Fare psicoanalisi a Teheran è un duro lavoro. L’infinita guerra con l’Iraq, la sharia che regola la vita sociale, le sanzioni, la repressione di ogni dissenso imposta dagli ayatollah con il carcere o la forca, sono un insieme di dure prove per qualsiasi cervello. Gohar Homayounpour, psicoanalista di fama internazionale, in questo Blues a Teheran, ci mette tutta la leggerezza possibile, per raccontare il suo Paese dall’altra parte del lettino. Gohar Homayounpour, scrittrice e psicoanalista, è membro della International Psychoanalytic Association e della American Psychoanalytic Association e della Società psicoanalitica italiana. Ha fondato il Freudian Group di Teheran. L’autrice, in questo libro, è al contempo Shahrazad, l’inesauribile narratrice, e la sua analista: attraversa la sua storia e quella dei suoi pazienti tessendo un filo che passa dal dolore per la morte del padre alle vite straziate da lutti e separazioni di chi ha vissuto la guerra da molto vicino. Un filo che, come un blues, passa dal lutto all’amore, dalla morte alla vita, sradicando contemporaneamente tutti gli stereotipi sull’Iran e le donne iraniane. In questo libro provo a “seguire le note del blues, dove c’è musica ma non melodia, dove l’improvvisazione scalza la composizione. Perché anche il blues, come la psicoanalisi, abita i margini: sia l’uno sia l’altra fanno parlare le anime del sottosuolo”. Attraverso un viaggio musicale imprevedibile e vivace, fatto di psicoanalisi, autobiografia, attualità e cultura, l’autrice ci mette in guardia dal desiderio di una guarigione completa. È grazie alle ferite, non malgrado le ferite, che la vita merita di essere vissuta. Fabio Poletti

Gohar Homayounpour
Blues a Teheran
La psicoanalisi e il lutto
traduzione di Francesco Peri
2024 Raffaello Cortina Editore
pagine 240 euro 18

Per gentile concessione dell’autrice Gohar Homayounpour e dell’editore Raffaello Cortina pubblichiamo un estratto dal libro Blues a Teheran

Una volta, ricordo, una collega americana, una persona molto cara, mi ha scritto una lettera di scuse a nome del suo governo (l’amministrazione Trump). Quell’esperienza mi è rimasta sullo stomaco: teoricamente avrei dovuto sentirmi grata per quel gesto di premura, per quella gentilezza.
Ahimè, la collega è un’analista anche troppo generosa, anche troppo sollecita. Una volta, mi diceva, ha preso in casa una paziente senza fissa dimora, nel nome dell’empatia. È uno zucchero, un angelo… eppure quella lettera mi ha fatto imbufalire. A qualche livello mi sono sentita offesa.
Forse sono solo una povera ingrata che se la prende a morte per la buona volontà altrui, non lo escludo affatto. Forse sono io che avrei bisogno di vedere uno psicoanalista bravo – possibile, anzi probabile. Sta di fatto che l’ho vissuta così: che faccia tosta! ho pensato. Scusarsi a nome di un’in- tera nazione! Tiratela di meno… Scusandosi, peraltro, faceva di me una parte lesa, una vittima, come la Fondazione degli Oppressi e dei Disabili aveva fatto con A. Mi sono vista trasformare in un essere ferito, destinatario degli aiuti umanitari che lei dispensava. Lo stesso gesto del chiedermi scusa mi ha “definita”, mi ha assegnato un nome.
Trovo indigeribile che a volte le mie posizioni sociopolitiche coincidano con quelle della gente che per tutta la vita ho criticato: per esempio non vedo di buon occhio il governo iraniano, come chiunque abbia una briciola di cervello. Eppure quando il governo Trump si sfila dagli accordi sul nucleare, mentre la controparte aveva tenuto fede agli impegni presi, vi assicuro che sto con il governo iraniano. Una scelta di campo che mi fa sentire slogata, dis-locata. Indigeribile, proprio.
Quando poi i falchi di Trump volevano la guerra, tenuti a freno dal solo presidente americano, ho trovato un alleato in Donald Trump. E più indigesto di così…
Mi fa ammattire che l’Arabia Saudita possa far uccidere in modo brutale il giornalista dissidente Jamal Khashoggi, e che prima il mondo intero parli a gran voce di indagare il principe ereditario, che un rapporto dell’Onu individua sulla base di prove stringenti come “probabile” mandante dell’omicidio (insieme ad altri esponenti di punta del governo saudita), ma che poi gli Stati Uniti, invece di procedere, vendano armi per miliardi di dollari all’Arabia Saudita…
Ho convinzioni liberal-progressiste, eppure le mie idee vanno a farsi benedire quando partono le prediche del politicamente corretto e arrivano le lettere di scuse.
O quando il sesso e tutto ciò che lo riguarda diventano sinonimo di pericolo e malattie, come oggi accade specialmente nei campus americani. C’è stato un tempo in cui sesso faceva rima con piacere – un bizzarro concetto che ha ben poco di liberal. La mia parte non liberal-progressista è giunta alla conclusione che il politicamente corretto sia il nuovo autoritarismo. Vi pare strano? Che cosa non vi torna di preciso?
È a quelle stesse latitudini mentali che nel 2011 il primo volume di una trilogia sadomaso incentrata su un giovane manager dominatore, Cinquanta sfumature di grigio di E.L. James, al secolo Erika Mitchell Leonard, ha dominato le classifiche dei bestseller, seguito da altri due volumi. In quello stesso torno d’anni il sogno americano (o il poco che rimane) ha scelto e democraticamente eletto un uomo dal linguaggio scandalosamente misogino, accompagnato da una truce fama di abusi maschilisti. Viene da domandarsi se questi due fenomeni non parlino di un desiderio collettivo inconscio, di un’insofferenza nei riguardi del discorso politicamente cor- retto, del quale vorremmo liberarci. Un desiderio che abbiamo proiettato su veicoli esterni, come per esempio Donald Trump. Il romanzo di James, con le sue storie di dominio e sottomissione, è uscito proprio nel momento giusto. E ha saputo cogliere le complessità dell’animo femminile. Prova ne sia che milioni di donne sono state “sedotte” da un romanzo erotico sadomaso, “il primo romanzo per adulti a vendere un milione di copie nel giro di pochi giorni, polverizzando i precedenti record del Codice Da Vinci e di Harry Potter”.
A leggere e apprezzare Cinquanta sfumature di grigio, va detto, sono state soprattutto le donne, specialmente le signore sposate dopo la trentina. Non a caso alcuni hanno parlato di mommy porn. È utile vedere in questa chiave certe nuove statistiche: in Gran Bretagna sempre più donne preferiscono sposare un uomo ricco e vivere da casalinghe. Non merita un’analisi critica un fenomeno del genere? Magari in chiave psicoanalitica? L’animo femminile è entrato in una zona di turbolenza (nel bene o nel male): un buon atterraggio dipenderà dalla nostra “mente psicoanalitica”. Le soluzioni concrete non bastano, non possono bastare, perché la concretezza, quando è fuorviante (e l’esempio peggiore è il politicamente corretto), ricorda in modo pauroso la concretezza dei regimi totalitari. A proposito di sintomatologia del politi- camente corretto (e della linea diametralmente opposta), mi piacerebbe fare l’elogio… insomma, diciamolo: nei discorsi edulcorati del nostro tempo non mancano le “scorrettezze”. Se il problema non verrà messo a fuoco rischiamo di ricadere in nuove forme di autoritarismo: stesse ideologie, maschere nuove. E queste mutazioni dell’autoritarismo non sono soltanto pericolose per tutti, ma anche mortalmente noiose.

Titolo originale: Persian Blues. Psychoanalysis and Mourning
© 2023 Gohar Homayounpour
© 2024 Raffaello Cortina Editore