A pochi giorni dalla fine dell’8oesima Mostra internazionale d’arte cinematografica, si possono tirare le fila dei film presentati quest’anno. Non sono mancate le polemiche: dalla questione degli attori italiani nelle produzioni americane (“Stanco di accettare che attori stranieri interpretino italiani”, ha detto Pierfrancesco Favino) fino all’evento che ha segnato il Festival ancora prima di iniziare, cioè gli scioperi degli sceneggiatori e degli attori americani.
In questa edizione, la selezione del team di Alberto Barbera ha cercato di porre all’attenzione del grande pubblico questioni sempre più attuali e complesse della nostra società come l’immigrazione, la condizione della donna, sia cis o trans, e la politica sempre più polarizzata
Il premio a Io, Capitano
Il film ad aggiudicarsi il prestigioso Leone d’Oro è stato Poor Things (Povere Creature!) di Yorgos Lanthimos, che racconta della crescita e autodeterminazione della giovane protagonista. Favorito fin dall’inizio della competizione, la sua vittoria non ha scaturito alcuna sorpresa, al contrario del Leone della giuria dato a Matteo Garrone per il suo nuovo film Io, Capitano che racconta il viaggio nel deserto di due minorenni Senegal fino alle coste siciliane.
L’intento del regista italiano era di creare un “contro-campo”, quindi spostare il punto di vista dall’Italia all’Africa
Protagonisti del film sono Seydou Sarr e suo cugino, che sognano di raggiungere l’Europa. L’intento di Garrone col suo film, non è una denuncia politica, ma mostrare le speranze di due ragazzi giovanissimi che si scontrano contro la dura realtà e che li trasformerà in vittime della corruzione e violenza che caratterizza il loro viaggio fino alle coste italiane. Il regista italiano vuole rappresentare l’ingiustizia sulle possibilità date ai giovani, perché se un ragazzo europeo può viaggiare senza alcun problema grazie al proprio passaporto, i ragazzi africani rischiano di morire per inseguire un futuro migliore o anche solo per realizzare un sogno. Garrone riesce a fare propria la storia dei due ragazzi senza snaturarla o farne uno stereotipo: un successo ottenuto anche grazie alla collaborazione alla sceneggiatura di chi quel viaggio l’ha vissuto sulla propria pelle.
E quello a Green Border
Nonostante, Io, Capitano si presenti come un buon film, non riesce nell’intento di lasciare lo spettatore col pugno nello stomaco, cosa che invece riesce perfettamente a uno dei titoli di punta della mostra Green Border (Zielona Granica) della regista polacca Agnieszka Holland.
Il film denuncia la situazione al confine tra la Polonia e la Bielorussia, dove tra le foreste paludose (chiamate appunto Confine verde) migliaia di profughi provenienti dal Medio oriente e Africa rimangono prigionieri della crisi geopolitica portata avanti dal dittatore bielorusso Aljaksandr Lukašėnko. Holland, con uno stile al limite del documentaristico, che avvicina la pellicola più al reportage che a un esercizio di stile cinematografico, punta il dito contro nei l’Europa che ignora quanto avviene ai suoi confini orientali, girandosi dall’altra parte.
Considerato uno dei favoriti al Leone d’Oro (ma riuscendo a vincere il premio speciale della giuria), Green Border riesce nel suo messaggio di denuncia e compassione
Un cinema lontano dagli stereotipi
Oltre al film di Holland, la Polonia rientra in concorso con un secondo film che racconta la vita di una donna trans in relazione agli sviluppi storici del paese negli ultimi 45 anni. Kobieta z… (Woman of…) dei registi Małgorzata Szumowska e Michał Englert è una piccola perla rara nel panorama del cinema dell’Est per le tematiche che tratta e lo stile con cui hanno voluto raccontarlo. Innegabile il coraggio dei due registi nel raccontare la storia di una donna trans in un Paese dove la comunità LGbTQIA+ ha enormi problemi a farsi riconoscere, ma ciò che ha maggiormente conquistato del film sono state la delicatezza e la cura usate per raccontare la storia di Aniela. La pellicola si presenta senza i classici stereotipi che purtroppo hanno caratterizzato i film sulle tematiche queer, ma anzi pone al centro della vicenda il desiderio di Aniela di poter vivere allo scoperto e come la donna che sa di essere ma che si ritroverà sempre a fare i conti con una burocrazia e uno Stato che faticano a riconoscerla.
Il Festival del Cinema riesce a portare avanti il connubio tra la società in cui viviamo e la sua rappresentazione cinematografica, dove il confine tra la settima arte e la realtà si fa sempre più sottile. Non sappiamo se i film smuoveranno i governi e cambieranno qualcosa, ma la loro voce è forte e ci auguriamo che riusciranno a trasmettere maggior consapevolezza.