Prendete una ragazza bianca americana piena di joie de vivre con la voglia di cambiare il mondo in una Parigi bellissima ma piena di stereotipi e avrete già in mente la nuova serie tv Emily in Paris di Darren Star targata Netflix. La trama è semplice. La protagonista Emily, interpretata da Lily Collins, viene trasferita dalla sua azienda nella sede parigina con il ruolo di social media strategist.

La poverina si dovrà scontrare con i francesi, rappresentati tutti come snob con la puzza sotto al naso, maschilisti, attaccati alle tradizioni e impallinati con il sesso


La serie, di cui lo spettatore può prevedere ogni singolo passaggio, stupisce per il numero di stereotipi usati per raccontare i francesi. Una cosa che non si può vedere nel 2020. Però non è questo che più ci ha colpito, anzi, in quanto prodotto americano ce lo aspettavamo (i francesi, almeno, sono fortunati di poter vivere nel 2020, al contrario di noi italiani che per gli americani siamo rimasti fermi agli anni cinquanta e andiamo in giro in Vespa). La cosa davvero incredibile è la rappresentazione dell’unico personaggio nero di tutta la serie, Julien (Samuel Arnold).

Non c’è film francese che negli ultimi anni non abbia presentato il melting pot nel cast, non solo per denunciare la scarsa integrazione e il razzismo che esistono in Francia, come, ad esempio, in Quasi amici o nel recente I Miserabili, o in commedie come Non sposate le mie figlie! e Due sotto il burqa

Ma anche perché è innegabile che la popolazione francese non è costituita da soli bianchi ma è una realtà multietnica da decenni. Basti pensare a film come L’odio di Mathieu Kassovitz, che nel 1995 presentava già questa realtà.


Nella Parigi americana di Emily in Paris, invece, sono tutti bianchissimi, bellissimi, etero e patinati. Poi c’è lui, Julien, il collega di Emily di cui sappiamo solo essere nero e gay (perché non raggruppare due minoranze in un unico personaggio?) e che ha un ottimo gusto nel vestire. A parte questo di lui non sappiamo altro, il suo background è inesistente e il suo unico scopo nella serie è inizialmente trattare con sufficienza la protagonista per poi successivamente farle capire le dinamiche all’interno dell’azienda e diventarne una sorta di alleato. Niente di più. Si potrebbe obiettare che non tutti i personaggi devono essere approfonditi, ma in una serie dove anche l’incontro casuale di una notte ha un vissuto più profondo di Julien, sembra piuttosto paradossale.


Il personaggio di Julien sembra più una risibile concessione per la comunità nera e lgbtq+ e ci stupisce ancora di più se pensiamo che l’ideatore è Darren Star, l’uomo che negli anni novanta creò una delle serie più controverse e all’avanguardia per l’epoca come Sex and the city. Ricordiamo infatti che, compatibilmente con gli anni in cui venne girata, la serie tv presentava due dei personaggi ormai iconici per il movimento femminista come Miranda (Cynthia Nixon) e Samantha (Kim Cattrall). Quindi, mentre Sex and the city cercava in qualche modo di sfatare diversi stereotipi legati alle donne, Emily in Paris non fa alcun passo in avanti, anzi, sembra tornare indietro di quarant’anni per la visione di una Parigi idealizzata che esiste solo in cartolina.