Ebrei veneziani che trasportavano il legno dell’abete rosso per costruire i violini, via barca, sulle acque del Po. Commercianti orientali che trattavano i prezzi con i liutai locali. Spagnoli e francesi appassionati di musica. Austriaci, come Mozart, che cercavano qui il suono perfetto. Americani a caccia delle vestigia antiche dei violini.

La liuteria classica di Cremona, quella degli Amati, di Stradivari e di Guarneri del Gesù, è stata un modello virtuoso di globalizzazione ante litteram fin dal XVI secolo. Ora a guidare il Consorzio Liutai “Antonio Stradivari”,  massima istituzione che garantisce la perfezione di questi strumenti secondo l’antica tecnica di costruzione, è Giorgio Grisales.

Italocolombiano, classe 1963, ha bottega proprio sotto il Torrazzo. Da qui garantisce quell’antica tradizione portata avanti da 300 liutai che lavorano nella città di Stradivari. A NRW, Giorgio Grisales, uno dei primi sudamericani a frequentare la scuola di Internazionale di Liuteria di Cremona, racconta l’impatto con questa grande tradizione.

«È stato grandioso per uno che arrivava dall’America latina, negli anni Ottanta, intraprendere la strada della costruzione di violini. Era un bellissimo sogno che si avverava poter frequentare una scuola internazionale. A distanza di 37 anni devo dire che la mia integrazione è assolutamente compiuta. Qui sono cresciuto professionalmente e umanamente. Ho una famiglia, faccio il lavoro che sognavo e la presidenza del Consorzio è il traguardo di questo percorso».

Rispetto al suo arrivo a Cremona, negli Ottanta, in che modo è cambiata l’integrazione?

«Negli anni Ottanta il diverso lo si accoglieva con altri sguardi. In maniera più positiva rispetto a quanto non succeda oggi. Ora vedo un’accoglienza più ampia nei giovani e per me questa è una gioia, mentre la generazione dei cinquantenni è sicuramente più chiusa».

I diversi cambiamenti politici in questo Paese hanno portato la classe sociale medio-alta a provare diffidenza verso il diverso e lo straniero. Lo vede come un nemico da punire. Bisogna capire come l’Italia, da sempre società aperta, a causa di questi nazionalismi, si stia trasformando in una realtà sgradevole.

Quanto è stato difficile inserirsi una realtà come quella cremonese, considerata chiusa e molto autoreferenziale?

«Bisogna sfatare dei miti. I cremonesi sono chiusi ma quando la persona dimostra le sue capacità e un comportamento corretto si aprono. Del resto la liuteria cremonese ha sempre avuto un contatto con l’estero».

Da presidente del Consorzio, lei ha un punto di osservazione privilegiato per osservare i rapporti con il mondo.

«La scuola di liuteria di Pechino e quella di Queretaro, in Messico, sono strettamente collegate a Cremona e quindi ci rapportiamo sempre ad un mondo liutario che ha come riferimento la città di Cremona. La liuteria cremonese è stata globale ancora prima della globalizzazione economica».

La liuteria cremonese rappresentata da un cittadino di origini straniere può sembrare un paradosso e invece è diventato un esempio di coesione sociale.

«Ora siamo diventati noi stranieri i portatori dei valori di questa grande tradizione cremonese e italiana e la difendiamo. Dai contraffattori, dai detrattori e da commercianti senza scrupolo. Un nutrito gruppo di stranieri insieme ai cremonesi portano avanti la difesa della storia di questa città e del suo artigianato artistico».

Come nuove radici di questa società italiana, osservate anche cosa sta accadendo in questo Paese in tema di accoglienza.

«C’è molto rammarico per quello che vedo. Io sono stato accolto bene, ma ora lo straniero viene indicato come il colpevole delle crisi che si stanno succedendo. Mai come in questa crisi sanitaria, abbiamo visto infermieri provenienti da altri Paesi, Sud America compreso, curare le vittime del Covid e difendere questo Paese, salvando tanti italiani e lombardi».