Ci sono vite che sembrano sbagliate sin dall’inizio. Bitty è figlia di un refuso all’ufficio dell’anagrafe. E di Landon che porta come un marchio le sue origini di nativo americano, un pellerossa come vengono definiti ancora oggi con disprezzo. Figuriamoci nell’America rurale degli Anni Cinquanta, dove non ci sono solo i “negri” da cui prendere le distanze. E poi di Alka, così bella da aver provato sul suo corpo tutte le umiliazioni possibili, anche sessuali, da un padre impossibile. Tiffany McDaniel, scrittrice e poetessa rivelazione, con questo libro di formazione sulla famiglia Lazarus, Il caos da cui veniamo, ripubblicato da Blu Atlantide, graffia il perbenismo apparente di una società che non è ancora riuscita a fare i conti con la carica di odio che la permea, e che esploderà di lì a poco con la rivolta dei ghetti in cui sono confinati gli afroamericani e con il grido di guerra dei nativi americani che vogliono sconfinare dalle riserve in cui sono relegati. La piccola Bitty cresce con le stimmate della sua famiglia e delle sue radici, piantate nella terra di un’America dove Landon ancora fatica a trovare un lavoro, un ruolo sociale soprattutto, che gli è precluso da chi, guardandolo, vede i tratti somatici di chi abitava quei luoghi prima dell’arrivo di Cristoforo Colombo. La sua forza, la forza di quest’uomo, sarà guidata dalla volontà di preservare la piccola Bitty, l’”indianina” come la chiama, dalle brutture del mondo. Anche attraverso racconti con un sapore onirico di cui è maestro. Una storia originale in cui Tiffany McDaniel non ha mai nascosto di aver trovato l’ispirazione seminale dalla vita di sua madre Betty, che qui diventa Bitty, sicuramente romanzata ma senza che ci sia dato sapere fino a quanto. Fabio Poletti

Tiffany McDanielIl caos da cui veniamotraduzione di Lucia Olivieri2021 Blu Atlantidepag 432 euro 28

 

Per gentile concessione dell’autrice Tiffany McDaniel e dell’editore Blu Atlantide pubblichiamo un breve estratto dal libro Il caos da cui veniamo.Ho sette anni e papà mi chiede di andare a sedermi sulle sue ginocchia. Il suo corpo è caldo come un tetto di lamiera sotto un sole cocente, e quando mi siedo è come se fossimo due mele acerbe messe a maturare al sole in un barattolo di vetro.Non m’importa se odora di sudore e di grasso di motore dopo aver trafficato intorno alla macchina, né se gli colano giù dal mento i semi di pomodoro del suo pasto pomeridiano nell’orto, che mi finiscono su un braccio e mi si appiccicano alla pelle, in rilievo come caratteri Braille.«Ho il cuore fatto di vetro». Si arrotola una sigaretta. «È di vetro, e se mai perderò il tuo amore, si frantumerà in un dolore così grande che non basterà l’eternità a ripararlo».Infilo una mano nel suo sacchetto di tabacco e strofino quei ruvidi frammenti tra i polpastrelli. Mi sembra quasi di sentirli fremere di vita tra le dita.«Com’è fatto un cuore di vetro, papà?», chiedo, intuendo una risposta più grande di quanto io non sappia immaginare.«È tutto di vetro, è cavo», dice lui, ed è come se la sua voce si levasse dalla cima dei monti che ci circondano.«Rosso?».«Sì, rosso, appeso in petto, con un uccellino dentro. Un uccellino venuto dal cielo. Ce lo ha messo lì Dio».«E perché?».«Perché possa sempre esserci nei nostri cuori un po’ di paradiso. È il posto più sicuro perché ognuno di noi possa custodirne un pezzetto, suppongo».«Com’è quest’uccellino, papà?».«Ecco, Indianina, vedi…». Strofina il cerino contro la fascia di carta vetrata intorno al cappello. «Scintilla tutto e brilla di tante piccole fiamme di luce come le scarpette color rubino di Dorothy in quel film».«Quale film, papà?».«Il mago di Oz. Ti ricordi Toto?».«Quel cagnolino nero?».«Sì, brava. Ecco…». Mi appoggia la testa sul torace nudo, ancora bagnato dal tuffo nel fiume.«Senti? Pum, pum, pum. Lo sai cos’è questo pum, pum, pum?».«Il tuo cuore che batte».«Il fremito d’ali dell’uccellino».«Davvero?». Mi porto una mano al petto. «E poi cosa gli succede, papà?».«Quando moriamo, vuoi dire?». Mi guarda strizzando gli occhi come se d’un tratto il mio viso fosse brillante come il sole. «Sì, quando… moriamo».«Eh, il vetro si spezza e il cuore si apre come un cofanetto e l’uccellino vola via per accompagnarci su in cielo e impedire che ci perdiamo. È facile smarrire la strada quando si deve raggiungere un luogo in cui non si è mai stati».Tengo l’orecchio sul suo torace, ascoltando quel battito senza sapere che ne sarò distrutta.«Papà? Hanno tutti un cuore fatto di vetro?».«No…». Aspira una boccata di fumo. «…Solo io e te, Indianina. Solo io e te».

Tiffany McDanielIl caos da cui veniamo© Tiffany McDaniel, 2018© Edizioni di Atlantide srl, 2018