Sulla pelle dei profughi. Sulla pelle di una giovane donna siriana che in ospedale a Bialystok, vicino al confine polacco con la Bielorussia, piange davanti alla delegazione di europarlamentari del Pd: «Sono stata brutalmente picchiata, ma non è questo che mi fa paura. Mi hanno tolto i miei due bambini. I poliziotti polacchi non mi dicono dove li hanno portati. La mia paura più grande è non sapere quando li potrò rivedere».
Sulla pelle di una giovane infermiera che si fa venire le lacrime agli occhi, raccontando di una donna curda di 39 anni che aveva già cinque figli, morta di parto mentre la trasportavano dalla zona rossa dove nessuno può entrare, dove la milizia di Aliaksandr Lukashenko spinge i profughi verso il confine polacco, respinti dai gendarmi del premier Mateusz Morawiecki.
Chi l’ha visto dice che non è nemmeno un campo profughi. È un bosco, una palude, un acquitrino gelato dall’inverno, dove non si possono nemmeno piantare delle tende. La zona è controllata dai militari polacchi, che non fanno avvicinare nessuno. Chi cerca di aiutare i profughi rischia pesanti multe e fino a cinque anni di carcere
Un gigantesco Risiko sul confine bielorusso
Pietro Bartolo, eurodeputato Pd, ex medico a Lampedusa, quello che è passato davanti ai suoi occhi poche settimane fa non lo può dimenticare: «Sono stato medico a Lampedusa per 30 anni. Ho visto i migranti annegare. Su quel confine ho visto naufragare l’Europa».
Perché alla fine quello che sta succedendo a Est dell’Europa è un gigantesco Risiko. Con Lukashenko che, sostenuto da Vladimir Putin, cerca di mettere in difficoltà l’Europa che ha inflitto sanzioni alla Bielorussia, ammassando profughi al confine polacco e dunque alle porte dell’Unione Europea. E con la Polonia, stato membro della UE, che difende i propri confini sulla pelle dei profughi
Pierfrancesco Majorino, eurodeputato del Pd, guarda oltre a quello che ha visto nella zona rossa: «L’Europa sta dando il peggio di sé, lascia che la Polonia faccia il lavoro sporco senza dire nulla. Quando Varsavia ha attuato politiche restrittive sull’aborto, la Ue è stata durissima. Sui profughi non dice niente».
Il silenzio dell’Europa
Mentre il Parlamento comunitario continua a discutere su cosa fare di fronte alla crisi, sul piatto rimane l’unica misura adottata da Ursula von der Leyen, 700 mila euro stanziati dall’Europa per consegnare ai profughi cibo, coperte, kit igienici e di pronto soccorso. Una goccia nel mare di questa crisi che rimette in discussione l’intero assetto europeo, come spiega Pietro Bartolo: «In quella palude ho visto gente morire di freddo. Non hanno tende, capanne o coperte. Sono profughi ma l’Europa li sta trattando come nemici. Lo ha detto anche il Papa, su quel confine naufraga l’Europa e l’umanità intera». Dall’eurodeputato del Pd arrivano parole durissime: «Quello che sta succedendo lì è un crimine per cui ci vorrebbe un nuovo processo di Norimberga».
L’Europa invece tace. E si fa scudo delle parole del premier polacco Mateusz Morawiecki: «Siamo di fronte al più grande tentativo di destabilizzare l’Europa degli ultimi 30 anni». Ursula von der Leyen vorrebbe estendere le sanzioni alla Bielorussia, ma non può e non vuole alzare un dito contro la Polonia, partner importante della coalizione. Come se scaricare tutte le colpe solo sulla Bielorussia servisse a fare pulizia in un mondo diviso tra i cattivi oltre i confini europei e i buoni che stanno nell’Unione.
Sulla pelle dei profughi
Tutto sulla pelle dei migranti, da mesi prigionieri di questa no man’s land di confine, tra due eserciti contrapposti che si affrontano armi in pugno. Con Minsk che spinge i richiedenti asilo verso il confine con l’esercito. E la polizia di frontiera polacca che usa lacrimogeni e idranti per impedire l’ingresso in Europa ai profughi. Un gioco sporco, tutto sulla pelle dei profughi.
Sulla pelle di Arvin Irfan Zahir, che aveva 39 anni e già cinque figli, scappata dalla provincia curda irachena di Duhok, rimasta per settimane nella foresta e morta in un ospedale polacco mentre stava per nascere il suo sesto figlio.