C’è una bella provocazione con qualche fondamento storico in Bridgerton, l’ultima serie di successo tratta dai libri di Julia Quinn prodotta per Netflix da Shonda Rhimes, la sceneggiatrice afroamericana di Grey’s Anathomy. Ambientata nell’Inghilterra del 1813, sotto re Giorgio III del quale si rivela già la sua fragilità mentale, mostra la vita di corte, tra intrighi amorosi, figlie nobili da ben maritare e uomini dediti alla difesa dell’onore della famiglia ma assai libertini. Un mix, tanto per capirci e rimanere in tema di serie televisive, tra Downtown Abbey e The Crown, ma molto più spinto.
A colpire anche il meno avveduto spettatore c’è il milieu aristocratico che si agita nella serie, multietnica e multiculturale, dove se non bastasse un duca nero c’è pure la regina, moglie di Giorgio III, come minimo mulatta
Una forzatura, si capisce, nell’Inghilterra che aveva abolito la schiavitù solo nel 1807 e che l’avrebbe resa illegale nelle Colonie nel 1833, quindi molto al di là da venire. Una forzatura ma non troppo, visto che delle origini della regina Carlotta di Meclemburgo-Strelitz si parla sin da allora senza che se ne sia venuti a capo. Secondo alcuni storici della diaspora africana la moglie di Giorgio III, che ha poi generato re Giorgio IV salito al trono dopo il periodo Regency appunto della reggenza, sarebbe stata indubbiamente mulatta. Tanto che una sua effige sarebbe stata uno degli elementi di forza degli abolizionisti che volevano la fine della schiavitù pure nelle Colonie.
Per altri storici la definizione di “mora” della regina, non avrebbe niente a che fare con il colore della sua pelle ma si riferirebbe alla religione islamica di appartenenza, pur essendo di origini arabe e berbere. Secondo un’opinione prevalente in realtà la regina Carlotta sarebbe stata una mozaraba, cioè una cristiana iberica in un regime musulmano, adepta del rito mozarabico con influenze sefardite. Da Buckingam Palace ovviamente nemmeno una parola in tutti questi secoli.
L’appiglio regale sarebbe comunque servito al regista di Bridgerton Chris van Dusen, per ampliare la visione della corte inglese agli albori del XIX secolo:
Visto che la regina Charlotte sarebbe stata la prima di origini miste della Storia, ci ha fatto domandare cosa sarebbe successo se grazie a lei altre persone di colore fossero state elevate in società con titoli e terre. Da qui è nato il personaggio del Duca di Hastings, il protagonista maschile della storia»
Nella serie, va sottolineato, non c’è un nero che sia uno che si lamenti per una qualche discriminazione. Cosa che tocca a molte protagoniste femminili che, in quanto donne, non hanno praticamente alcun diritto. Nemmeno quello di scegliersi un marito. Dietro la serie a così forte caratterizzazione multietnica e multiculturale c’è ovviamente la mano di Shonda Rhimes che già nelle ultime stagioni di Grey’s Anatomy, oltre a una serie di battute contro Donald Trump, aveva preso di mira il sistema sanitario americano che discrimina i più deboli e al comando del prestigioso ospedale di Seattle aveva messo una donna per di più afroamericana.
Un’abitudine per la sceneggiatrice, che già nella serie Still Star-Crossed ambientata a Verona ai tempi di Romeo e Giulietta, aveva voluto che una buona parte dei protagonisti fossero neri: «È così nella realtà, perché stupirsi se è così pure nelle serie». Come dire che, lo si voglia o no, i pregiudizi fanno spesso a cazzotti col mondo reale multietnico e multiculturale. A qualcuno abituato ad una visione più superficiale, i protagonisti di Bridgerton potrebbero non smuovere un ciglio, dando magari per scontato che quella fosse la realtà. Altri potrebbero aggrapparsi alla teoria secondo cui la moglie di Giorgio III avrebbe avuto sì sangue africano nelle vene, ma solo otto se non addirittura quindici generazioni prima. Ricordiamo comunque che negli Stati Uniti, all’inizio del XX secolo, veniva comunemente accettata la One-drop Rule, per fortuna mai tramutata in legge federale, secondo cui bastava una sola goccia di sangue africano per essere considerati afroamericani e dunque inferiori. E allora perché non pensare che qualche goccia, nella linea dinastica reale britannica, non sia arrivata fino ai regnanti di oggi.
Ma se c’è una cosa che Bridgerton ci sta insegnando è che per essere re o regine, per stare ai vertici di una società, il colore della pelle conta davvero poco. E che alla fine, come ben sappiamo, i nostri progenitori venivano dall’Africa e tutti noi siamo di una sola razza, quella umana. Come ben ci ricorda, fosse anche solo in una serie televisiva, Shonda Rhimes.