Come si chiama, cosa fa nella vita e quanti anni ha?
«Mi chiamo Marco Bentivogli, sono il segretario generale della Federazione Italiana Metalmeccanici e sono nato nel 1970».
Si descriva in tre aggettivi.
«Sono testardo, entusiasta, concreto».
Descriva il suo lavoro, in una frase.
«Nel mio lavoro metto insieme e organizzo le persone per promuovere giustizia sociale».
Dove ha vissuto negli ultimi 10 anni?
«La mia vita si svolge tra le Marche, dove ho la mia famiglia, e Roma».
Cosa ha imparato dalla quarantena?
«Credo che questa quarantena abbia dato modo a tutti di ripensare a quanto sia preziosa la libertà e la fragilità di tutti noi e della nostra società. Le cose possono cambiare in un attimo. Bisogna fare tesoro di questa esperienza. Lo dobbiamo alle migliaia di persone che hanno perso la vita. Ripensare dentro un quadro di sostenibilità e fratellanza il nostro sviluppo, puntando sulla tecnologia ma mettendo al centro l’uomo».
Il Covid-19 ha fermato le aziende, ma non le menti: a quali progetti sta lavorando?
«In realtà in molti casi non ha fermato le aziende. In queste settimane molte fabbriche hanno continuato a lavorare. Come Fim Cisl, abbiamo lavorato insieme alle imprese per redigere i protocolli di sicurezza. Continueremo a lavorare nei luoghi di lavoro si tratterà di gestire la fase di ripartenza, sarà un anno molto difficile».
Allo specchio: quali sono i tre obiettivi che vuole raggiungere entro l’anno, nonostante il virus?
«Dobbiamo sicuramente provare a chiudere il rinnovo del Contratto dei metalmeccanici, sarebbe un bel segnale di speranza. Covid-19 è stato un acceleratore di molti cambiamenti nel mondo del lavoro, a partire dal diverso rapporto tra spazio e tempo di lavoro, dal rendere il lavoro remotizzato in vero smart-working. Dobbiamo rendere questi cambiamenti organizzati e strutturali. Ma serve anche una nuova organizzazione degli spazi nei luoghi di lavoro, che sia più sana e in armonia con le nuove esigenze sanitarie e con il benessere generale delle persone».
Questione di simboli: qual è l’oggetto, l’immagine, il simbolo della ripartenza della sua attività, per lei?
«La mascherina sarà sicuramente l’oggetto che dovrà entrare nelle nostre abitudini. Non c’è un’immagine singola, ma un puzzle di istantanee delle tante persone che in questi giorni hanno ripreso la loro attività di lavoro in fabbrica, donne e uomini che non si rassegnano e che rappresentano l’Italia a prescindere. E le sedi sindacali che riaprono».
Il mondo post-Coronvirus: qual è l’abitudine che, nel bene o nel male, dovremmo dimenticare?
«Dobbiamo ripensare il nostro rapporto con gli altri, abbiamo bisogno di una nuova mappa mentale. La salute è un bene prezioso che si apprezza quando non c’è. Bisogna che ognuno di noi ripensi i propri comportamenti e abitudini a partire dal rimanere a casa se non si sta bene, evitare i raggruppamenti, muoversi un po’ di meno e in maniera intelligente, continuare a lavarci le mani e stringerle un po’ meno, usare la mascherina. Questa crisi ci ha ricordato che nessun si salva solo, ognuno di noi deve fare la propria parte, perché siano tutti liberi».
Parliamo di NRW: qual è la storia che l’ha colpita di più?
«Il dibattito sulla regolarizzazione dei cosiddetti “invisibili”. Una proposta che sosteniamo come Fim Cisl, la loro regolarizzazione è un gesto di civiltà, come ha scritto il nostro responsabile dell’immigrazione Azid Sadid».