Non è solo un problema di razza. È un problema di classe. Pensare che i meccanismi che consentono all’establishment bianco di dominare sugli afroamericani o sui workers non siano gli stessi, è fuorviante. Lo sa bene Donald Trump salito al potere, piegando i primi con il vigoroso sostegno dei secondi. Non a caso gli analisti che azzeccarono per primi che sarebbe stato proprio Donald Trump a stravincere sulla molto politicamente corretta Hillary Clinton, datano la vittoria con il comizio davanti ai workers dell’auto di Chicago, dove il futuro presidente promise di intervenire pesantemente per ridurre le tasse anche alla classe lavratrice. In questi temi è calata la riflessione di Ijeoma Oluo, una delle intellettuali afroamericane più ascoltate, in questo E così vuoi parlare di razza?, alla sua prima pubblicazione in Italia con le edizioni Tlon. Ijeoma Oluo è una scrittrice, attivista e giornalista afroamericana che vive a Seattle. Collabora con «Jezebel», «The Guardian», «The Stranger» e «The Establishment», occupandosi di razzismo, misoginia, intersezionalità, femminismo e temi di giustizia sociale. È stata inserita nella lista “TIME 100 Next” del 2021 ed è stata inserita due volte nella “Root 100”, l’annuale lista che raccoglie i più influenti afroamericani. Ha ricevuto il Feminist Humanist Award 2018 e l’Harvard Humanist of the Year Award 2020 dall’American Humanist Association.
In E così vuoi parlare di razza? − per il New York Times tra i libri più venduti del 2020, anno in cui l’America è stata scossa dalla morte di George Floyd e dalla conseguente esplosione su scala globale del movimento Black Lives Matter − la scrittrice e attivista Ijeoma Oluo consegna una guida preziosa e unica nel suo genere per affrontare una discussione consapevole e costruttiva sul razzismo.
Attingendo dalla sua esperienza personale e dalla sua profonda conoscenza di un argomento che può essere tanto confuso quanto frustrante, l’autrice smaschera i pregiudizi razzisti che le persone bianche continuano a perpetrare, e che assediano le esistenze delle persone nere e brown e, al tempo stesso, offre una serie di spiegazioni, consigli e avvertimenti utili per chiunque voglia affrontare discussioni sulla razza. I lettori di tutte le razze vengono guidati attraverso argomenti che vanno dal privilegio all’intersezionalità, dalla brutalità della polizia all’appropriazione culturale, dalle microaggressioni alla cosiddetta “azione positiva”, fino al mito della minoranza modello, nel tentativo di rendere possibile l’apparentemente impossibile: conversazioni oneste sulla razza e su quanto privilegi e oppressioni siano radicati nella nostra vita quotidiana.
Ogni capitolo è una domanda che Oluo analizza in modo approfondito e razionale, questioni che emergono tipicamente nelle interazioni quotidiane, che vengano sollevate in modo esplicito, implicito o “solo nella nostra testa”. Per ogni domanda, Oluo è coerente con il suo approccio: spiega perché è necessario discuterne e affrontarla, sfata le credenze comuni e gli equivoci che la riguardano, ne descrive i sintomi e l’impatto con fatti e dati, spiega come adattare il proprio stato d’animo nell’affrontare qualsiasi conversazione e fornisce elenchi pratici su cosa dire/fare e ricordare/considerare per un dialogo onesto ed efficace.
E così vuoi parlare di razza? è un saggio fondamentale per chiunque abbia detto o sentito dire: «Non sono razzista, ma…», come per chiunque voglia affrontare le discussioni sulla razza per motivare e guidare azioni reali perché, come sottolinea Oluo, “dobbiamo riuscire a guardare in faccia il razzismo, ovunque lo incontriamo. Se continuiamo a trattarlo come un mostro gigantesco che ci insegue, continueremo a scappare per sempre. Ma scappare non ci servirà se lo ritroveremo nei luoghi di lavoro, al governo, nelle nostre case, dentro di noi”. Fabio Poletti
Ijeoma Oluo
E così vuoi parlare di razza?
2023 Tlon
traduzione di Carlotta Mele
pagine 266 euro 18
Per gentile concessione dell’autrice Ijeoma Oluo e dell’editore Tlon pubblichiamo un estratto dal libro E così vuoi parlare di razza?
Nota alla traduzione Il termine “razza” impiegato nel libro non va inteso in senso scientifico-biologico, ambito in cui l’esistenza di “razze” è stata ampiamente confutata. Va inteso invece nel senso di categoria politica, sociale e culturale di oppressione: il concetto sistemico di razza che genera il razzismo. In questo libro l’espressione “persone di colore” ricorrerà spesso come scelta traduttiva dell’uso accreditato nei Paesi anglofoni dell’espressione people of color, o poc, diffusasi negli ultimi anni per indicare qualsiasi persona razzializzata che non sia bianca. Nel caso degli Stati Uniti, per esempio, con poc si indicano persone afroamericane, ispanoamericane, asioamericane, nativo americane e così via. Si è scelto di non tradurre le parole latinx e brown: la prima usata per indicare in modo neutro gli ispanici negli Stati Uniti e la seconda per indicare tutte le persone di colore non nere, in modo da rispettare l’accurata scelta lessicale dell’autrice. È davvero un problema di razza? «Intendo dire che avremmo fatto molti più passi avanti se ci fossimo concentrati più sulla classe e meno sulla razza». Siedo di fronte a un amico in una caffetteria vicino casa. È un buon amico – una persona sveglia, premurosa, spinta da buone intenzioni. Mi piace passare del tempo con lui e parlare con qualcuno che si interessi alle vicende del mondo. Ma sono stanca. Stanca perché questa conversazione la porto avanti dalla fine delle elezioni del 2016, da quando liberali e progressisti si scervellano per capire cosa sia andato storto. Cosa mancava nel messaggio della sinistra al punto da lasciare così tante persone poco entusiaste all’idea di sostenere un candidato democratico, specie contro Donald Trump? Per il momento, un gruppo numeroso (perlopiù uomini bianchi pagati per pontificare su politica e attualità) sembra essere arrivato a questo: noi democratici, socialisti e indipendenti, un gruppo ampio e variegato conosciuto come “la sinistra”, ci siamo concentrati troppo sulla “politica delle identità”. Ci siamo concentrati sui bisogni delle donne, delle persone nere, trans e latinx. Un’attenzione tanto specifica che ha diviso la popolazione e tagliato fuori i bianchi della classe operaia. O perlomeno, questo è il ragionamento. È ciò che, insieme a tanti altri, ho sentito per tutta la durata di una lunghissima campagna presidenziale: è ciò che ho sentito nella campagna scorsa, e in quella prima ancora. È ciò che hanno detto tutti i maschi bianchi durante le lezioni di Scienze politiche al college. E anche se sono stanca – perché ieri sera mi è capitato di fare la stessa conversazione con tante persone per tante ore – sono di nuovo qui a sentire quello che ho sempre sentito: il problema, nella società americana, è la classe, non la razza. «Se la situazione delle classi più povere migliorasse, di sicuro migliorerebbe anche quella delle minoranze», aggiunge il mio amico, notando la delusione e la noia sul mio viso. Ma questa conversazione decido di affrontarla, perché se riuscissi a far capire anche a un solo ragazzo bianco benintenzionato il motivo per cui la classe non sarà mai intercambiabile con la razza, avrò più fiducia nei confronti dei movimenti di giustizia sociale. «Se fosse possibile migliorare le condizioni delle classi più povere, certo», dico. «Ma come?» Quando lui recita le risposte standard – rafforzare i sindacati, aumentare il salario minimo – decido di andare dritta al punto. «Perché pensi che i neri siano poveri? Pensi che sia per gli stessi motivi dei bianchi?» Questo è il punto in cui la conversazione si ferma. È il punto in cui mi accorgo che il mio amico mi guarda perplesso e poi cerca di farsi venire in mente dei modi per contrattaccare. Ma ormai sono arrivata fin qua, perciò proseguo. «Vivo in un mondo in cui se ho un nome “da nera” ci sono meno probabilità persino che mi chiamino a fare un colloquio. L’aumento dei salari minimi sarebbe un vantaggio anche per me visto che non riesco nemmeno a ottenere un lavoro?» Il mio amico ricorda quello studio e riconosce che la discriminazione a cui faccio riferimento è reale. «E se ottengo un buon lavoro e faccio ciò che la società mi dice di fare e risparmio e compro una casa – sarebbe un vantaggio anche per me quando il semplice fatto di vivere in un “quartiere nero” significa che casa mia varrà molto meno? Sarebbe un vantaggio anche per me, soggetta come sono a tassi di interesse del mutuo più alti dalla banca o a prestiti predatori che dopo qualche anno saliranno alle stelle, costringendomi a farmi pignorare e a perdere casa, liquidità aggiuntiva e credito per via del colore della mia pelle?» Ormai vado avanti a caffè e frustrazione. «Se avessi un salario considerato decente dall’americano “medio” e mio figlio fosse rinchiuso in carcere, come secondo le previsioni capiterà a uno su tre, con quel magro stipendio dovrei crescere anche i miei nipoti. A quel punto dei sindacati più forti mi aiuterebbero davvero a uscire dalla povertà? «Visto che ho più probabilità di essere sospesa o espulsa da scuola dato che gli insegnanti considerano le mie marachelle come violente e aggressive persino all’asilo, la riduzione del debito studentesco sarebbe un vantaggio anche per me anche se sono stata costretta ad abbandonare gli studi prima di finire le superiori?» Ormai sto sbraitando, parlo veloce per sfogarmi. E non perché sia arrabbiata: non lo sono, davvero. So che non è colpa del mio amico se ciò che dice è la narrazione dominante e se questa viene considerata più solidale. Ma è una narrazione che ferisce me e tante altre persone di colore. Lui fa una pausa e dice: «E allora che si fa? Niente? Non possiamo concentrarci prima su questo, fare in modo che siano tutti sullo stesso piano e poi occuparci della razza?». Al che sospiro e dico: «È quello che ci promettono da centinaia di anni. Sono le parole di ogni movimento operaio che ha aiutato l’America bianca più di ogni altra cosa. Sono parole che permettono a tutti di “avanzare” ma nello stesso identico posto, con la stessa identica gerarchia e le stesse identiche oppressioni. Per via di queste parole il divario economico tra bianchi e neri è grave come lo era ai tempi in cui Martin Luther King organizzava le marce. Stiamo ancora aspettando. Stiamo ancora sperando. Stiamo ancora indietro». La razza per come la conosciamo negli Stati Uniti è strettamente legata al sistema economico. Il sistema del razzismo serviva principalmente a giustificare la barbarie della schiavitù e il genocidio dei popoli indigeni. Non si possono mettere in catene altri esseri umani o sterminarli in massa mantenendo allo stesso tempo norme sociali che proibiscono trattamenti simili, senza aver prima definito quelle persone come “inferiori agli umani”. In seguito, il razzismo ha assunto una nuova funzione: dividere le classi sociali più basse continuando ad avere come fine ultimo la supremazia economica e politica delle élite bianche. Certo, come dicono in tanti, la razza è un costrutto sociale: non ha nulla a che vedere con la scienza. Dal momento che secondo molti la razza è una creazione del nostro sistema economico – una menzogna usata per giustificare un crimine – un miglioramento unilaterale delle condizioni delle classi inferiori mitigherebbe anche le disuguaglianze economiche e sociali legate a essa. Anche i soldi sono un costrutto sociale: sono una serie di regole e accordi che abbiamo inventato e per i quali fingiamo che dei pezzi di carta valgano quanto le nostre intere vite. Ma non basta smettere di pensarci perché questi smettano di ammaliarci. Si sono intrecciati a ogni aspetto delle nostre esistenze. Hanno modellato il nostro passato e il nostro futuro. Sono diventati vivi. Lo è diventata anche la razza. Non è stata creata solo per giustificare un sistema economico di sfruttamento, ma anche per incatenarvi sul fondo le persone di colore. Il razzismo in America esiste per escluderle dall’opportunità e dal progresso, in modo che chi è ritenuto superiore abbia più vantaggi. Per le persone non razzializzate questo stesso profitto è la promessa più grande – avrete di più perché loro esistono per avere di meno. È una promessa duratura e, a meno che non venga attaccata direttamente, seppellirà ogni tentativo di occuparsi della classe nel suo insieme. Questa promessa – avrete di più perché loro esistono per avere di meno – è parte integrante della nostra società. Nella politica, nel sistema educativo, nelle infrastrutture: ovunque ci sia una minima quantità di potere, influenza, visibilità, opportunità o ricchezza. Ovunque ci sia qualcuno da escludere. Ovunque le risorse non bastino per tutti. È lì che la lusinga di quella promessa sostiene il razzismo. Il suprematismo bianco è lo schema piramidale più vecchio di questa nazione. Persino chi ha perso tutto a causa di questo schema continua a tenere duro e ad aspettare che sia il suo turno per riscuotere. Nemmeno l’elezione del nostro primo presidente nero ha attenuato il fascino di questa promessa che porta le persone a sostenere il razzismo. Semmai l’ha rafforzato. La sua elezione è stato un segnale chiaro, indelebile, del fatto che alcuni neri potevano ottenere di più, e allora che ne sarebbe stato della fetta che spettava agli altri? Le persone che avevano sempre fatto affidamento, in modo sfacciato o inconsapevole, su quella promessa – che avrebbero avuto di più perché gli altri avevano di meno – si sono sentite minacciate in modi che non riuscivano a esprimere a parole. All’improvviso, questo non gli sembrava più “il loro Paese”. All’improvviso, sentivano che i “loro bisogni” non venivano soddisfatti. Ma, a parte quell’unico cambiamento – perlopiù simbolico – della razza del nostro presidente, il resto è rimasto quasi uguale. La promessa del razzismo è ancora valida: in ogni fascia di popolazione, in quanto a benessere socio-politico-economico, le persone nere e brown continuano ad avere di meno. Ovviamente non vale solo per noi persone di colore. Anche senza l’invenzione della razza, la classe esisterebbe comunque, e difatti esiste anche in Paesi omogenei dal punto di vista razziale. E il nostro sistema di classe è oppressivo e violento e danneggia molte persone di qualunque razza. Bisogna tenerlo in considerazione. Bisogna abolirlo. Ma non si possono abbattere tutte le pareti con lo stesso martello. Un bambino degli Appalachi non è povero per gli stessi motivi di un bambino di Chicago – anche se, da lontano, le conseguenze ci appaiono le stesse. Una donna nera non disabile resta povera per motivi diversi da un uomo bianco disabile, anche se gli effetti ci appaiono uguali. Persino nei nostri movimenti di classe e sindacali le persone non restano indifferenti alla promessa che avranno di più perché c’è gente che avrà di meno. È una promessa che dice di concentrarti prima sulla maggioranza. Dice che le rivendicazioni di donne, persone di colore, disabili o transgender creano divisioni. La promessa che tiene in piedi il razzismo dice che un giorno avrai più vantaggi mentre gli altri prima o poi ne avranno… qualcuno. Ti porta a credere nella giustizia sociale a cascata. Sì, è un problema di classe – e di genere e di sessualità e di abilità. E, quasi sempre, è anche un problema di razza. Nella società di oggi è inevitabile parlare di razza, ma spesso ci si limita a chiedersi se un determinato problema la riguarda o no. Parlare di razza può sembrare una versione terribilmente deprimente di Who’s on First di Abbott e Costello. Mentre alcuni sostengono che bisogna parlare dei problemi legati al razzismo, altri ribattono che quei problemi non sono legati al razzismo: e alla fine, dopo tanta frustrazione e senza aver capito se la conversazione, ancora in sospeso, dovrà riguardare o meno la razza, qualcuno si arrende e se ne va. Il discorso di partenza non viene mai affrontato. Nella quotidianità può risultare difficile capire se ci si trova davanti a un problema di razza o meno – e questo vale anche per le persone di colore, non solo per i bianchi. Raramente nelle questioni serie esiste un unico fattore o punto di vista. Le cose non sono mai così nette. E, dal momento che abbiamo creato una società in cui tra gente perbene non ci si mette semplicemente a parlare di razza, non abbiamo tante occasioni per esprimere a parole determinati argomenti. Ma è difficile, se non impossibile, parlare di razza se non riusciamo nemmeno a concordare sul fatto che un problema la riguardi o meno. E da qualche parte dobbiamo partire. Se cercate un modo semplice per capire se vi trovate di fronte a un problema che riguarda la razza, ecco delle regole di base. E quando dico di base, intendo di base. 1) È un problema di razza se una persona di colore pensa che lo sia. 2) È un problema di razza se tocca in modo sproporzionato o diverso le persone di colore. 3) È un problema di razza se rientra in uno stato di cose più grandi che toccano in maniera sproporzionata o diversa le persone di colore. Capisco che, osservando questa breve lista, verrebbe facile pensare: è troppo ampia, praticamente qualsiasi cosa può rientrare in certe categorie! Ed è vero, quasi tutto può rientrarci. Perché? Perché la razza incide praticamente su ogni aspetto delle nostre vite. Andiamo più a fondo. Titolo originale So You Want to Talk About Race © 2019 Ijeoma Oluo © 2023 Edizioni Tlon