Mentre ci si interroga sull’arrivo di una terza ondata di Covid, in Italia si fa sempre più allarmante la carenza di personale sanitario. Secondo la Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (FNOPI), alla fine del 2019 mancavano già circa 50mila infermieri, con un rapporto di 11 pazienti per ogni infermiere. La media europea, e il rapporto ideale, è invece di 6 a 1. Una situazione resa ancora più critica dal Covid-19, che ha colpito soprattutto il personale sanitario in prima linea.

Gli infermieri non bastano, eppure molti professionisti di origini straniere faticano tuttora ad accedere al sistema sanitario nazionale. Vengono spesso relegati al settore privato, senza poter accedere ai bandi pubblici, e anche quando riescono ad affermarsi devono fare i conti con una costante diffidenza, ostilità, discriminazioni

NRW ha fatto una doppia intervista a due infermieri con cittadinanza italiana che vivono in una corsia tutta in salita: Rosa Melgarejo, infermiera nel reparto emodialisi del Policlinico di Milano e Presidente del gruppo Infermieri del mondo, e Richard Sucapuca, infermiere di rianimazione neurochirurgica all’ospedale Niguarda di Milano, entrambi di origini peruviane.

Cosa ha sbagliato il sistema sanitario nella gestione del Covid?

Rosa Melgarejo: «Il sistema territoriale ha fallito. Quando anche io ho preso il Covid, dopo aver curato innumerevoli pazienti, ho dovuto prendermi da sola cura di me stessa e di mia figlia , che ha avuto difficoltà respiratorie. Ho chiamato la guardia medica, così come indicato nelle linee guida, e la dottoressa mi ha risposto “Io non gestisco i casi di Covid, segua le linee guida”. È grave perché vuol dire che neanche loro sanno qual è la procedura. Invece di rinforzare il ruolo dei medici di base hanno lasciato che andassimo noi infermieri nelle case e, nel momento in cui ci ammaliamo, molto spesso dobbiamo cavarcela da soli, soprattutto noi stranieri».

Richard Sucapuca: «Quasi nessuna struttura ospedaliera si è preparata alla seconda ondata, nonostante fosse prevista. Hanno smantellato tutti le strutture create durante la prima ondata e adesso ci ritroviamo praticamente al punto di partenza: terapie intensive piene da ampliare, pazienti da trasferire senza che ci sia mai un letto libero, personale insufficiente. A settembre avevo chiesto alla direzione della mia struttura quale fosse il famoso piano B. Mi hanno risposto che non c’era».

Quali sono gli svantaggi di essere un infermiere di origini straniere in Italia?

Rosa Melgarejo: «Essere quasi sempre costretto a lavorare nelle strutture private, perché ti è precluso l’accesso ai bandi pubblici. Questo vuol dire essere costantemente sottopagato e privato di tutele. Ammalarsi di covid come infermiere nel settore pubblico è considerato infortunio sul lavoro, con tutte le tutele del caso. A chi lavora nel privato viene riconosciuto come malattia generica».

Richard Sucapuca: «Non importa se hai lauree, master ed esperienza, quando vedono che sei straniero danno per scontato che tu abbia studiato fuori, e per questo sia meno qualificato rispetto ai colleghi italiani. A me capita quasi tutti i giorni: spieghi qualcosa al paziente, e lui poi va a chiedere conferma al collega italiano, come se il colore della tua pelle non ti consentisse di essere un professionista. C’è sempre diffidenza, almeno iniziale, nei nostri confronti. Eppure siamo i primi a capire i drammi dell’incomprensione, i primi ad aver cercato di ritagliare quei minuti che non c’erano per far parlare i pazienti con le famiglie, eravamo lì a tenergli la mano mentre piangevano».

Questa diffidenza si trova anche all’interno dello staff medico? Anche in tempi emergenziali come questi?

Rosa Melgarejo: «Assolutamente sì, bastano dei tratti stranieri per essere trattato come un incompetente, non importa se invece sei nato e hai studiato in Italia. Io lo dico sempre ai miei colleghi di origini straniere, dobbiamo impegnarci il doppio, studiare il doppio, aggiornarci il doppio per dimostrare quello che per i nostri colleghi italiani è scontato. Il Gruppo Infermieri del mondo esiste proprio per questo, per buttare giù questo muro di diffidenza. Il fatto che il 30% degli iscritti sia italiano è un segnale positivo».

Richard Sucapuca: «Soprattutto in tempi emergenziali come questi. Nel momento in cui ne abbiamo avuto bisogno abbiamo lasciato che infermieri di tutto il mondo venissero ad aiutarci, ma questo accresciuto multiculturalismo nel settore non ha fatto che accentuare il razzismo».

Tra me e un collega italiano, il medico sceglierà sempre di rivolgersi all’infermiere italiano. Devi tirare fuori il tuo curriculum… Allora cambiano subito atteggiamento. Per non dire se sei uno straniero che si è laureato in ritardo, verrai sempre trattato con disprezzo anche da colleghi molto più giovani di te, come se fossi un bambino

Quanto conta avere la cittadinanza italiana?

Rosa Melgarejo: «Fino a poco tempo fa era indispensabile se si ambiva a lavorare nel settore pubblico. Anche se ci sono state delle aperture agli stranieri, restano fuori tantissimi professionisti che avrebbero potuto fare la differenza durante questa pandemia. Io sono in Italia da 30 anni e con la cittadinanza sono riuscita a fare una carriera nel pubblico, ma ricevo testimonianze al limite della schiavitù da colleghi che lavorano nelle strutture private. In questi mesi infernali mi chiamavano dicendo “Rosa, ho paura di morire”».

Richard Sucapuca: «Finalmente si sta cominciando ad applicare una legge del 2009 che equipara gli infermieri stranieri con il permesso di soggiorno a lunga durata ai colleghi che hanno la cittadinanza. È un bel passo in avanti, ma lascia comunque fuori molti validi professionisti stranieri. A molti non viene riconosciuta la laurea conseguita nei loro Paesi di origine, altri rimangono disoccupati a lungo. Eppure ci sarebbero serviti disperatamente in questo periodo».

Video a cura di Sara Lemlem

Ma se gli infermieri ci sono, perché si lamenta questa drammatica carenza di personale?

Rosa Melgarejo: «Gli infermieri ci sono, sono i fondi che mancano o vengono gestiti male. Te ne rendi conto ogni volta in cui partecipi ai bandi pubblici. Qualche tempo fa a un concorso a Gallarate si sono presentati 2000 infermieri per 5 posti, a Bergamo in 900 per 15 posti… Non c’è carenza di laureati, sono gli ospedali a non avere i fondi per assumere più personale».

Richard Sucapuca: «Proprio perché il sistema sanitario è calibrato male, in tempi in cui il personale sanitario non viene tutelato e si ammala, non si sa come sostituirlo. A regola dovrebbe esserci un infermiere per 11 pazienti, ormai negli ospedali c’è un infermiere ogni 30 pazienti. Nel privato il rapporto diventa addirittura di 1 a 60, è ingestibile».

Gli infermieri stranieri hanno la vita qui, ma il cuore altrove.

Rosa Melgarejo: «È pesantissimo. Io ho mia mamma in Perù, dove il sistema sanitario è praticamente inesistente. Lavoro duramente tutti i giorni, mentre aspetto quella telefonata da casa da un momento all’altro. Con i colleghi condividiamo la paura, abbiamo paura di non poter riabbracciare genitori e figli lontani».

Richard Sucapuca: «Per noi è un pensiero costante, soprattutto perché in Perù il Covid ha ucciso anche molti giovani. Io ho perso dei cugini, senza poter fare nulla, senza poter prendere un aereo».