Formalmente non ci sono prove che sia stata la mano di Hezbollah, cioè del partito di Dio sciita sostenuto dall’Iran, a compiere l’assassinio di Rafik Hariri, primo ministro straziato sul lungomare di Beirut da una bomba potentissima il giorno di San Valentino di quindici anni fa: Salim Ayyashi è l’unico responsabile dell’omicidio dell’ex primo ministro libanese, Rafiq Hariri. Lo ha stabilito il Tribunale speciale per il Libano dell’Onu che ha scagionato gli altri tre imputati, anche loro latitanti, e il Partito di Dio, accusato di aver organizzato l’agguato che il 14 febbraio 2005 è costato la vita ad Hariri e ad altre ventidue persone. «Non ci sono prove del coinvolgimento di Hezbollah nell’assassinio», hanno scritto i giudici della Corte con sede a Leidschendam, nei Paesi Bassi. 

All’udienza era presente il figlio Saad, leader del Partito sunnita Al Mustaqbal (Futuro) e più volte capo del governo a Beirut. Saad era quel premier “salvato” da Macron quando era rimasto bloccato a Riad. Infatti i due Stati rispettivamente nemici tra loro e autonominatisi protettori del Libano, l’Arabia Saudita e l’Iran, non sono contenti di come le cose stanno andando a Beirut.  

La sentenza è stata attesa da entrambi con molta preoccupazione, così come da tutti i libanesi. Accusati del delitto politico, anche se in contumacia, erano quattro militanti di Hezbollah, il partito di Dio, cioè gli amici di Teheran. Entrambe le forze politiche, sia quella sunnita di Hariri che quella sciita filo-iraniana, sono determinanti per la formazione di qualsiasi futuro governo libanese

La sentenza doveva essere pronunciata lo scorso 7 agosto ma a causa dell’immane esplosione del porto, è stata rinviata. Molto di ciò che accadrà in Libano dipende dalla sentenza apparentemente salomonica dei giudici, così come dalle mosse dei due padrini. 

Lo scenario

L’Arabia Saudita non è contenta perché dopo gli accordi di Taef, l’ascesa di Hariri padre e la ricostruzione di Beirut (quasi interamente finanziata da Riad), non è riuscita a divenire padrona assoluta del paese come sperava. Gli Hezbollah sciiti non solo controllano il sud del Paese, ma restano l’unica milizia armata, giustificata dal conflitto con Israele. Il partito di Dio si erge a difensore dell’indipendenza del piccolo Paese, sempre alla mercé del potente vicino. E va detto che molti libanesi l’hanno pensata così per diversi anni, per poi ravvedersi. In seguito c’è stata la guerra di Siria, il dissanguamento degli sciiti inviati a combattere per difendere Assad, l’afflusso dei profughi (forse un milione e mezzo i siriani in Libano oggi) e la crisi economica. Non c’è mai stato amore tra libanesi e siriani e oggi ancor meno. La crisi regionale siro-irachena alla lunga rischia di mandare in pezzi anche il Libano che non ce la farebbe a restare unito in un universo totalmente frammentato. Questo non dipende solo dal patto costituzionale o dal pluralismo religioso e culturale del Paese, ma molto anche dal volere dei loro vicini e in particolare dei due Paesi protettori. 

Con l’attuale default e con il crollo del valore della lira libanese, Beirut ha perso definitivamente il suo fascino di paradiso fiscale e con esso la sua utilità che ne faceva un luogo protetto. Ciò che avvenne nel 1975 rischia di riaccadere ancora

Il ruolo da minoranza interna che giocarono i palestinesi allora, oggi potrebbero giocarlo i siriani, molto più numerosi anche se non armati, per ora. Il delicato sistema di divisione del potere tra le varie comunità, già rimaneggiato in favore dei musulmani a Taef, potrebbe non reggere a uno scossone ulteriore. 

La piazza chiede democrazia e diritti

La piazza di Beirut chiede democrazia e diritti all’occidentale ma rischia di non ricevere nessuna risposta. Né l’Iran né l’Arabia Saudita auspicano un’evoluzione in tal senso. C’è da chiedersi se l’Europa e gli Stati Uniti siano in grado di sostenerla. I giovani si sono liberati dal divisionismo confessionale e guardano a leader come Macron che promette un “nuovo patto nazionale”. Saremo in grado di offrirlo? Tra le armi sciite e i petrodollari sauditi, sarebbe bene che l’Europa si svegliasse e giocasse fino in fondo il proprio ruolo.