La parola seconde generazioni è oramai familiare. In Francia sono già arrivati alla terza e alla quarta e, pure recentemente, abbiamo visto quanto le nuove generazioni siano lacerate nella loro incerta identità di francesi e allo stesso tempo stranieri in patria, spesso con troppi pochi diritti. In Italia il conflitto non è ancora così esteso. Spesso ha una dimensione familiare, con risvolti talvolta tragici, fino all’omicidio di ragazzine uccise dai parenti perché “troppo occidentali”. In questo delicato rapporto intergenerazionale si infila il libro “Baba”, scritto dal giovanissimo pugliese di origini tunisine Mohamed Maalel, pubblicato dall’editore Accento. Mohamed Maalel, nato ad Andria nel 1993, si definisce metà couscous e metà orecchietta per le sue origini italo-tunisine. Quando non immagina possibili storie da raccontare, scrive per il Giornale di Sicilia. È stato uno degli analisti del programma Rai Tvtalk. Ahmed nasce in una famiglia in cui le lingue e le ricette si mescolano: riso patate e cozze e cornetti al cioccolato convivono con couscous e baklawa, come provano a convivere italiano e tunisino, accettazione e rifiuto. Ma è anche una famiglia dominata da un padre violento, capace di picchiare la moglie Paola e il figlio maggiore Selem, di costringere il protagonista a sessioni di preghiera estenuanti, ma capace anche, in un disorientante cortocircuito d’affetti, d’amore e tenerezza infiniti.Quando, ormai adulto, Ahmed lo raggiunge in ospedale, avvia con il padre un dialogo sempre più rosicchiato dalla malattia. E mentre il ricovero mangia le parole, il protagonista ricorda la propria vita e quella della propria famiglia, dai viaggi in Tunisia al trauma della circoncisione, dall’essere il figlio più amato alla scoperta sofferta della propria omosessualità, dai giorni di mercato ad Andria all’Erasmus come occasione di confronto con le proprie radici. Alla fine ne nasce un discorso che prova ad accomunare due mondi, apparentemente così vicini ma molto spesso troppo lontani. Fabio PolettiMohamed MaalelBaba2023 Accentopagine 264 euro 16

Per gentile concessione dell’autore Mohamed Maalel e dell’editore Accento pubblichiamo un estratto dal libro “Baba”.Era inevitabile che dopo la vicenda della circoncisione qualcosa sarebbe cambiato. Ero diventato più riluttante agli abbracci degli estranei. Ero anche più silenzioso e prudente. Quando mio padre picchiava mia madre rimanevo in silenzio; ero diventato impassibile. Per questo motivo, e forse per altri che allora non comprendevo, dopo tre mesi dalla mia circoncisione scappai di casa. Ero da mia nonna. Avvertivo una necessità simile alla vendetta di cui si parlava nei film che guardavo alla tv con mio padre. Mia madre era stata cattiva con me, mio padre molto di più. Può un bambino provare vendetta prima ancora di conoscerne il significato? Forse no, ma i bambini ricordano con facilità il dolore, perché è un impatto senza freni sulla memoria. La sera precedente mia madre mi aveva urlato contro. Non voleva accompagnarmi da zia Annuccia. Volevo stare con lei, non mi piaceva più passare le serate con la mia famiglia. E poi era il compleanno di mia cugina Serena, dovevo farle gli auguri. Facevo storie, mi lamentavo. Gridavo contro quella figura materna in bilico. Mio padre era nell’altra stanza; ascoltava in silenzio senza dire nulla. Era quasi ammaliato da quel modo di ribellarmi a mia madre. Sapeva che con lui non l’avrei mai fatto.«Mamma, andiamo da zia».«No».«Mamma, andiamo da zia, per piacere».«Ho detto no».«Allora ci vado da solo».«Voglio proprio vedere».La mattina seguente, mia madre mi baciò sulla guancia.Appena si fece lontana, ripulii il mio viso con il lenzuolo. Mi alzai, saltando la colazione. Mio padre era già uscito. Lei mi prese per mano e mi accompagnò a scuola. La guardavo, mordendomi le labbra. Mio padre mi diceva spesso che le donne sono diverse dagli uomini e perciò vanno punite se sbagliano. Una donna, mi spiegava lui, è propensa al peccato, mentre l’uomo nasconde dietro al peccato una virtù. Un padre spesso pecca per il bene della famiglia. Una donna pecca per immoralità, o per futile vanità. Mi ripeteva queste parole dopo ogni litigio con mia madre.A scuola avevo la testa altrove. La maestra ci aveva chiesto di trascrivere sul quaderno piccole e semplici parole, ma io non facevo altro che scarabocchiare linee e cerchi sospesi. A quell’età mi piaceva immaginare. Fantasticavo di raggiungere in volo mia zia mentre la gente dalla strada ammirava le mie grandi ali dorate. Passai il resto della mattina a osservare i pini fuori dalla finestra. La maestra parlava dei colori, io l’ascoltavo appena. Accanto a me c’era Riccardo, il mio compagno di banco. Parlava di Pokémon, di carte da collezionare. Poi la maestra ci chiese di disegnare la nostra famiglia. Sostituii mia madre con un cane rosso. La maestra rimase perplessa, ma non disse nulla. Come al solito, si limitava a osservarmi in silenzio. Il suono della campanella arrivò come un pugno dritto in testa. Preparai lo zaino con calma, non avevo voglia di tornare a casa. Nonna Raffaella aspettava fuori, avrei mangiato a casa sua.L’abbracciai, profumava di pesche. Mi prese per mano, la sua stretta era rigida. Sentivo di non poter scappare. Comprò un leccalecca al gusto melone, che subito misi in bocca. Poi acquistò del cavolfiore da cucinare per pranzo.«Giovane, quanto viene la cima?»«Signora, seimila lire al chilo».«Assè! Assè! Di meno, di meno!»Come mia madre, anche lei amava contrattare sui prezzi. L’osservavo taciturno, mentre recuperava le pesanti buste di plastica tra le braccia. Arrivammo a casa sua con i piedi che mi bruciavano dalla fatica. Nonna abitava al sesto piano di un condominio comunale, senza ascensore. Mi gettai sul divano al centro del salotto, mentre porcellane, fiori e rosari mi facevano compagnia. La casa di nonna era un santuario dedicato ai defunti.La planimetria della casa si divideva tra morti che erano morti e morti che stavano per morire. Nonna era meticolosa: in camera da letto teneva la foto di suo marito, perso all’età di trentacinque anni. Accanto al comodino teneva le foto dei parenti più stretti. La sua camera da letto era sempre scura; le tende erano abbassate. Si riusciva a malapena a intravedere il riflesso della statuetta della Madonna appoggiata sull’armadio. I morti non ancora morti erano collocati in salotto, insieme alle foto dei suoi nipoti. C’era anche la foto del matrimonio di mia madre e mio padre. Rispetto alle altre, la loro foto era più nitida, la polvere non toccava i bordi della cornice. Mi avvicinai alla porta della cucina. L’odore di cavolfiore iniziava a sommergere la casa. La cucina di mia nonna era minuscola e piena di souvenir, soprattutto della Tunisia. Ogni anno, mio padre le portava un regalo: piatti in ceramica, un mortaio in pietra e anche alcuni tappeti. Nonna mi sorrise, io ricambiai. Accanto alla porta c’era il calendario di Padre Pio con altri santini di parenti defunti.© 2023 Mohamed Maalel© 2023 Accento edizioni, Milano