Le ultime notizie parlano di minori non accompagnati e senza protezione respinti alla frontiera, dopo essere stati abbandonati in un lungo viaggio attraverso i Balcani. Un “dramma nel dramma”, così lo si descrive. E il rischio di cadere nella retorica, nel parlare di rotta balcanica, non è una questione semantica. Lo sa bene Gianfranco Schiavone di Asgi grazie al quale da tempo NRW cerca di raccontare una tragedia a lungo sottorappresentata in Italia. Fino a quanto l’attenzione generale è stata catturata dalla tragedia di Lipa, nell’estremo nordovest della Bosnia-Erzegovina e a ridosso della frontiera con la Croazia.

Un campo che presta fin troppo bene a diventare simbolo di quell’odissea umana già incarnata, per dolore e tragicità, da Moria e, prima ancora, dai tanti “disperati del mare”, cui eravamo forse ormai assuefatti.

Il report

Non a caso alle singole storie di orrore ben pochi hanno affiancato il racconto di un quadro ben più complesso, contenuto nel report “La rotta balcanica: i migranti senza diritti nel cuore dell’Europa” reso pubblico in questi giorni dalla rete RiVolti ai Balcani alla quale partecipa anche ASGI «Scopo di questo lavoro, che è alla sua seconda edizione, è collegare i numerosi aspetti di quanto sta avvenendo in Bosnia, una catastrofe umanitaria di cui troppi parlano come se fosse una novità, mentre non lo è affatto. Episodi appena meno gravi erano già avvenuti, perché un sistema di accoglienza, anche a livello minimo, in Bosnia non è mai nato». Non siamo di fronte né ad una crisi improvvisa né ad una crisi bosniaca, ricorda Schiavone. «Alla Bosnia sono stati dati fondi per ottemperare ad un compito impossibile, quello di confinare e trattenere i migranti: una situazione esplosiva visto che parliamo di un Paese estremamente povero, instabile, ancora diviso al suo interno. Di fatto, abbiamo chiesto alla Bosnia di diventare un enorme campo di confinamento, come già avvenuto con Turchia e Libia».

Quell’Europa ultima responsabile di questa crisi umanitaria («e delle violenze in Croazia, con l’Italia che si è dimostrato esecutore molto volenteroso dei respingimenti alla frontiera») si trova oggi sotto esame. O quantomeno lo è l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera Frontex, nella persona del suo direttore Fabrice Leggeri, sotto indagine per (presunti) casi di respingimenti illegali di migranti da parte di un’altra agenzia Ue, Olaf, che si occupa di frodi e illeciti. Un risvolto importante per Asgi, che da tempo denuncia quegli stessi respingimenti: in una fortuita concomitanza, pochi giorni fa il Tribunale ordinario di Roma ha sancito che i respingimenti voluti dal ministero dell’Interno italiano al confine con la Slovenia violano obblighi costituzionali e del diritto internazionale. A cristallizzarlo è stata un’ordinanza arrivata a seguito di un ricorso presentato da due avvocatesse di Asgi che hanno seguito un richiedente asilo originario del Pakistan, respinto a Trieste nell’estate 2020: «Nell’ordinanza si evidenziano delle tesi di cui avevamo sempre sostenuto la validità» conferma Schiavone. «Ma è una vittoria che mi lascia triste, perché non posso non constatare che di fronte ad una violazione così clamorosa, per mesi e mesi sia stato impossibile parlane. Il governo italiano ha agito in modo incredibile, attuando e praticando una illegalità che a luglio 2020 ha rivendicato ideologicamente addirittura in Parlamento».

I respinti dimenticati

Un baratro, prosegue Schiavone, nel quale non è presente solo l’Italia, perché i respingimenti a catena riguardano tre Paesi: «La cosa che è difficile far comprendere è quanto, in questo caso, arrivare ad avere giustizia abbia del miracoloso. Sappiamo che lungo la rotta balcanica i migranti sono sottoposti a fame, freddo, stenti e persino torture. La priorità per loro non è avere giustizia, è sopravvivere. Ma in questo caso abbiamo trovato un uomo determinato, che si è procurato in modo fortunoso il passaporto del suo Paese e poi riuscito a sopravvivere, come homeless e senza status legale, esposto alle violenze, che per estremo potrebbero colpirlo persino adesso».

Perché i “respinti”, come li chiama Schiavone, sono persone che scappano senza avere un documento in mano, e alle quali non viene rilasciato alcun provvedimento da impugnare in un tribunale per poter contestare la mancata ammissione in territorio italiano:

Chi ha pianificato la macchina dei respingimenti sa che dall’altra parte non c’è una persona che di fronte ad un respingimento illegale ha la possibilità di telefonare all’avvocato e mentre aspetta il procedere della giustizia, dormire e mangiare sotto un tetto, al caldo.

La Bosnia è la Libia europea?

L’improvvisa attenzione che gli eventi di Lipa hanno scatenato lascia però Schiavone dubbioso. «Io credo che gli italiani non si rendano conto fino in fondo della gravità di quanto sta avvenendo. Pensano che quella di Lipa sia una crisi umanitaria e che le violenze sistematiche su migliaia di persone in Croazia siano frutto di corpi deviati della polizia. Non è così perché la crisi in Bosnia è conseguenza prima delle scelte di confinamento fatta dall’Unione Europea e le violazioni in Croazia è conseguenza di operazioni pianificate. L’indagine su Frontex, attiva anche in Croazia, è un’indagine su una delle agenzie sulle quali la politica europea ha fatto maggiore affidamento, negli ultimi cinque anni. Ad essere sotto indagine è un approccio ossessivo nei confronti dei controlli di frontiera e dei respingimenti».

Gli scenari del 2021

Per chi si occupa di rotta balcanica il 2021 è iniziato con un tale concentrato di eventi, che molto ancora resta aperto, per i mesi a venire: «Mi auguro che questa indagine porti a obblighi di rispetto del mandato dell’agenzia, e si determini quali sono i suoi compiti, quali le misure di controllo interne. Sul piano del Patto sull’immigrazione, spero che a livello politico si comprenda che la direzione presa porta alla sistematica violazione dei diritti umani».

Nonostante l’opinione pubblica, la stampa e persino eurodeputati italiani siano oggi volti a quanto avviene sul confine croato, Schiavone vuole aspettare che passi il frastuono, prima di dare giudizi: «Alle cose negative ci si abitua alla svelta. Aspetto di vedere cosa succederà tra qualche mese, quando le domande di asilo cominceranno a salire, perché a causa della pandemia il 2020 è stato un anno che ha visto pochissime richieste di protezione umanitaria. Quanto le cifre torneranno nella norma, c’è chi sarà chi avrà gioco facile nello strumentalizzarle, gridando all’invasione». A quel punto, però, il tragico sarà diventato ordinario e le singole tragedie oggi al centro di tanti racconti torneranno ad essere numeri da tenere lontani dalle frontiere: «Il processo di normalizzazione delle nefandezze che avvengono lungo la rotta balcanica è in atto. Certo, nessuno oserà mai dire che Lipa è un bel posto ma nessuno oserà spingersi più in là, tanto da aprire una onesta discussione sulle aperte violenze da parte della Croazia e soprattutto sul perché la polizia croata agisca così. Non è Lipa il problema.

Il problema è che l’Europa ha chiesto Croazia di fermare queste persone. E se vuoi veramente fermare qualcuno, non lo fai certo giocando di fair play.