Accenni di aperture verso una legge più inclusiva sulla cittadinanza, Lazio e Friuli Venezia Giulia aprono la sanità pubblica ai medici di origini straniere. Quella che pare avanguardia non è altro che un timido passo verso leggi più rappresentative della società multiculturale che cambia, più velocemente della legge. NRW segue da tempo la lotta dei medici stranieri nel nostro Paese, che combattono per vedere riconosciuto il loro diritto di esercitare la professione per cui hanno studiato. Li abbiamo seguiti in pandemia, quando venivano chiamati eroi e si ammalavano nelle strutture private. Perché senza cittadinanza, in Italia non si accede al settore ospedaliero pubblico.

Ne abbiamo parlato quando è stato approvato il decreto Cura Italia, che concedeva una temporanea apertura anche ai medici sprovvisti di cittadinanza ma in possesso di un permesso di soggiorno valido. Sembrava il primo passo verso un cambiamento vero. «Eppure, dopo due anni quel decreto fa acqua da tutte le parti. A fine marzo scade lo stato di emergenza, e insieme a lui anche il decreto. Speravamo si consolidasse, invece si è limitato a garantire un’apertura a tempo determinato e solo perché il contesto era emergenziale», commenta Foad Aodi, presidente di AMSI e dell’Unione medica euromediterranea (Umem).

II sistema sanitario italiano stenta a integrare i medici che lui stesso forma, e per quanto quelli di Lazio e Friuli Venezia Giulia siano segnali positivi, non sono sufficienti

Non serve la cittadinanza per i medici del Lazio (per ora)

Seguendo quanto indicato nel cosiddetto decreto Cura Italia, «l’assessore alla Sanità della Regione Lazio Alessio D’Amato ha annunciato una delibera per l’inserimento di medici e personale sanitario extra Ue negli ospedali pubblici regionali. Si parte dall’ospedale San Giovanni a Roma», spiega Aodi. Un successo che arriva dopo l’accordo stretto tra AMSI e Regione Lazio con l’obiettivo di integrare quei professionisti di cui il nostro Paese ha, peraltro, drammaticamente bisogno. Una vittoria a tutto tondo? Aodi è cauto: «Bisogna incoraggiare iniziative positive come questa. Ma resta il problema della temporaneità. Si chiede di lasciare lavori nel settore privato, che per quanto limitati sono a tempo indeterminato, per un lavoro nel pubblico che dura un anno. Questa incertezza spezzerebbe le gambe a qualunque professionista».

Aperture sì, ma solo per un anno, il tempo quindi di uscire dalla situazione emergenziale

Medici extra UE in Friuli Venezia Giulia

Ma c’è anche chi, come l’assessore alla Salute del Friuli Venezia Giulia Riccardo Riccardi, opta per un’altra strategia, aprendo ai medici extra UE non residenti in Italia, di fatto seguendo l’iniziativa pandemica di richiedere supporto a medici e sanitari provenienti dall’estero. Spiega Aodi che «anche quello del Friuli Venezia Giulia è un passo avanti, ma solleva altre problematiche. Serve una legge che apra a tutti i medici, senza lasciare indietro quelli che già vivono nel nostro Paese. Accorciare i tempi per il riconoscimento dei titoli ottenuti all’estero. E poi c’è il problema del permesso di soggiorno». Il decreto Cura Italia, e le iniziative prese a livello regionale, si rivolgono infatti a tutti i possessori di un permesso di soggiorno di lavoro. Eppure, testimonia Foad Aodi «ottenere un permesso di soggiorno lavorativo in Italia è complicato, anche per chi viene qua a salvare vite. È fondamentale che le nuove leggi si applichino a tutti i tipi di permessi di soggiorno, altrimenti avranno un impatto quasi nullo».

Il caso della università gemellata con quella di Tor Vergata

Un problema, quello del permesso di soggiorno, che ha creato una matassa burocratica in cui si ritrovano giovani medici come il dottor Balla. Originario dell’Albania, si è iscritto all’università Nostra Signora del Buon Consiglio a Tirana, gemellata con la romana università di Tor Vergata. Balla è cittadino extra europeo, ma con titolo e abilitazione conseguiti in Italia dopo aver ottenuto un permesso di soggiorno per studio. Balla avrebbe diritto a lavorare: «Per la legge italiana io ho diritto a lavorare fino a 20 ore settimanali, ma per essere assunto devo iscrivermi all’Ordine dei medici. Però per iscrivermi all’Ordine devo avere un permesso di soggiorno di lavoro. È un vicolo cieco». E non basta che il titolo universitario sia stato preso in Italia?

Sul sito dell’università è spiegato come sia un titolo congiunto che vale ugualmente in Italia e in Albania, in più ho preso l’abilitazione qui. L’Ordine dei medici a cui mi sono rivolto si è battuto con me, ma dal Ministero della Salute abbiamo ricevuto delle risposte poco incoraggianti

Unica soluzione quella di fare domanda per un permesso di soggiorno di ricerca di lavoro, che comunque porterà Balla a perdere quasi un anno di tempo, in un periodo storico in cui i medici scarseggiano.

I laureati in Italia che non possono esercitare senza un permesso di soggiorno lavorativo

La dottoressa Tufshe è nella sua stessa situazione, anche lei di origini albanesi e laureata in Italia. Tufshe è andata di persona al Ministero, battendosi per un diritto fondamentale della persona, quello del lavoro.

Sono andata di persona e mi è stato detto: lei deve studiare, non lavorare, pretende di sapere la legge meglio di me? A quanto pare sì. Con un diploma in Medicina e chirurgia e un’abilitazione si può essere medici di base, per esempio. Ti spingono a lavorare da badante, da cameriere, in modo tale da prendere il permesso di soggiorno lavorativo. Ma io sono un medico, reclamo il mio diritto a esercitare la mia professione

Confusione legislativa, leggi che discriminano una categoria oggi più preziosa che mai, forza lavoro che formiamo in Italia e poi regaliamo all’estero. Le sporadiche iniziative delle Regioni che guardano avanti vanno incoraggiate. Ma non bastano.

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