Nata in Italia, è cresciuta in Veneto. Nonno leghista, ha sempre cercato di fare il ponte fra due famiglie oltre che fra due culture. E ha scritto un libro, Allergica al pesce. Hakuna matata, (S4M Edizioni) sulla ricerca delle proprie radici, fatta con un viaggio da sola in Senegal a 16 anni.
Quest’anno è uscito il suo primo libro, Allergica al pesce. Hakuna matata. Da cosa nasce questa idea?
«A 16 anni ho deciso di trascorrere l’estate in Senegal, avvertivo il bisogno di riscoprire le mie radici. Una volta tornata, ho scritto un articolo per Il Giornale di Vicenza. Qualche anno dopo sono andata di nuovo in Senegal e a quel punto ho deciso di raccontare meglio queste esperienze in solitaria in un libro. È più che altro un diario».
Nel libro racconta delle sue due famiglie, una senegalese e l’altra italiana. Mi può spiegare meglio?
«Io sono nata in Italia, i miei genitori vivevano a Schio, in provincia di Vicenza. Inizialmente erano in difficoltà, perciò io sono andata a vivere con quella che poi è diventata la mia nonna italiana, che mia madre già conosceva. Fra le due famiglie c’era un accordo informale, anche se in realtà tuttora trascorro molto più tempo con la mia famiglia veneta. Questa situazione si è consolidata negli anni, ho un legame fortissimo con i miei nonni e i miei genitori italiani e con mia sorella Mariam».
Che rapporto ha con lei?
«Pieno di contrasti. Lei è l’unica ad aver vissuto questo ping pong tra le due famiglie perciò ci capiamo al volo, le voglio bene anche se non glielo dirò mai, ma non riusciamo a stare per più di cinque minuti nella stessa stanza. Al tempo stesso l’ho dovuta proteggere molte volte».
Proteggerla da cosa?
«Nella preadolescenza sono stata male, le mie due famiglie hanno canoni educativi molto distanti e io finivo a litigare sia da una parte che dall’altra. È in queste circostanze che ho davvero dovuto difendere mia sorella, perché dovevo espormi io e parlare per entrambe».
Crescere con due famiglie molto diverse, con principi educativi lontani, non è semplice. I miei genitori mi considerano pienamente senegalese, mentre i nonni veneti sentono di avermi cresciuta loro, vedono in me un’identità al 100% italiana, ma non è sempre facile districarsi tra i due poli.
Qual è il rapporto con le due famiglie?
Qui c’è l’opinione che c’è dell’Africa… Quando sono partita per il Senegal la famiglia italiana non era d’accordo, eppure io ne sentivo la necessità. Ho ricevuto un eccesso di amore e di attenzioni, ma la mia sensazione è che nessuna delle due famiglie mi accetti completamente.
Lei è nata in Italia ma i suoi genitori in Senegal, hanno perciò una storia molto diversa dalla sua…
«Sicuramente, e prima o poi scriverò un libro anche sulla loro storia. Mia madre è originaria di un villaggio di poche case, Saloum, e mio padre è nato alla periferia di una città, quindi in contesti molto diversi dal mio. Pensi che non sanno neanche precisamente il loro anno di nascita…».
Come sono arrivati in Italia?
«In aereo, inizialmente vivevano a Napoli. Loro sono stati fortunati, mio padre dice sempre che se fosse stato giovane oggi non sarebbe mai venuto in Italia. Inizialmente faceva il venditore, oggi lavora in una tipografia. Mia madre invece possiede un negozio di vestiti africani a Dakar, che gestisce sua sorella».
C’è un grande divario generazionale tra lei e i suoi genitori?
«Sì, e spesso ho la sensazione di non venire accettata per quello che sono, mi vorrebbero più senegalese e meno italiana».
Quindi loro ci tengono che lei mantenga delle radici con il Senegal, anche incentivando il tuo rapporto con la comunità senegalese in Italia?
«Mia madre spesso fa paragoni con gli altri ragazzi senegalesi, che però sono cresciuti esclusivamente con le loro famiglie biologiche e hanno perciò un’esperienza molto diversa dalla mia. In fondo è stata una scelta loro, è normale che io abbia assorbito sia da una parte che dall’altra».
Qual è la realtà dei senegalesi in Italia?
«Penso che metà degli immigrati senegalesi siano a Schio, sono veramente tanti. Io li frequento, ma non mi sento mai del tutto integrata, anche solo per un fattore linguistico: parlo il wolof ma non perfettamente. I senegalesi qui sono molto ben integrati nella comunità, e grossi episodi di razzismo non ne sono mai capitati».
Chi votano i senegalesi?
«In pochi votano. Alcuni non possono perché non hanno la cittadinanza, altri pur potendo non lo fanno perché non si sentono italiani, inclusa mia madre. Non ho mai sentito parlare un senegalese di politica italiana».
E lei che rapporto ha con la comunità senegalese?
«In qualche modo ne faccio parte, ma non abbastanza. Soprattutto con le ragazze ho poco in comune. Ad oggi io penso all’università, le mie coetanee senegalesi ai figli…».
Cosa studia?
«Inizialmente avevo in mente di fare Scienze politiche, alla fine ho scelto Investigazione e sicurezza in provincia di Terni. Non era il sogno che avevo fin da bambina, però finite le superiori ho capito che era un argomento che mi interessava. I gialli sono sempre stati una passione, insieme alla boxe».
Si capisce che ha un forte legame con il suo Veneto, roccaforte della Lega, le cui idee sull’immigrazione sono note.
«Io sono stata fortunata, non ho mai subito episodi gravi di razzismo. Semmai commenti che di solito si fanno alle persone di colore, tipo essere chiamata “bionda” per strada».
Il messaggio leghista è controverso ma anche ambiguo. Mio nonno ad esempio è leghista e spesso se ne esce con commenti abbastanza estremisti sugli immigrati. Gli dico che con questo discorso io non sarei mai nata in Italia e lui mi risponde “Ma che c’entri tu! Tu sei italiana!”
Conosce molti ragazzi che vivono in Senegal, loro vorrebbero partire e venire in Italia?
«Sì, in vacanza! Nelle città si vive bene, e gran parte dei ragazzi che conosco non ha nessuna intenzione di trasferirsi».
Ad oggi il razzismo è un argomento di cui si parla molto, quali sono secondo lei le vere dimensioni di questo problema?
È vero, il razzismo c’è e questo è innegabile. Ma non bisogna rendere il razzismo una scusa per il proprio fallimento. Non si può giustificare la mancanza di lavoro dietro al fatto di essere una donna nera, io lo sono e ho sempre lavorato. Quando mi dicono che non ha senso tentare, che i bianchi ci vedranno sempre e solo come i neri che non vogliono fare nulla… Ecco, quelle secondo me sono persone a cui in realtà non va di fare nulla.
È aumentato negli ultimi anni?
«È aumentato, ma per colpa dei social. Appena succede una piccola cosa, viene amplificata dai social, tutti gli immigrati si rivoltano e finiscono col generalizzare dicendo che tutti gli italiani sono razzisti».
Qual è il modo migliore di affrontare il problema?
«Solo con l’educazione si può cambiare qualcosa. Non ha senso andare da adulti che la pensano già così, non riuscirai a far cambiare opinione a qualcuno che l’ha pensata così tutta la vita. Dovremmo educare i bambini al rapporto col diverso, aprirli alla multiculturalità. Io molto spesso vado nelle scuole a tenere lezioni sulla diversità, eppure io stessa mi sento dare della razzista “al contrario”».
In che senso?
«Molti dei miei amici italiani sono convinti che io voti Lega, o comunque quel tipo di destra. Vedono la mia propensione verso l’Italia e forse non la capiscono. Al tempo stesso i senegalesi mi vedono passare gran parte del mio tempo con gli italiani e pensano che io li discrimini».
La irrita la rappresentazione comune sull’Africa?
L’Africa è una grande risorsa. Merita di essere considerata come continente, non è solo un bacino di povertà, distruzione e clima invivibile. Lo pensavo anche io prima di andarci e invece è piena di persone con un enorme potenziale.
Cosa chiama “casa”?
«Cogollo del Cengio (dove vive con la famiglia italiana, ndr). Io giro tanto, ma sono cresciuta là e là morirò».