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Hilarry Sedu, 34 anni, origini nigeriane, avvocato, consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, e membro del team legale della Onlus Bon’t worry è finito su tutti i media lo scorso 3 febbraio quando, durante un’udienza, un giudice onorario gli chiese se fosse laureato e avesse il tesserino per esercitare. «Mi dà quasi fastidio dover parlare di queste cose ancora nel 2021. Ma bisogna parlarne perché da noi si fa ancora fatica a pensare a una società multiculturale».

Avvocato Hilarry Sedu, passata quella brutta giornata?

«È passata relativamente. Le discriminazioni infastidiscono chiunque».

Le era già capitato?

Si era già successo. A volte passava tutto con una risata. Capita che non mi riconoscano come avvocato. In un processo penale il giudice ha chiesto all’imputato chi fosse il suo difensore mentre ero già in aula

Ci sono molti avvocati di origine straniera in Italia?

«Ce ne sono tanti. A Napoli, Palermo, Cagliari, in Veneto, in Calabria… Io ho il primato di essere il primo Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di origini straniere».

E magistrati?

«Nessuno. Il percorso per il concorso in magistratura è arduo ed economicamente oneroso. Per questo è spesso negato ai figli degli stranieri che non hanno possibilità economiche».

Le dà fastidio essere diventato suo malgrado un simbolo della lotta contro le discriminazioni?

«Mi ha fatto piacere ricevere tanta solidarietà, da Merano a Caltagirone. Ma dà fastidio che queste cose avvengano ancora nel 2021. Non abbiamo ancora maturato quella cultura di una società multietnica come invece è già avvenuto in Gran Bretagna, Francia o Germania».

Lei è in Italia da quando aveva 6 mesi. La situazione è peggiorata negli ultimi anni?

«È sempre stato così. Quando i miei genitori migrarono non c’era questa massiccia presenza di stranieri. A seguito delle Primavere arabe sono iniziati arrivi massicci dall’Africa Subsahariana. Una cosa che alla fine va a incidere sulla società e sul modus vivendi. Forse non tutti gli atteggiamenti ostili sono dovuti a razzismo, ma ci sono sicuramente delle barriere culturali».

Lei professionalmente si occupa molto di migranti e di haters da tastiera. Anche questo un fenomeno in grande crescita.

«Gli haters sono aumentati con la diffusione dei social media. Ma il loro obiettivo non sono solo gli stranieri. Ci sono fenomeni di cyberbullismo, body shaming e denigrazione delle donne. Sono episodi di violenza».

In questi anni, in Italia si parla molto di riforma della giustizia. Lei da dove inizierebbe?

«Dalla digitalizzazione degli uffici dei giudici di pace. Invece di parlare di taglio della prescrizione, per rendere più veloce un sistema pachidermico, bisogna intervenire sulla struttura. Non si possono cancellare diritti e garanzie costituzionali nel nome dell’efficienza. Ci si dimentica spesso che nel momento in cui inizia un procedimento incomincia anche la pena. Una pena che dura per tutto il periodo prima ancora del processo, quando una persona è come sospesa in un limbo. A quel punto, se passa troppo tempo, non si può più pretendere la condanna di un cittadino, non si può tagliargli la testa solo per fare prima. Se si vuole che la macchina della giustizia non sia pachidermica ci vogliono più magistrati, più cancellieri per avere sentenze più rapide».

Cittadinanza, ius soli, ius culturae, diritto di voto, altri temi di cui si discute da anni…«La legge sulla cittadinanza è del 1992. La società nel frattempo si è modificata, sono arrivati più stranieri che hanno avuto figli nati qui. Persone che hanno frequentato la scuola, maturato un percorso di formazione e che per questo sono cittadini italiani».

Ius soli o ius culturae.

La sinistra vorrebbe lo ius soli. La destra vorrebbe mantenere lo status quo. Lo ius culturae è una linea mediana. Cittadinanza non per tutti gli stranieri ma per chi è nato qui e ha frequentato due cicli scolastici. Si è italiani quando si padroneggia la lingua e si è assimilata la cultura. Chi meglio di chi è stato nelle nostre scuole?

Poi c’è la questione del diritto al voto.

«È un principio sancito dall’articolo 3 della Costituzione: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Perché allora non riconoscere il diritto di voto alle elezioni amministrative? Per quelle nazionali, che implicano un intervento a livello legislativo nazionale, bisogna invece essere cittadini italiani».