La squadra Flai Cgil di Gioia Tauro, foto di Diana Manduci

Ci sono partite che durano più di 90 minuti e valgono una vita intera. Lo sa bene Rocco Borgese, segretario generale della Flai Cgil di Gioia Tauro in provincia di Reggio Calabria, il sindacato dei lavoratori dell’agroindustria, che ha messo in piedi una squadra di calcio con giocatori tutti migranti e richiedenti asilo. Braccia per l’agricoltura locale, piedi che fanno meraviglie, testa che guarda avanti. La prima partita l’hanno vinta con il mirabolante risultato di 8 a 1. Solo per poco sono arrivati secondi nella classifica finale del torneo, dove giocavano altri calciatori dilettanti, magari più freschi, che non si allenavano dopo una giornata a spaccarsi la schiena nei campi. Un risultato finale che renderebbe orgoglioso qualunque patron di una squadra di calcio. Ma Rocco Borgese, funzionario sindacale e mago del pallone, ha mire molto più alte.

Il gol più bello è quello dell’integrazione e dell’accoglienza. Anche se siamo nella Piana di Gioia Tauro abbiamo voluto dimostrare che questi ragazzi non sono solo braccia per l’agricoltura e lo sfruttamento 

La squadra rosso-bianca della riscossa sociale

I calciatori della Flai Cgil, maglietta rossa con scritte bianche, arrivano dall’Africa subsahariana. Hanno attraversato il deserto, sono passati per la Libia, sono arrivati in Italia sui barconi. Hanno passaporti del Mali, della Nigeria, del Burkina Faso, di Senegal e Nigeria. Hanno tra i 17 e i 30 anni, età media 22-23 anni. Qualcuno è un vero talento: «Ci sono ragazzi che meriterebbero di andare avanti nel mondo del calcio. Non solo tra i dilettanti. Magari in serie D, o in C…»

Sono dei fenomeni in campo. Quando arrivano in Italia trovano solo sfruttamento. Questa potrebbe essere la loro occasione

Vittoria in campo per la squadra di calcio Flai Cgil di Gioia Tauro

Da migranti migrano anche in Calabria, spostandosi a seconda della stagionalità delle coltivazioni. Quasi semila lavoratori agricoli stranieri adesso impegnati nella raccolta di arance, olive e kiwi che a maggio si spostano verso Lametia Terme quando arrivano a maturazione melanzane e soprattutto pomodori, l’oro rosso su cui faticano i migranti. Anche in incontri tra dilettanti troppe volte abbiamo letto di contestazioni odiose, legate al colore della pelle dei calciatori. Rocco Borgese giura che ai ragazzi della Flai Cgil non é mai successo: «Le contestazioni sono quelle tipiche tra tifosi, legate al gioco in campo, non al loro aspetto fisico. Anzi, quando entrano in campo, anche i tifosi delle squadre avversarie li applaudono. Anche loro capiscono che questa è molto più di una squadra di calcio e che la loro partita non finisce con il fischio dell’arbitro in campo».

Di questi tempi, quando sembra più difficile parlare di certi temi di fronte a una narrazione dominante sbagliata dove si parla ancora di invasione, giocare a calcio è molto più che uno sport: «È  stata una piacevole esperienza. che continuerà, un  bell’esperimento, un qualcosa del tutto nuovo e diverso da quello che abitualmente siamo soliti fare presentando i ragazzi migranti, facendoli diventare protagonisti indiscussi in un contesto sociale lontano dal lavoro nei campi e dallo sfruttamento e dal caporalato».
Un esperimento assai riuscito come dimostrano i risultati in campo e l’accoglienza di tutti sui campi di calcio: «Si sono fatti amare,  si sono fatti conoscere per ciò che sono, persone degne di essere accolte e alle quali si deve dare una possibilità  di vita più  dignitosa rispetto a quella attuale, fatta di ingiustizie, di iniquità e di pregiudizi antipatici e sgradevoli. Abbiamo voluto fare intendere che si deve includere e non escludere e che l’integrazione, l’accoglienza, rende tutti meno fragili e più forti».

Il goal della cittadinanza ancora da segnare

La strada è lunga. Di gol bisogna farne ancora tanti. La cittadinanza non è a portata di mano. E la sanatoria del Governo Conte, a cui hanno aderito alcuni giocatori, secondo Rocco Borgese non è stata l’occasione migliore: «È stata restrittiva e discriminante. Doveva essere un mezzo per rendere visibili gli invisibili che vengono sfruttati nei campi. Non è stata un momento di riscatto. Sarebbe stato giusto regolarizzare tutti a 360 gradi. Non sono pesrone che ci rubano il lavoro. Sono portatori di innovazione. Dovremmo essere orgogliosi di loro. Ma in Italia su questi temi siamo ancora troppo arretrati. Molti non hanno capito che sono loro le nostre nuove generazioni, il nostro futuro».

Foto di Diana Manduci/ Credit