Le donne afghane hanno sempre dovuto lottare contro la violenza maschile, sia sotto l’amministrazione americana, sia sotto i talebani. È passato un mese da quando i talebani hanno ripreso il controllo del Paese, pochi giorni dall’annuncio di un governo ad interim composto di soli uomini, molti dei quali ricercati dall’Fbi, con a capo Mullah Mohammad Hassan Akhund, e le parole per il destino delle donne afghane si sprecano. Sì, le donne afghane hanno bisogno del nostro aiuto ma non del nostro paternalismo, come dice a NRW Laura Quagliuolo, una delle fondatrici del Coordinamento italiano sostegno donne afghane (Cisda). Il Cisda è una onlus italiana con sede a Milano che lavora dal 1999 con associazioni di donne afghane, sostenendole nei loro progetti politici, spesso clandestini, ed è testimone della resistenza delle donne afghane contro una cultura misogina che le perseguita, a prescindere dai vertici al comando del Paese. «Le associazioni di donne afghane che sosteniamo hanno iniziato le loro attività clandestinamente già nel 1999, quando c’era ancora il primo regime talebano. Parliamo di associazioni come Rawa (Revolutionary association of women of Afghanistan), Hawca (Humanitarian association of women and children of Afghanistan) e altre che all’epoca avevano bisogno di uscire allo scoperto e ottenere l’attenzione del mondo», ci spiega Laura Quagliuolo.
Qual era la mission di queste associazioni?
«Molte le attività. Organizzavano scuole segrete per donne, diffondevano materiali politici e di testimonianza sulla condizione della donna afghana. O attività più pericolose, come l’introdursi negli stadi con microcamere sotto il burqa e filmare le esecuzioni di donne e di uomini dissidenti, o le amputazioni di chi era accusato di furto. Dato che l’attenzione dei media occidentali sull’Afghanistan si era spenta, queste donne, che si sentivano molto isolate e ignorate dal mondo, alla fine degli anni ’90 hanno contattato una serie di associazioni femministe europee e statunitensi e noi abbiamo raccolto la loro richiesta di ascolto»,
In che modo?
Da quel momento e per i successivi vent’anni abbiamo organizzato eventi e incontri con loro, sia qui in Italia che in Afghanistan e le abbiamo sostenute nel loro discorso politico, che è sempre stato di denuncia, sia dei fondamentalisti corrotti che hanno governato l’Afghanistan in questi vent’anni, sia dei talebani, sia degli invasori americani. Per questo nel 2004 abbiamo fondato il Cisda
Le loro condizioni, negli ultimi vent’anni, sono migliorate?
«Solo in città ma nelle periferie le persone sono state abbandonate a sé stesse. C’è stata una falsità gigantesca da parte dell’occidente colonizzatore nel promuovere i diritti delle donne, ma in realtà l’amministrazione americana ha solamente preso il proprio modello culturale e l’ha imposto in un contesto sociale, quello afghano, molto diverso. Avrebbero dovuto ascoltare le persone e far sì che si creasse una forma di democrazia espressione della loro cultura. La classe politica che gli americani avevano inserito, invece, era composta da fondamentalisti che hanno rubato milioni di dollari destinati alla ricostruzione».
Secondo lei il rinnovato interesse dei media occidentali nei confronti delle donne afghane è autentico?
«Beh, intanto questa retorica della povera donna afgana è molto ridicola. Abbiamo avuto vent’anni di tempo per migliorare la loro situazione, solo l’Italia ha speso 8,7 miliardi di dollari nella missione militare in Afghanistan e poi nella ricostruzione. Nonostante questo, l’87% delle donne è analfabeta».
Con il ritorno dei talebani, cosa hanno deciso di fare le donne delle associazioni con cui è in contatto il Cisda?
Le donne di Rawa, che sono duemila, hanno tutte deciso di restare, portare avanti i loro progetti clandestinamente (come facevano anche prima) e lottare contro i talebani. Un’associazione che ha sempre lavorato in clandestinità ha i suoi metodi per riuscire a lavorare in sicurezza. Poi ci sono anche quelle di Hambastagi, un partito laico, non fondamentalista che ha politicamente delle posizioni molto affini a quelle di Rawa. La sua portavoce è Selay Ghaffar e ha 20mila iscritti in tutto il Paese. Noi abbiamo ancora contatti sia con il partito che con Rawa e con altre ong, riusciamo ancora a comunicare anche se dobbiamo fare molta attenzione
Cosa chiedono le donne afghane che sono riuscite a raggiungere il nostro Paese?
«Chiedono di poter rimanere qui, che lo Stato garantisca loro l’asilo politico, le scuole per i bambini, un inserimento sociale. C’è da dire però che gli afghani che sono riusciti ad arrivare sino a qui sono colti, sanno l’inglese e sono laureati. Le persone analfabete come faranno?»