Considerata la Gilmore Girls (Una mamma per amica) della sua generazione, Ginny & Georgia è una produzione originale Netflix tra le più viste dell’ultimo mese sulla piattaforma. Ma se nella serie firmata da Amy Sherman-Palladino, sempre ambientata in un paese da cartolina sulla costa est, sul rapporto di una madre trentenne con la figlia adolescente si era deliberatamente scelto di concentrare ogni discorso sulla rappresentazione di non bianchi nel (bel) personaggio di Lane Kim e in quello meno sviluppato del concierge Michel Gerard, una decina di anni dopo in Ginny & Georgia l’intenzione manifesta era quella di essere più inclusivi possibili. Ma l’intenzione spesso non basta.
Quante volte ti ho detto di non farli toccare a nessuno
Ginny è bellissima (come tutto il resto del cast), ha sedici anni, un padre nero. E nell’episodio pilota non ha paura di sfidare apertamente il professore del corso di letteratura avanzata a cui è iscritta la prima volta che lo incontra, ricordandogli che il suo corso sarà popolato di autori bianchi maschi e vedrà l’incursione dell’unico autore nero in occasione del Black History Month. Eppure alla festa scolastica si lascia subito convincere a farsi mettere le mani tra i capelli per avere la stessa coda alta delle sue amichette del cuore. Ed è poi sua madre – la bianchissima e biondissima Georgia – ad acconciarglieli perché lei possa tornare dagli altri. Due episodi minimi che però danno l’idea di quanto sia trattato superficialmente il tema della rappresentazione: se a parole, in una frase woke (letteralmente “essere sveglio, vigile”) piuttosto casuale e messa in bocca a un’adolescente, ci si dice consapevoli, di fatto non lo si è.
L’adesione al tema è molto più superficiale di quanto potrebbe essere e, Ginny a parte – più impegnata a scontrarsi con la madre perché non la capisce/le ha mentito/forse nasconde cadaveri – i neri sono il padre, della quale si dice un gran bene ma non si vede prima del settimo episodio e la compagna di scuola Bracia, alla quale gli sceneggiatori hanno lasciato il compito di giudicare in silenzio il fatto che Ginny abbia scelto di vestirsi da Britney Spears e poi di farle un discorsetto sulla blackness di cui non si ricorda una parola fuori di stereotipo verso la fine della prima stagione.
Io non sono del tutto bianco, quindi Gitten non è del tutto razzista
Dopo che un ragazzetto di cui è invaghita le ha detto che nessuno è privilegiato perché tutti hanno i loro problemi, nel corso di una litigata tocca a Hunter (mezzo taiwanese) servire a Ginny questa assurda battuta, lasciando molto furbescamente allo spettatore fare i conti con quello che sta succedendo: per chi si sente più a suo agio parteggiare?
Tra frasi stereotipate, occhiatine e silenzi che in dieci puntate da cinquanta minuti l’una potevano essere anche condensarsi in una qualche battuta e furbate, questo Gilmore Girls del 2021 è un’occasione di diversity sprecata.