Si scrive guerra, si legge petrolio. Un cessate il fuoco e una pace duratura erano alla base delle richieste messe in campo dai rappresentanti della comunità internazionale che a Berlino, la scorsa domenica, hanno incontrato le parti in guerra libiche. Ma sul tavolo è entrata con prepotenza la chiusura dei pozzi che Haftar ha usato come un mezzo di pressione sui presenti.

Il risultato: un embargo sulle armi, il cessate il fuoco, l’avvio di un processo politico, riforme del sistema di sicurezza, economico e finanziario (“respingiamo qualsiasi tentativo di danneggiare l’infrastruttura petrolifera libica, qualsiasi sfruttamento illecito delle sue risorse energetiche”, si legge nel testo finale). E per quanto riguarda i diritti umani? Cosa è stato deciso degli oltre 40 mila migranti (dati delle Nazioni Unite) attualmente rinchiusi nei centri di detenzione della Libia? Vaghe esortazioni “a tutte le parti in Libia a rispettare pienamente il diritto internazionale umanitario e il diritto dei diritti umani”, con richiesta della “fine della pratica della detenzione arbitraria” e di “chiudere gradualmente i centri di detenzione per migranti e richiedenti asilo”.

Eppure, spiega Monica Bonini, docente associato di diritto pubblico all’Università Bicocca di Milano, la soluzione era (ed è) alla portata della comunità internazionale. La professoressa, esattamente un mese fa, è stata portavoce di una petizione diretta al Parlamento italiano della quale è stata promotrice insieme ad un gruppo di costituzionaliste (Auretta Benedetti, Luciana De Grazia, Carla Gulotta, Angela Musumeci, Elisabetta Palici Di Suni e Francesca Rescigno).

Nel documento si chiedeva al Parlamento di “porre fine ai crimini contro l’umanità sistematicamente perpetrati nei centri di detenzione libici; realizzare l’evacuazione immediata delle persone sottoposte alle misure di detenzione arbitraria nei centri di detenzione libici e garantire ai minori e, in particolare, alle donne, alle ragazze, alle bambine migranti e rifugiate, in quanto esposte, più di ogni altro gruppo vulnerabile, a indicibili forme di violenza nei centri di detenzione libici, le cure fisiche e psicologiche necessarie, trasferendo i primi e le seconde, non appena evacuati, in strutture dedicate dell’Unione europea”.

Una richiesta eccessiva, in tempi di guerra? Bonini rispedisce al mittente la sola idea. Nonostante a Berlino siano state intraprese ben poche azioni per salvare migranti e rifugiati attualmente rinchiusi nei campi libici, spiega la docente, «gli Stati oggi hanno tutti gli strumenti normativi e giuridici per affrontare il tema e il quadro delle norme internazionali vincola al rispetto dei diritti umani». Un piano d’azione europeo molto preciso, peraltro, spiegano le docenti nella petizione, è stato tracciato lo scorso giugno in una raccomandazione firmata dalla commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović.

Ci sono persone che, in questo momento, in Libia, sono sottoposte a violenze indicibili. Come nazione, non solo è nostro dovere agire, ma è anche in nostro potere. È innegabile il fatto che la recrudescenza del conflitto abbia reso la situazione più complessa, ma è inutile girarci intorno.

«Ci sono strumenti internazionali, come la quarta Convenzione di Ginevra, che ci permetterebbero l’evacuazione quasi immediata di queste persone dalla Libia. Stiamo parlando di un migliaio di persone, numeri esigui in un continente vasto come quello europeo» prosegue Bonini.

Nel dopo Berlino, è necessario che la politica italiana faccia una scelta: «Noi siamo giuriste, il nostro ruolo è quello di riportare chiarezza, ricordare che ci sono valori non negoziabili, anche se scomodi. E i diritti umani, nella storia dell’umanità, sono sempre stati scomodi, ma fondamentali. Lo spieghiamo in aula, ai nostri ragazzi del primo anno: “Il diritto è l’insieme di quelle regole che vengono adottate per assicurare la convivenza pacifica“. Nella nostra petizione, chiediamo alla politica italiana di ricordarselo. Di farsi promotrice del rispetto degli obblighi internazionali».

Foto: Grant Durr/Unsplash