Pensavano di fermarla con 4 etti di tritolo. Riuscirono a ucciderla ma non a silenziare la sua voce. Quella di Daphne Caruana Galizia, la giornalista maltese fatta saltare in aria il 16 ottobre 2017, pochi minuti dopo aver scritto un post che è il suo ultimo j’accuse: «Ci sono corrotti ovunque si guardi, la situazione è disperata». Indagando sui Panama Papers, la giornalista aveva svelato i legami tra i principali politici locali e le grandi società off-shore, dove girano soldi riciclati e dove arrivano i proventi del traffico dei passaporti. Ma aveva pure raccontato quest’isola a sud del Mediterraneo, il crocevia di tutti i migranti in fuga verso l’Europa. Un lavoro certosino documentato nel libro Di’ la verità anche se la tua voce trema, pubblicato in questi giorni da Bompiani nella neonata collana Munizioni diretta da Roberto Saviano. Il valore della raccolta di articoli contenuto in questo libro «sacro», come lo definisce l’autore di Gomorra, lo spiega Roberto Saviano nella sua appassionata introduzione: «Nel respiro che stai compiendo mentre leggi queste pagine, un respiro che puoi percepire nitidamente, c’è la vittoria di Daphne: le sue parole ricevono il tuo ossigeno, escono dalle fiamme e tornano a camminare libere». Fabio Poletti

Per gentile concessione dell’editore Bompiani pubblichiamo un estratto del libro Di’ la verità anche se la sua voce trema di Daphne Caruana Galizia. In particolare un frammento dell’articolo Il giorno in cui l’opinione pubblica è cambiata, uscito il 6 settembre 2015 su The Malta Independent on Sunday. Dove la giornalista racconta le sue emozioni davanti alla foto del piccolo Alan Kurdi, annegato insieme al fratellino e alla madre nel tentativo di raggiungere l’Europa.

Copertina

Ogni aspetto di questa storia è troppo terribile per poter essere espresso in parole. Quei due bambini erano nati durante la guerra civile da genitori che volevano fuggire insieme a loro. Il padre aveva tentato di ottenere un visto legittimo per il Canada con l’appoggio di sua sorella, che viveva già lì come immigrata regolare da due decenni, con un lavoro da parrucchiera; faceva continuamente pressione su politici, legislatori e funzionari statali perché la richiesta di suo fratello venisse accolta, descrivendo loro le sue condizioni. Per tutto quel tempo, suo fratello, la moglie e i loro due bambini avevano atteso con pazienza in Turchia che dal Canada arrivasse una risposta positiva. Solo dopo che la loro domanda era stata respinta in via definitiva – la sorella si era sentita dire che lui e la sua famiglia non potevano essere considerati profughi veri e propri – il signor Kurdi aveva optato per una via di fuga alternativa, cercando di entrare in Europa grazie a dei contrabbandieri che avrebbero dovuto accompagnarlo sull’isola greca più vicina.

Aveva pagato duemila dollari per salire su una lancia stracarica, e il resto è cronaca. Ora è tornato in Siria con i corpi di sua moglie e dei loro bambini, li ha sepolti e ha dichiarato che non cercherà più di lasciare la sua patria. Ha già quarant’anni; voleva andare in Canada o in Europa solo per il bene dei suoi figli, che ormai non ci sono più. Quando ho visto le fotografie delle tombe dei bambini pubblicate sulla stampa, mi sono tornate le lacrime; altro terribile pathos. Come potrei descrivere le mie emozioni? Soprattutto, al di là dell’ovvio dolore per loro, avverto un opprimente senso di rabbia di fronte all’assoluta ingiustizia di tutto questo, di fronte alla feroce iniquità della vita, alla casualità, gratuità e mancanza di senso che pervade la realtà. Invece di avere un brillante futuro in Canada o in Europa, quei bambini hanno trovato la morte, sono stati avvolti in un sudario e sepolti nella terra desertica, con nuvole di polvere arida che si sollevavano mentre i loro corpi venivano coperti; in piedi, tra i blocchi di calcestruzzo che segnavano in modo approssimativo le altre tombe, c’erano uomini vestiti di stracci (stando agli articoli dei giornali, indossavano un abbigliamento “casual”). Come se non bastasse il fatto di essere nati in quelle condizioni, hanno anche dovuto incontrare una morte così terribile, per annegamento, per poi avere un’indegna sepoltura e finire nell’anonimato sotto una coltre di polvere.
Quei bambini avrebbero meritato una splendida tomba e un monumento a loro perenne ricordo. La loro morte – o, per essere più precisi, le fotografie del corpo di uno di loro – hanno provocato un cambiamento nell’opinione pubblica riguardo al problema delle migrazioni e dei profughi nel nostro tempo. I più insensibili e indifferenti continuano a pensare come hanno sempre fatto – nulla riuscirà a scalfire le loro opinioni – ma, se non altro, ora hanno almeno imparato a evitare di infastidire gli altri con le loro stupide idee, il che significa che non siamo più costretti ad ascoltarli. Direi che questo fatto ci dà anche il permesso di metterli a tacere, con l’educazione richiesta da certe situazioni sociali. Ma, per dirlo con franchezza, a questo punto non sono sicura che mi preoccuperò di rispettare le buone maniere.

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