Eletta per la prima volta alla Camera nel 2006 per il Pd, già viceministro allo Sviluppo economico nel governo Renzi prima e nel governo Gentiloni poi, Teresa Bellanova viene dalla CGIL e in particolare dalla Filtea (Federazione italiana lavoratori del tessile-abbigliamento), di cui nei primi anni anni duemila è stata membro della segreteria nazionale con delega alle politiche per il Mezzogiorno, alle politiche industriali e al mercato del lavoro.
Radici: Non le sembra che il dibattito mediatico e politico sia eccessivamente polarizzato fra chi considera gli immigrati tutte vittime e chi solo un problema?
Bellanova: Direi esclusivamente, con un grave torto a un approccio intelligente e alla realtà. Il tema dell’integrazione va considerato come questione epocale, che interroga tutti noi e obbliga innanzitutto le classi dirigenti del Paese a volerla affrontare come tale. Il problema è dato dalla pochezza degli strumenti che ci siamo dati e che, nella sostanza, rimangono ancorati alla prima legge, la Turco-Napolitano, emanata per governare quella che, all’epoca, appariva un’emergenza all’indomani del crollo del Muro di Berlino. Proprio questa polarizzazione, funzionale a una semplificazione del tema, elude la complessità e la possibilità di affinare strumenti per affrontarlo adeguatamente.
Radici: L’accoglienza è solo emergenziale o esistono altri modelli?
Bellanova: Tutt’altro. L’accoglienza vera significa politiche e filiera istituzionale coesa capace di attuarle. Il contrario dell’emergenza. Faccio un esempio: se da Sud a Nord con la legge contro il caporalato abbiamo gli strumenti adeguati per perseguire il reato di intermediazione illegale della manodopera, soprattutto migrante e spesso clandestina in imprese non solo agricole, è evidente che di quella manodopera c’è bisogno. Oggi, in migliaia e migliaia di famiglie italiane, uomini e donne immigrati o dell’Europa dell’Est sono un fondamentale presidio di aiuto. Così nel segmento del turismo e della ristorazione, nel commercio, nella nascita di nuove imprese. C’è una realtà che va assunta nella sua complessità. Per pensare e attuare modelli non solo di accoglienza ma di vera e propria integrazione.
Radici: Non pensa che le regole di ingaggio di Triton, che impongono all’Italia di farsi carico di chi soccorre, siano sbagliate? Non crede che il peso vada redistribuito su tutta Europa?
Bellanova: Assolutamente, anche se considero sacro l’obbligo di salvataggio in mare della vita umana e l’individuazione del porto sicuro e più vicino dove far sbarcare le persone in pericolo di vita. È del tutto evidente che l’Europa non è mai stata capace di mettere in campo una vera politica unitaria, che ogni Stato ha deciso per sé, che l’Italia è stata lasciata sola nel gestire emergenze e prima accoglienza. Ricordo che con il governo Renzi abbiamo posto le premesse per un superamento del Regolamento di Dublino. E un tema che non può essere né eluso né ignorato: bisogna sostenere chi vuole rimanere nel proprio Paese. Con un grande Piano Marshall e il coraggio di ridiscutere le ragioni di scambio. Non foraggiando élite spesso colluse e criminali, ma sostenendo progetti reali e profondi di crescita e sviluppo nei Paesi di origine. La cooperazione internazionale, quella di qualità, ha questo obiettivo. Non la barbarie retorica e politica cui ci sta condannando il ministro dell’Interno. Sono fiera dell’aumento dei fondi per la cooperazione voluto dal governo Renzi. Del Piano Africa presentato per primo da noi come Migration compact nel 2016 e poi in larga parte confluito nell’iniziativa di Angela Merkel per il G20 del 2017.
Radici: Come risolverebbe il problema dei ghetti e dei Cara?
Bellanova: Non sono la stessa cosa. I Cara sono lo specchio di una logica emergenziale, che non risolve il problema e anzi lo amplifica. I ghetti sono luoghi dimenticati da dio e dagli uomini, di solito gestiti con logiche criminali, funzionali all’economia illegale nel nostro Paese. I Cara vanno superati, i ghetti vanno assolutamente smantellati. E credo che i corridoi umanitari siano un’esperienza preziosissima, che vada sostenuta e rafforzata.
Radici: A proposito di stereotipi. Sa quanti sono i nuovi italiani? Glielo diciamo noi: più di quanti ne siano sbarcati nel 2017: 240mila.
Bellanova: Aggiungo: non sono loro i nostri nemici. A dispetto di tutta la retorica salviniana e leghista.
Radici: Come immagina la vita di uno straniero integrato?
Bellanova: Né facile né semplice. Ogni integrazione riuscita è l’esito di un percorso complesso di relazione, conoscenza, inclusione, scambio reciproco. I dati dei rapporti annuali dello Sprar (Sistema di Protezione per migranti e richiedenti asilo, promosso dal ministero dell’Interno) da questo punto di vista sono interessanti e istruttivi. Dicono che questo sistema funziona, produce qualità, e che l’integrazione, pur essendo un processo lungo e complesso, è possibile. Con soddisfazione di tutti.
Radici: Sa quante imprese sono state create dagli stranieri?
Bellanova: Lo so nel senso che leggo anch’io le statistiche e i rapporti, da UnionCamere a quello recente di Intesa San Paolo, e seguo con molta attenzione il modo in cui aziende create da stranieri si affermano con successo.
Radici: Che lavori fanno?
Bellanova: È interessante la dinamica della specializzazione delle differenti etnie. E altrettanto il raggio d’azione in cui operano con successo le imprese create da immigrati e il loro aumento progressivo negli anni.
Radici: Perché la politica non si occupa, quasi, delle seconde generazioni di immigrati?
Bellanova: Ho nostalgia, non immagina quanta, di una politica capace di pensare per tempi lunghi. Invece siamo immersi nella maledizione del pensare per 180 battute. Se manca il pensiero lungo, se è tutto un richiamarsi alla pancia dell’elettorato, se non modifichiamo il senso di insicurezza percepita a dispetto di tutte le statistiche, come vuole si riesca ad occuparsi delle seconde generazioni? Eppure noi lo abbiamo fatto. Quando abbiamo detto un euro in sicurezza un euro in cultura, quando abbiamo investito – mai così tanto prima d’ora – nella rigenerazione umana e sociale delle periferie, quando abbiamo difeso lo ius culturae con una legge importante che riconosceva il diritto della cittadinanza a chi lo è già nelle cose. Legge che andava esattamente in questa direzione.
Radici: Secondo lei, è una minoranza quella che frequenta l’università?
Bellanova: I dati del Miur relativi alla presenza nelle università sono significativi, così quelli degli alunni con cittadinanza non italiana nelle nostre scuole, sempre più numerosi nella scuola dell’infanzia.
Radici: Pensa che la futura classe dirigente in Italia avrà anche origini straniere?
Bellanova: Lo penso e lo auspico.