di Sindbad il Marinaio
Questo festival di Sanremo ci piace perché non sono solo canzonette, come abbiamo raccontato nell’ intervista a Yuman. Ci piace Ornella Muti che si batte per la legalizzazione delle droghe leggere e lo dice, ci piacciono Mahmood e Blanco che cantano in coppia e si baciano, alla faccia di chi ha affossato il disegno di legge Zan. E ci è piaciuta, soprattutto, Lorena Cesarini, l’attrice arrivata a Roma da Dakar quando aveva pochi mesi, la prima afroitaliana a calcare il palcoscenico del Teatro Ariston come co-conduttrice guest star. Non ci piacciono ovviamente gli hater da tastiera che l’hanno presa di mira per il colore della sua pelle. Lei ha tirato dritto e mercoledì sera, intimidita dalla paura e in lacrime, non si è trattenuta: «Ho scoperto solo ora di non essere italiana come gli altri».
Poi ha ribattuto punto per punto agli haters.
Lorena Cesarini più forte degli hater
A chi la bollava come la «nera chiamata a Sanremo per pulire le scale», lei con una laurea e un dottorato ha ribattuto: «Anche quello è un lavoro dignitoso». Alla fine è risultata efficace anche se non militante.
Pretendere un proclama alla Malcolm X o da Black Lives Matter da una giovanissima attrice, sarebbe stato impensabile. Una lacrima certe volte vale più di un pugno
Basta guardare le reazioni successive al suo monologo sui social. Tra chi la difende e chi l’attacca, magari solo per l’acconciatura, l’eccessiva magrezza e un vestito considerato inadeguato, prevalgono ovviamente i riconoscimenti. Le critiche più severe sono al contesto, a questo Sanremo definito troppo politically correct da chi si aspettava solo canzonette. E non più al colore della sua pelle: come se le lacrime di Lorena Cesarini, una nera come tante, fossero state un argine già efficace al razzismo. On ogni caso un brutto spettacolo. Molto meglio Sanremo. Perché alla fine, come ha scritto Aldo Grasso sul Corriere della Sera: «Sanremo è sempre un passo più avanti del Paese».
di Michela Fantozzi
Nuda. La prima reazione che suscita il monologo di Lorena Cesarini, tra il gesticolare e le lacrime, è la vergogna della nudità. La sua fragilità risveglia ricordi infantili, di ferite inferte dagli insulti a ricreazione, tra l’ora di italiano e matematica. Fragilità esposta, piazzata sul palco più importante d’Italia, a mendicare compatimento servendosi di luoghi comuni e banalità antirazziste da scuola elementare. La sua timidezza, il dondolare sul posto con le mani agitate, non è il comportamento di una donna adulta, anche se emozionata, quando affronta un argomento serio come il razzismo.
Lorena Cesarini scopre una cosa dopo essere diventata co-conduttrice di Sanremo: che gli italiani sono razzisti e i social sono la fogna dell’umanità. Ed eccoli lì, alcuni insulti condivisi sui social, elevati a citazioni degne di un mega schermo dal festival musicale che ha fatto la storia del Paese
Dice: «Vi leggo alcune frasi che sono uscite sui social» e la prima reazione è: perché?
L’antirazzismo visto a Sanremo è vittimismo
Non c’è riscatto in questo lungo monologo, non c’è forza, non c’è una riflessione adulta e matura sul razzismo in Italia, se proprio bisognava farne una in quel contesto. Ciò che si vede è una donna chiamata sul palco in qualità di attrice, che presta il fianco agli autori del programma e perde i suoi meriti per vestire la sua pelle come la totalità della sua identità. Può commuovere e infiammare solo chi ha fatto propria la retorica vittimista dei social che sembra ormai l’unico modo, oggi, per approcciare questioni culturali e sociali importanti.
Infastidisce, ma allo stesso tempo consola lo spettatore medio di Sanremo. Su quel palco non c’era certo Malcom X, c’era il buon Venerdì di Robinson Crusoe che chiede “vogliatemi bene”