La 93esima edizione dei premi Oscar sarà diversa già solo per il fatto di tenersi il 25 aprile, un paio di mesi più tardi rispetto al tradizionale appuntamento dal Dolby Theatre di Los Angeles. Ma sarà anche un’edizione all’insegna dell’inclusione, a giudicare dalle candidature. Dando un’occhiata anche solo alla cinquina dei migliori attori, resa nota lo scorso lunedì, ci troviamo di fronte a due prime volte per quanto riguarda i ruoli da protagonista: di un asiatico-americano, Steven Yeun, e di un musulmano, il britannico di origini pakistane Riz Ahmed.

Ahmed, 38enne attore e rapper londinese conosciuto anche come Riz MC, ha un curriculum brillante e non convenzionale nel mondo dello spettacolo, dove si è fatto notare anche per le attività in favore di migranti e seconde generazioni. Protagonista di The Reluctant Fundamentalist, film della regista indiana Mira Nair presentato a Venezia nel 2012, premiato nel 2017 con un Emmy per la miniserie della Hbo The Night Of, produttore e narratore di Flee, film di animazione danese su un rifugiato afgano recentemente acclamato al Sundance 2021.
Ahmed è impegnato da sempre sul fronte della denuncia sociale.

Già al suo debutto da cantante nel 2006 aveva fatto parlare di sé con Post 9/11 Blues, invettiva sarcastica contro il dilagante atteggiamento razzista nei confronti dei musulmani del post 11 settembre. Dieci anni dopo ha partecipato all’antologia The Good Immigrant, una raccolta di scritti su razza e immigrazione nel Regno Unito, firmati da 21 autori di origini africane, asiatiche e altre minoranze etniche (Bame, ovvero Black, Asian e Minority Ethnic), raccontando un episodio personale accaduto all’aeroporto inglese Luton.

Di ritorno dal festival di Berlino con il cast del film di Michael Winterbottom The Road to Guantánamo, vincitore dell’Orso d’Argento, fu trattenuto e interrogato con l’accusa di usare il suo mestiere di attore per sostenere la causa islamica. Invece di procedere legalmente contro gli ufficiali responsabili, Ahmed decise di spedire la notizia ai giornali perché ‘la storia sulla detenzione illegale di un gruppo di attori di un film sulla detenzione illegale era troppo buona per passare inosservata’

Facendo un balzo alle notizie degli ultimi giorni, Ahmed sta raccogliendo parecchi consensi per la sua prova nella parte del batterista Ruben Stone in Sound of Metal, film di Darius Marder del 2020 che si è appena aggiudicato ben sei nomination all’Oscar. Il protagonista è un musicista ex tossicodipendente che sfodera sul petto la scritta tatuata Please Kill Me e fa parte di un duo rock-noise insieme alla compagna Lou. Mentre girano in tour in camper, Ruben si trova catapultato nel dramma della perdita dell’udito: più di quanto possano dire le parole, il film è perfettamente racchiuso nei due momenti topici della scena iniziale, immersa nel frastuono di un concerto dal vivo (di quelli epici, ormai) e di quella conclusiva sospesa in un silenzio da pelle d’oca. Guardando Sound of Metal, è impossibile non pensare al film del 2014 Whiplash di Damien Chazelle, vincitore di un Oscar per l’attore non protagonista J.K. Simmons. Entrambe le pellicole hanno al centro un batterista, che in Whiplash si cimentava con la musica jazz, mentre qui la trama gioca con il genere metal e il suo parallelismo con il metallico del dispositivo cocleare impiantato a Ruben. Sound of Metal parla di una vicenda emozionante che in un periodo così delicato ci fa specchiare nell’improvvisa perdita di libertà, nella solitudine, nella faticosa impresa di affrontare una nuova gestione del quotidiano. Fa la differenza che il fulcro del film racconti la diversità non come una difficoltà da superare ma come un sistema “altro” con cui misurarsi. Una storia che Riz Ahmed spera sia di ispirazione in un anno così difficile, ha scritto sui suoi social, per crescere e per riconnetterci con noi e con gli altri.