Un flusso costante di sfollati ucraini, incolonnati per lunghe ore alla dogana che divide l’Ucraina dalla salvezza: l’Europa. Dall’altro lato della frontiera trovano accoglienza, un pasto caldo, qualche indumento.

Ma il viaggio degli ucraini verso Siret, primo avamposto romeno al di là della frontiera, è lungo. Lì Fondazione Progetto Arca, organizzazione milanese in prima linea per l’inclusione sociale in Italia, in collaborazione con l’ong spagnola Remar, ha installato un punto di ristoro ed accoglienza sin dai primi giorni dell’invasione russa in Ucraina

Con convogli umanitari che partono quasi settimanalmente accoglie, distribuisce beni di prima necessità e coordina il transito dei profughi ucraini, ma non si ferma qui. Il presidente Alberto Sinigallia racconta di una situazione critica non tanto all’arrivo nel territorio romeno quanto dall’altro lato della frontiera, in Ucraina: «Colonne di donne, bambini e anziani aspettano in piedi anche per intere giornate. Sotto alla neve, senza viveri, senza medicine. Accompagnati dalla loro disperazione».

Per questo Fondazione Progetto Arca, insieme a Remar, ha deciso di allestire un punto d’accoglienza anche in terra ucraina, a Chernivtsi, là dove poche ONG si spingono. Al momento offrono ristoro a chi attende di superare i controlli della polizia di frontiera, ma in questi giorni è in costruzione un tendone di circa 400 mq, che offrirà un letto a oltre 300 profughi.

Sostenere gli ucraini nella parte più dura del viaggio

Un campo tendato e una palestra, questi gli spazi in cui Fondazione Progetto Arca è riuscita ad allestire: un sistema d’accoglienza di fortuna per tutti coloro che riescono a superare la dogana e giungere a Siret. «Quando arrivano da questa parte sgranano gli occhi, sono stupiti di ricevere un’accoglienza organizzata, sorpresi da questo abbraccio di supporto», racconta Sinigallia.

Alle spalle hanno ore di cammino, di pullman, di macchina per scappare dalle grandi città bombardate, nella speranza di raggiungere il confine. «È un flusso continuo di persone, notte e giorno. Ma ad oggi il problema non è ancora la ricollocazione degli ucraini. Quasi tutti quelli che arrivano a Siret hanno un posto dove andare, pezzi di famiglia in giro per l’Europa, amici che li aspettano. In più il governo romeno ha istituito sistema di smistamento quasi imprenditoriale pagando, oltre all’ingaggio dell’autista, 20 euro per persona trasportata».

Se per ora il meccanismo sembra efficace, e le persone trovano facilmente trasporti fuori dalla Romania, c’è il rischio che questo sistema, impossibile da monitorare, sfoci in fenomeni di tratta. Ci sono molte donne e bambini tra chi fugge che vanno tutelati.

La sofferenza è invece palpabile dal lato ucraino, dove il flusso continuo di persone in fuga e i rallentamenti dovuti ai controlli della dogana creano file chilometriche. «È un’umanità esausta quella che attendiamo. Ci siamo accorti che non aveva senso sgomitare là dove il supporto non manca e sono presenti molte ong, e larciarli soli nel momento più duro del viaggio. Siamo entrati a circa 40 km dentro al confine ucraino e abbiamo allestito un punto di ristoro a Chernivtsi, là dove i profughi sono costretti a ore di fila».

Stiamo preparando anche un dormitorio con 170 letti a castello, per ospitare chi è in transito o chi semplicemente aspetta. Quelli che non hanno dove andare arrivano al confine in macchina e rimangono in attesa. Che il conflitto finisca, per tornare a casa, o degeneri, per scappare

Storie di donne e uomini ucraini coraggiosi

Mentre gli uomini sopra ai diciotto anni sono costretti a rimanere e a combattere in Ucraina, sono le donne ad essere le protagoniste di questo esodo. «Sono donne forti quelle che incontriamo ogni giorno, che arrivano da noi con gli occhi induriti. Ma quando varcano il confine e capiscono di avercela fatta crollano. Sentono ancora il rumore delle bombe, e sanno che sono le stesse che ora cadono sui mariti, sui figli che hanno dovuto lasciare indietro».

Generazioni di donne che si mettono in cammino, figlie che portano in salvo i genitori anziani, nipoti che aspettano i nonni. «Gli anziani sono tra gli ultimi a lasciare le loro case – racconta Sinigallia – un po’ per stoica resistenza un po’ per l’evidente difficoltà negli spostamenti. Maria è una di quelle nipoti. È partita da Santa Teresa di Gallura, mentre sua nonna Halina, residente in un paese vicino a Kiev, ha pagato il viaggio ai vicini pur di essere accompagnata al confine. Quando finalmente si sono incontrate si sono strette in un lungo abbraccio. Maria l’ha subito accompagnata in bagno per aiutarla a cambiarsi. Nonostante alcuni problemi nell’ottenere i documenti, è  riuscita a portarla con sé  in Sardegna. Sono gesti ordinari, ma in condizioni disperate».

Scene che si ripetono all’infinito, tutte simili tra loro, nella loro umanità. «Il carico emotivo è enorme. Ciò che dilania di più è assistere ai saluti dei padri che accompagnano le loro famiglie al confine, e poi tornano indietro a combattere. Succede in continuazione, ma lo strazio è sempre uguale». Rimangono sole, madri che fanno quel che possono per mettere al sicuro i bambini, cercando di rendere loro meno atroce la guerra. «L’obiettivo è quello di tornare in Ucraina, alle loro vite. Spero possa accadere quanto prima, perché  al momento il Paese è drenato della sua gioventù», testimonia Senigallia.

Foto di Claudio Papetti

Il supporto emotivo per le famiglie

Julia è scappata da Kiev con sua mamma e due bambini, uno di due anni e uno di due mesi. Quando hanno sentito le prime esplosioni hanno caricato la macchina con lo stretto indispensabile e sono partiti. Il marito ha corso un grande rischio accompagnandole alla frontiera con la Romania, poi è dovuto tornare indietro. Un altro saluto straziante, l’ennesimo. Fondazione Progetto Arca le ha accompagnate all’aeroporto di Suceava, destinazione Roma dove la attendono la sorella e il cognato. Mamma e figlia lavoravano in ospedale a Kiev, hanno lasciato i loro pazienti senza sapere che cosa accadrà loro. Anche questa è la guerra.

Il compito più difficile, se non altro ora che quella con il confine romeno rimane ancora una zona di scarso interesse per i russi, e non è ancora stata colpita dai bombardamenti, è fornire supporto emotivo. Sono spesso famiglie come quelle di Oxana e Yuri, che nella fuga non hanno voluto lasciare indietro il loro cane e sono ora ospiti del centro di via Aldini a Milano. «Ma sono tanti i bambini che arrivano terrorizzati, che non vogliono salutare i papà. Non capiscono cosa stia succedendo, ma la paura si respira nell’aria».

Gli studenti di origine straniera

Alberto Sinigallia sottolinea come tra coloro che hanno supportano non ci sono solo gli ucraini. Nel centro allestito da Fondazione Progetto Arca sono passati anche molti giovani di origini straniere, che spesso incontrano ancora più difficoltà a fuggire. «Molti studenti stranieri sono rimasti intrappolati nel Paese.

C’erano circa 20mila studenti indiani, 6mila li abbiamo aiutati noi a raggiungere gli aeroporti più vicini per tornare a casa. Un padre è partito da Los Angeles con il primo aereo disponibile. Suo figlio, una volta superata la dogana, lo ha atteso per un’ora in piedi sotto alla neve, sguardo fisso sulla strada. Quando suo padre è arrivato, prima ancora di abbracciare suo figlio si è inginocchiato davanti a noi, in segno di gratitudine. È stato un momento immobile nel tempo».

L’accoglienza degli ucraini in Italia, una crisi umanitaria solo agli inizi

In una guerra ancora aperta, dagli sviluppi fumosi c’è una sola certezza, spiega Sinigalla: «La crisi umanitaria è solo agli inizi, e non si esaurirà nel momento in cui, si spera presto, questo conflitto finirà». Chi varca la frontiera oggi fa parte di una fetta agiata di popolazione, una classe medio alta che ha una rete di appoggio in Europa, e soldi per sopravvivere. «Sono persone benestanti, che arrivano con i loro animali di razza. Persone abituate a un tenore di vita alto, molto diverse da altre migrazioni. In questo caso l’accoglienza, nel momento in cui le famiglie ospitanti non possono più prendersene cura, è ancora più problematica».

Per le donne, che come abbiamo raccontato rischiano di subire violenze e discriminazioni, ma anche per i bambini.

Superata la fase strettamente emergenziale dovremo affrontare un problema educativo che si profila drammatico. Serve creare profili di didattica, anche online, dedicati. I bambini ucraini non parlano italiano, e l’inserimento nel nostro sistema scolastico non è scontato

Secondo Sinigallia la vera ondata migratoria deve ancora arrivare. Fondazione Progetto Arca ha allestito un hub di prima accoglienza a Milano, con il supporto della Protezione Civile Comunale. Nel sottopasso Mortirolo, vicino alla Stazione Centrale, affrontando anche lo screening sanitario e le problematiche legate ai vaccini per il Covid, «ma dobbiamo essere pronti alle criticità future, sia in Italia che al confine. Presto i centri di accoglienza presso i confini ucraini potrebbero passare da punto di transito a punto di stallo».