Il loro ultimo album, Never trust the algorithm, è una denuncia della supremazia degli algoritmi del web che su Spotify schiacciano gli artisti indipendenti, appiattiscono i gusti e spesso ghettizzano i musicisti. I Technoir, ovvero Jennifer Villa e Alexandros Finizio, sono una coppia sulla scena e nella vita da una decina di anni, da quando si sono conosciuti a Genova, la città in cui sono nati e cresciuti. Stanno per trasferirsi a Berlino perché l’Italia non è ancora pronta per un progetto musicale internazionale come il loro, complice la pandemia che ha messo in pausa tante dinamiche della nostra scena artistica. Diffidenti verso le etichette di qualsiasi tipo, si riconoscono invece nel caos creativo che chiamano melting pot di influenze e direzioni. Ma sono ottimisti e sperano di tornare in Italia, prima o poi.
Una famiglia allargata e multietnica
Alexandros ha origini greche e pugliesi e Jennifer nigeriane e senegalesi. Sono affiatati e scherzano tra loro, cedendosi il passo con grazia mentre si raccontano. «Mio padre è emigrato negli anni Sessanta dalla Puglia per lavorare, quando Genova era una città industriale al pari di Milano. Invece mia madre è arrivata in Italia dalla Grecia per studiare» dice Alexandros, aggiungendo che Jennifer è molto più genovese di lui. «È vero, sono nata da madre nigeriana e padre senegalese ma a tre anni sono stata adottata da una coppia genovese da generazioni. I miei avevano già adottato due fratelli cileni, in pratica siamo una grande famiglia multietnica» precisa lei con soddisfazione. Da cinque anni vivono a Milano ma, appena possibile, scappano a ricaricare le batterie nella loro città.
La musica è un melting pot
«Abbiamo cominciato a suonare per divertimento, partecipando a una sorta di orchestra multietnica. Una volta presa la decisione di fare sul serio abbiamo creato il duo e ci siamo spostati a Milano». Nel curriculum i Technoir contano due album più un ep uscito nel 2019, del quale tengono a ricordare le collaborazioni prestigiose: «È un lavoro di sperimentazione di suoni e ruota attorno alla collaborazione con il bassista fondatore dei Jamiroquai, Stuart Zender, e con il produttore e dj Clap!Clap!». Parlando dell’annosa questione del genere di musica in cui si identificano la risposta è, in fin dei conti, semplice: «Perché limitarsi a un’unica strada?» dice Alexandros.
Siamo contenti che le nostre influenze confluiscano in un melting pot. Gli artisti che ci piacciono sono quelli che sanno cambiare mille facce e sonorità ed è fantastico se qualcuno individua nella nostra musica dei riferimenti a cui non avevamo pensato
Ma in Italia la realtà è artisticamente (e non solo) impantanata ed è per questo che stanno per avventurarsi altrove, probabilmente a Berlino. «Per restare qui dovremmo adottare lo stile sanremese e, fuori da ogni giudizio, è una cosa molto diversa da noi» ammette Alexandros con un po’ di amarezza. Nel nuovo capitolo della loro vita puntano sulla label discografica che hanno appena creato, la Kengah Records, e che in futuro probabilmente si allargherà anche ad altri musicisti.
Non fidarti dell’algoritmo di Spotify
Nel 2020 è uscito il loro secondo album Never trust the algorithm. A proposito di riferimenti, il titolo sembra suggerire una versione contemporanea di Don’t believe the hype, la denuncia scagliata dai Public Enemy negli anni Ottanta contro le distorsioni della realtà create dai media. Altri tempi, altri strumenti: oggi c’è la rete, e quello dei Technoir non è un album hip hop ma si sintonizza piuttosto su funk, elettronica e pop. «Il mondo digitale di oggi vuole infilare tutti dentro delle scatolette, dividere qualsiasi cosa in categorie. Noi siamo dalla parte del progresso ma non vogliamo che le nostre scelte siano monopolizzate» spiega Alexandros. «Il pericolo dell’algoritmo è di oscurare determinate realtà, in tutti i campi» prosegue Jennifer.
Nella musica, i più piccoli vengono penalizzati da quello che decide l’algoritmo, con il rischio di standardizzare a scapito del singolo artista e del singolo fruitore. Il titolo dell’album è un invito ad aprirsi, ad ascoltare nuova musica, a comprare un libro meno noto ma che forse ha più cose da dire
Pensando al bagaglio musicale dei più giovani, i più esposti al rischio di manipolazione, i Technoir ricordano il passaparola che si faceva una volta tra cugini e fratelli. «C’era anche la programmazione di MTV» dice Jennifer, «in cui ogni dieci band passava quella indipendente. Nelle playlist di Spotify, invece, si ripete a rotazione sempre lo stesso artista». Alexandros sostiene che ora il mainstream ha degli strumenti molto più affilati per impadronirsi dei gusti e che «Ci vorrebbe l’antitrust della musica per smascherare i dati gonfiati degli artisti sui social. Finisce che ci perde chi vuole fare le cose in modo trasparente».
Grammy Awards
Siamo nel pieno di una rivoluzione semantica che sta ridefinendo le parole della nuova società. Ma la società è cambiata davvero? Facciamo qualche riflessione con i Technoir partendo dai Grammy Awards, dove la categoria Urban, considerata anacronistica e legata a un immaginario negativo, è stata sostituita da Progressive R&B, e la categoria World è stata rimpiazzata da Global.
È un momento delicato per cambiare le definizioni. Il termine Urban è sicuramente superato ma se non c’è una vera intenzione di cambiare i contenuti, le parole restano vuote. Tante questioni, poi, riguardano gli Stati Uniti e in Europa ne discutiamo solo perché sono di tendenza
A proposito di un altro termine discusso, diversity, Jennifer confessa di non amarlo molto: «Mi sembra una forzatura, una parola abusata. Ho letto da poco di una label discografica che ha creato una categoria per artisti black ed ethnic. Però così si torna indietro, si ghettizza. Non ci piace neanche la cancel culture, come per il caso di Via col vento. Non si può far credere che quelle cose non ci siano mai state, è giusto mantenere le tracce e spiegare ai giovani gli errori del passato».
Abbiamo chiesto ai Technoir quali artisti ci suggeriscono di tenere d’occhio nel panorama internazionale. Ecco la playlist che il duo ha creato per il nostro canale Spotify, Nuove Radici World Radio.
Foto = Giacomo Carlini