L’idea pare sia stata di quel genio della serialità di Shonda Rhimes: dare a un pezzo del pubblico di Netflix che si vede poco rappresentato – quello indiano – la possibilità di rivedersi sullo schermo in Bridgerton 2. Sebbene la bisbetica Kate e l’innocente Edwina nel Visconte che mi amava di Julia Quinn, il secondo degli otto volumi a cui l’intera serie Bridgerton è ispirata, si chiamassero Sheffield, per il bene della rappresentazione sono diventate le sorelle Sharma da Bombay. Che è un po’ come dire le sorelle Brambilla Fumagalli da Palermo (anche se lasciamo ogni approfondimento sugli scivoloni di Bridgerton 2 rispetto ai costumi indiani a chi se ne è diffusamente occupato, soprattutto negli Usa).

Quello che è certo è che, scelte di casting colour conscious a parte, questa seconda stagione avrà anche perso in pruriginosità e languore degli occhi del duca di Hastings, ma ha guadagnato in scrittura

L’indianità in Bridgerton 2

Se nella prima stagione un appiglio storico alle radici della regina Charlotte era stato sufficiente per estendere la possibilità di un’afrodiscendenza a un rilevante ramo della nobiltà rappresentata, senza problematizzare ulteriormente la cosa (d’altronde, è Shondaland), per Bridgerton 2 si è deciso di attribuire alle nuove protagoniste femminili un retaggio coerente.

Kathani “Kate” e Edwina Sharma, che hanno i volti delle attrici britanniche di origine Tamil Simone Ashley e Charitrhra Chandran, vengono presentate come indiane di Bombay, giunte a Londra per trovare marito a una delle due.

La loro indianità viene rivendicata tanto nel loro lessico familiare – il padre è sempre citato come appa, la sorella maggiore è didi e quella minore è bon – quanto dalla messa in scena di certe abitudini come il massaggio serale o tradizioni nuziali come la cerimonia dell’haldi. Senza dimenticare la marcatissima avversione verso il tè inglese rispetto a quello indiano

Le sorelle Sharma spiccano tra le altre miss non solo per la bellezza e i modi impeccabili ma, soprattutto, per le loro personalità, dimostrandosi capaci di insospettabili inversioni di carattere e di rotta. A pensarci bene forse troppo insospettabili per avere una completa credibilità ma, d’altronde, è sempre Shondaland.

Il problema chiamato classe sociale in Bridgerton 2

In Shondaland – pardon, nell’epoca Regency rappresentata in Bridgerton – come detto, non c’è discriminazione possibile rispetto al colore della pelle. Perché il bel mondo che riempie il proprio tempo passeggiando lungo il Tamigi e la sera andando di dimora in dimora per partecipare ai balli è tutto ugualmente e indistintamente multietnico e multiculturale, fatta eccezione per le sorelle Sharma.

Non c’è una vera discriminazione neanche nella consistenza del patrimonio. Sposare una fanciulla senza dote è più che altro vista come una scocciatura ma, se la suddetta ha buone entrature, la mancanza della dote non è un ostacolo insormontabile. E una soluzione per un rilancio economico si trova sempre.

L’unica discriminazione possibile è quella legata alla classe sociale. La modista è la modista e l’ex pugile è l’ex pugile, e possono essere benevoli aiutanti ma nient’altro, mentre i lord e le lady sono lord e lady. Per non parlare del tipografo, la cui sola presenza sulla scena mette in serio pericolo la rispettabilità della casa del visconte molto più di qualsiasi scandalo paramatrimoniale. E l’unica riuscita a fare il salto di classe nella stagione precedente – la bella cugina campagnola – vive la sua infelicità coniugale con composta rassegnazione. Ma d’altronde è Shondaland, mica il mondo perfetto.