. “Dove la mando? Via Pret? In fondo, giusto? Dove sono le serre? Ma cosa fate, i peperoni?”. “Sì”, risponde Ignazio, “ma ci sono i cinesi che lavorano. Questo qui che sta male è un romeno, ma non è un mio dipendente, è uno che cercava lavoro, io l’ho ospitato per qualche giorno, qui c’è il cognato, mi dice che sta male e trema tutto”. “Beati voi che fate lavorare i cinesi”, risponde l’uomo del centralino. “Mandiamo un’ambulanza, tenete il cellulare a portata di mano, ché se non vi troviamo chiamiamo, eh!” È arrivata l’ambulanza, hanno messo subito Giovanni per terra, gli hanno fatto il cardio… Han visto che non faceva niente, così han chiamato un’altra ambulanza, che aveva tutte le apparecchiature. C’erano anche i carabinieri, in tutta quella confusione. © 2023 – Meltemi Press srl