Appuntamento ai Marinai (Italia, 2017) è un documentario sulle seconde generazioni di italiani con origini eritree di Milano, scritto e diretto dall’antropologa e sociologa milanese di origini eritree Ariam Tekle, alla sua prima esperienza alla regia. Partendo da temi quali integrazione, inclusione, cittadinanza, identità, migrazione all’estero, la Tekle tratteggia storie che pongono l’accento anche sulla musica, elemento chiave di condivisione e unione.
Appuntamento ai Marinai è un documentario, in cui si racconta dei nuovi italiani, figli di immigrati come lei, che fanno i conti tra la cultura di origine e la cultura del Paese dove sono nati e vivono. Chi sono questi ragazzi ?
I ragazzi di Appuntamento ai Marinai rappresentano una delle prime generazioni di figli di immigrati a Milano, tra la fine degli anni ’70 e inizio anni ’80, sono anche la prima generazione di neri nati in Italia. Man mano che raccoglievo le storie, mi rendevo conto che non solo stavo soddisfacendo una mia curiosità, ma tutti i racconti, per le loro caratteristiche, avevano una rilevanza sociale davvero importante. La campagna per lo Ius soli, con tutto il suo dibattito e il movimento che ha prodotto, incentrato soprattutto sulle seconde generazioni, ha mostrato come il fenomeno dell’immigrazione venga ancora percepito come un fenomeno recente. Ma, nell’ampio dibattito, si sono trascurate completamente intere generazioni di nati in Italia negli anni ’70 e ’80. Ad esempio, la comunità eritrea è già arrivata alla terza generazione. Così ho voluto portare alla luce le esperienze della generazione di Appuntamento ai Marinai rimaste nell’ombra fino ad oggi.
Abbiamo incontrato, alcuni profughi eritrei della nave Diciotti qui a Milano, il loro desiderio è raggiungere il nord Europa. Questo significa che, a differenza dei primi eritrei immigrati, non c’è più il fattore ex coloniale?
Quando si parla di immigrazione eritrea si devono fare delle distinzioni importanti. Chi usciva dal Paese negli anni ’60/’70 scappava dalla guerra, soprattutto quando hanno iniziato i bombardamenti ad Asmara. Non solo le modalità del viaggio erano legali ma inoltre chi arrivava in Italia, per la maggior parte, entrava con un contratto di lavoro. Una volta raggiunta l’Italia, o in generale l’Europa, la comunità eritrea in diaspora ha iniziato ad organizzare riunioni ed eventi internazionali per supportare la lotta per l’indipendenza mantenendo salda la diaspora e vivo il sentimento di appartenenza. Mentre l’emigrazione degli ultimi dieci anni dall’Eritrea è profondamente diversa. L’elemento di comunità e scopo comune, l’indipendenza, oggi viene a mancare. Si esce dal Paese nella speranza di migliorare le proprie condizioni di vita. Sanno che nel nord Europa il sistema di accoglienza funziona molto di più rispetto a quello italiano. Credo che conoscere la cultura italiana e soprattutto le famiglie italiane ha portato molti che scappavano dall’Eritrea negli anni 70 a scegliere l’Italia come meta di destinazione o comunque come prima tappa, ma le differenze tra le prime migrazioni eritree e quelle attuali vanno oltre il fattore ex coloniale.
Riguardo la vostra comunità si può già parlare di 3G e non di 2G come per altre, attraverso la sua esperienza di vita e di ricerca, quali sono state le difficoltà d’integrazione negli anni ’60/’70? Oggi sono le stesse o è tutto più complicato?
Riguardo la comunità eritrea oggi si può parlare di terze generazioni. C’erano difficoltà all’epoca come ce ne sono oggi. Negli anni ’70 non esistevano politiche di immigrazione, lo status di rifugiato politico veniva concesso a chi fuggiva dagli stati dell’ex URSS. Nell’accoglienza degli eritrei c’è stata un’enorme mancanza da parte dello Stato. Se molti eritrei negli anni ’70 arrivavano in Italia con il contratto di lavoro è stato grazie ad organizzazioni e associazioni private o cattoliche, ma anche con il semplice passaparola tra eritrei.
Il contesto e le dinamiche sono diverse ma il razzismo in Italia c’è sempre stato. Molti ragazzi che lo subivano in passato hanno capito che ciò era sbagliato solo una volta che si sono confrontati con altre realtà europee. Il razzismo veniva vissuto come normalità.
Oggi ci sono numerose associazioni che si occupano di integrazione ed inclusione sociale, organizzazioni che denunciano il razzismo, ci sono i social media, che se da un lato possono essere strumento di diffusione di ignoranza ed odio dall’altro danno la possibilità ai giovani di confrontarsi più facilmente e di condividere la propria esperienza facendo networking. Oggi c’è più consapevolezza e più attenzione mediatica.
Che ragazzina è stata? lo studio dell’antropologia la sociologia è stato un mezzo per trovare risposte alle sue domande?
Sono stata sempre molto timida ma molto curiosa. Nonostante la mia timidezza, ho sempre osservato e ascoltato tutto ciò che mi circondava. Ho frequentato un istituto tecnico, poi ho deciso di proseguire gli studi iscrivendomi all’università e mi sono laureata in Relazioni Internazionali. La scelta del mio corso di studi è nata durante la campagna elettorale del primo candidato afroamericano alla presidenza degli USA. La scelta del corso di studi è stata influenzata anche dalla curiosità di approfondire e capire meglio il ruolo della comunità internazionale nella guerra d’indipendenza dell’Eritrea. Sicuramente le mie origini e il mio percorso mi hanno portato ad essere sensibile a tematiche sociali. Ma l’esame di Sociologia mi ha aperto un mondo e così ho deciso di specializzarmi in Sociologia e Antropologia. Il documentario Ai Marinai nasce dalle ricerche per la mia tesi di laurea per la quale il libro La bastarda di Istanbul di Elif Shafak è stato fondamentale. L’autrice va alla ricerca delle sue origini armene e della storia del suo popolo.
So che ha frequentato corsi di studio a Bruxelles, in Germania e in Inghilterra, quanto lei si sente anche europea? Si continua a parlare di giovani europei, per cui la sfida per i discendenti degli immigrati è sentirsi cittadini italiani o europei?
Potrei rispondere che sono cittadina del mondo. È sicuramente più facile per chi è di seconda generazione riconoscersi/farsi riconoscere come cittadino europeo che cittadino in italiano. È vero che oggi in Italia le seconde generazioni stanno ottenendo più visibilità, ma è anche vero che è ancora diffuso un immaginario negativo dello straniero. In altri contesti europei, i cittadini di origine straniera, con tutte le difficoltà, in molti casi sono realizzati, fanno parte attivamente della società in cui vivono da molto tempo.
Ariam, lei ha portato il suo documentario in Eritrea, quale è stata la reazione?
Appuntamento ai Marinai è stato accolto con molto entusiasmo e curiosità. Ho avuto la possibilità di presentare il documentario in diverse occasioni e c’è stata sempre molta partecipazione. A seguire di ogni proiezione ci sono stati interessanti scambi e riflessioni, soprattutto i giovani erano sorpresi nell’ascoltare le difficoltà degli eritrei in diaspora. Molte le domande sul mio percorso personale.