Sono passati quasi trent’anni da quel 21 febbraio 1994, quando in una piazza di Teheran per la prima volta si sentì quel grido «Donna, vita, libertà» che non ha ancora smesso di scuotere l’Iran. Allora ad urlare, mentre bruciava tra le fiamme che lei stessa aveva innescato, era stata Homa Darabi, una dottoressa poco più che cinquantenne che il regime avrebbe voluto piegare, per aver rifiutato di indossare il velo. Anche Mahsa Amini non voleva indossare il velo. Per questo la Polizia Morale, il braccio armato religioso degli ayatollah, l’ha picchiata a morte. È successo il 16 settembre 2022 e da quel giorno l’Iran non è più stato lo stesso. Le proteste, sempre guidate dalle donne, giovani, giovanissime, assai anziane, si sono diffuse in tutto il Paese. «Donna, vita, libertà», è lo stesso grido che rimbomba nelle piazze, trent’anni dopo. Chi sono le protagoniste della rivoluzione in corso in Iran ce lo spiega la giornalista Luciana Borsatti, in questo “Iran, il tempo delle donne”, pubblicato dall’editore Castelvecchi. Luciana Borsatti ha lavorato per trent’anni all’Agenzia Ansa, per la quale è stata anche corrispondente da Teheran. Con Castelvecchi ha pubblicato “L’Iran al tempo di Trump”, “L’Iran al tempo di Biden” e “Le indemoniate. 1879: sfida tra Stato scienza e Chiesa a Verzegnis”. Il suo libro è una testimonianza diretta di come le proteste contro l’autocrazia religiosa di Teheran, possano espandersi a tutto il Medio Oriente. Così come fu con la Primavera Araba scoppiata a Tunisi e deflagrata in molti Paesi, spesso stravolgndo assetti politici e sociali. Il mondo occidentale ha compreso da tempo cone le donne iraniane non stiano rivendicando solo il diritto di avere i capelli liberi al vento. Sotto accusa c’è un intero sistema di tradizioni, leggi religiose e patriarcato che, schiacciando le donne, calpesta una nazione intera. Le sanzioni economiche si sono fatte più dure. Gli appelli di politici e intellettuali di tutto il mondo, per un Iran libero senza più persone detenute per questo o impiccate in piazza dopo processi sommari, si susseguono incessantemente. Pensare che l’Iran stia vacillando sotto tutto questo sarebbe però sbagliato. L’Iran non è fermo. Teheran si affaccia al mondo e guarda già ad altri attori planetari, come la Cina e la Russia in guerra con l’Ucraina, con la fornitura di armi strategiche a Mosca, e la causa della #IranRevolution si intreccia con le ragioni della geopolitica. Comunque vada a finire, l’Iran è già cambiato. Anche se la scia di sangue lasciata dagli oppositori al regime continua ad allungarsi. Dietro ogni donna o uomo incarcerata o impiccata al braccio meccanico di una gru c’è una storia di libertà. La rivoluzione è giovane ma già in lutto, vite acerbe vengono troncate ogni momento, E questa, come potete leggere nell’estratto, è la Spoon River iraniana. Fabio Poletti
Luciana Borsatti Iran, il tempo delle donne 2023 Castelvecchi pagine 170 euro 17,50Per gentile concessione dell’autrice Luciana Borsatti e dell’editore Castelvecchi pubblichiamo un estratto dal libro Iran, il tempo delle donne.
Ma veniamo ai nomi e alle storie che più hanno accompagnato le cronache di questi mesi, come figure iconiche tanto più dolorose a vedersi quanto più giovani e freschi ne erano i volti. A cominciare da Jina Mahsa Amini, dalla cui morte tutto è cominciato, e che per milioni di volte abbiamo visto sui media e nei cartelli inalberati dai manifestanti anche qui in Italia, con quel suo mezzo sorriso e lo sguardo che va lontano, i capelli semicoperti da un velo nero che nulla sembra avere di ribelle e trasgressivo. E poi da Nika Shahkarami, 16 anni, adolescente di Teheran che tutti abbiamo visto mentre posa davanti a un obiettivo: caschetto di capelli neri, sguardo e look un po’ fatali per gioco, vista la giovane età. È la CNN a ricostruire ipotesi e circostanze della sua morte in un lungo e documentato servizio. Prima sulla sua partecipazione attiva nelle proteste a Teheran, il 20 settembre, mentre in piedi su un bidone rovesciato, nei pressi del centralissimo parco Laleh, brucia il velo e poi scaglia pietre contro i basiji, i paramilitari affiliati ai Pasdaran cui è affidata la repressione. Un altro video la ritrae mentre cerca di nascondersi tra le macchine, e sarà l’ultimo in cui la si vede ancora in vita. Secondo la ricostruzione ufficiale, è precipitata dal piano alto di un edificio in costruzione (in una prima versione perché era stata spinta, in un’altra perché si è suicidata). Secondo testimoni e familiari – i quali hanno potuto vederne la salma solo una settimana dopo – era stata arrestata e violentemente picchiata, tanto da riportare fratture in tutto il corpo. A confermarlo un certificato di morte, visto anche dalla BBC, secondo cui la ragazza sarebbe morta per fratture multiple provocate da un corpo contundente. Una vicenda straordinariamente simile è quella di Sarina Esmailzadeh, anche lei 16 anni come Nika, ma residente a Karaj. La ricordiamo in una foto in cui si atteggia con un abbigliamento autoironico quasi da clown, le labbra di un rosso acceso come il cappello da cui sfuggono ciocche ribelli, gli occhi verdi come il cappotto che indossa. Una ricostruzione di come lei sia veramente morta la offre Mahmood Amiry-Moghaddam, dell’ong basata a Oslo Iran Human Rights: l’adolescente è stata uccisa da molteplici colpi di manganello da parte delle forze di sicurezza, durante le proteste del 22 settembre, anche se poi le autorità hanno diffuso presunte confessioni di familiari che accreditavano invece la tesi del suicidio, anche in questo caso con una caduta dal tetto di un edificio. Incredibile il video da lei stessa registrato e diffuso su Twitter2 dalla stessa ong. «Di cosa ha bisogno una sedicenne?» si chiede la ragazza. «Di dare e ricevere amore, di gioia e divertimento, di buone vibrazioni. Ma qui sta il problema, perché ci sono ostacoli, a cominciare dall’hijab obbligatorio e da altre restrizioni che non riguardano gli uomini, come il divieto di entrare negli stadi. Ma ci sono anche altri problemi, come il sistema del welfare che non funziona e l’economia che è “un disastro”. Certo, abbiamo visto quelli che muoiono di fame in Africa ma anche quanti si divertono a Los Angeles: perché non possiamo scegliere l’opzione migliore? Quale emozione migliore della libertà?». E poi c’è Hadis Najafi, non ancora 24 anni, anche lei di Karaj, a ovest di Teheran: uccisa con sei colpi di pistola − al petto, al viso, al collo, secondo numerosi resoconti giornalistici. Come racconta «la Repubblica», descrivendo l’ultimo video che la ritrae prima della morte, raccoglie decisa i capelli biondi con un elastico, «sistema la coda e gli occhiali, e nella notte di Karaj è pronta a unirsi alle manifestazioni in nome di Mahsa Amini». Nell’elenco delle tante giovani vittime anche Mehrshad Shahidi, cuoco e food influencer, con 25.000 follower su Instagram: è un bel ragazzo, i capelli neri e lunghi, un’iconica foto lo ritrae in divisa da lavoro blu nell’attimo in cui guarda un impasto volare come un disco per aria. Alla vigilia del suo ventesimo compleanno – racconta il Corriere.it – si era unito alle proteste ad Arak, ma è stato arrestato. Il 26 ottobre il suo corpo è stato restituito alla famiglia: secondo le autorità, Mehrshad sarebbe morto per un attacco di cuore, ma per gli attivisti a ucciderlo erano state le manganellate sul cranio. Aveva solo 17 anni Abolfazl Adinezadeh, di Mashad, che l’8 ottobre aveva marinato la scuola per partecipare alle proteste e non era più tornato a casa. Nel suo certificato di morte, ottenuto dalla BBC5, si dice che sia morto per i pallini da caccia sparatigli al fegato e ai reni da meno di un metro di distanza. I genitori non avevano idea di cosa gli fosse successo, finché non sono stati chiamati dal ministero dell’Istruzione che ha detto loro al telefono di andarlo a prendere alla stazione di polizia. Ma qui gli è stato detto che era morto. Secondo il reporter di BBC Persian Parham Ghobadi, i familiari sarebbero stati indotti a dichiarare che il ragazzo era un membro del Basij ed era stato ucciso dai manifestanti. Il suo funerale era stato presidiato da agenti in borghese. Ma il padre ha chiesto in un video, «che crimine ha commesso, Abolfazl, per essere impallinato come un uccello?». Aveva solo 9 anni il piccolo Kian Pirfalak, bambino ingegnoso e brillante, ucciso il 17 novembre da colpi di arma da fuoco mentre era in macchina con la famiglia a Izeh, nel Khuzestan. Ucciso da agenti in borghese secondo la famiglia, da rivoltosi in motocicletta secondo la versione ufficiale, nella ricostruzione del «Washington Post». Il funerale del piccolo è stata occasione per l’ennesima manifestazione anti-regime, convocate in gran numero in Iran e all’estero per l’anniversario della sanguinosa repressione delle proteste del novembre 2019. Quella notte, nella città occidentale di Khomein, era stata in- cendiata la casa natale di Ruhollah Khomeini, fondatore della Repubblica Islamica. Ma la vittima finora più giovane è Mona Naghib, una bambina di etnia baluchi di soli 8 anni. È stata colpita da un proiettile in testa mentre la stavano portando a scuola in macchina, una Peugeot 405, insieme a una compagna, rimasta ferita. È accaduto a fine ottobre a Saravan; a colpire il veicolo in movimento sarebbero stati agenti dell’intelligence, riferisce il sito del National Council of Resistence in Iran (NCRI). Nella foto che la ritrae la bambina ha grandi e dolcissimi occhi scuri, nessun velo sui capelli ne nasconde l’acerba bellezza e veste un abito tradizionale. Estratto da Iran. Il tempo delle donne di Luciana Borsatti, Castelvecchi editore. © 2023 Lit Edizioni s.a.s