Il privato è politico. Lo è sempre stato. Figuriamoci negli Anni Settanta del secolo scorso, quando sulla spinta di ideologie che sembravano inossidabili, non c’era momento della vita quotidiana che non venisse passato ai raggi X prima del timbro del politically correct. Ma se da questa parte del mondo se ne discuteva e a lungo quasi come in un esercizio filosofico – i detrattori diranno per moda o atteggiamento, ma non è per niente vero – dall’altra parte della Terra, quella a testa in giù, l’impegno politico aveva una valenza tale, da sconfinare nell’eroismo e talvolta purtroppo nel martirio. Sono i primi Anni Settanta del XX secolo in Sud America, e precisamente in Argentina, dove si svolge il primo romanzo di Maria Helena Boglio, Dove comincia la rivoluzione, pubblicato da Scritturapura. L’Argentina dei generali, per capirci. Dei desaparecidos e della madri di Plaza de Mayo. Degli stadi aperti per ospitare gli oppositori del regime e dei buchi neri dove nell’orrore scomparirà un’intera generazione, la meglio gioventù. Sofia è uan ragazza come tante, il vento della rivoluzione le scompiglia i capelli. Ma sono le notizie della radio, con la morsa della dittatura che si fa ancora più stretta, a tenere in apprensione i suoi genitori e dunque l’intero Paese. La vorrebbero in salvo e viva. L’università dove la polizia segreta stila gli elenchi dei sovversivi da togliere letteralmente dalla strada non sembra il posto più sicuro del mondo. I genitori frenano, Sofia freme. Affrancarsi dalla quotidianità domestica è il suo mantra. Il matrimonio la via di fuga, magari banale, ma a lungo la più seguita da una generazione, quella prima della definizione odiosa di bamboccioni. Ma si sa, i sogni muoiono all’alba e nemmeno David sembra essere il ragazzo sincero di un tempo. Romanzo e ovviamente autobiografia, almeno nei sentimenti, si incrociano in questa storia scritta da Maria Helena Boglio, nata ad Arroyo Cabral, in Argentina, un paese abitato per lo più da italiani emigrati all’inizio del Novecento, come i suoi avi piemontesi. Frequenta l’Escuela Normal Víctor Mercante, considerata d’avanguardia, e poi il Profesorado Gabriela Mistral. Insegna letteratura e latino alle superiori fino al 1989, anno in cui emigra con i suoi quattro figli in Italia, a causa della grande crisi economica che colpisce l’Argentina. Traduttrice e insegnante di spagnolo, sta scrivendo un saggio su Jorge Luis Borges. Fabio Poletti
María Helena Boglio Dove comincia la rivoluzione Un romanzo sugli anni della repressione che sfociò nel Golpe in Argentina traduzione dallo spagnolo di María Helena Boglio e Kinu Berman 2022 Scritturapura pagine 134 euro 15Per gentile concessione dell’autrice Maria Helena Boglio e dell’editore Scritturapura pubblichiamo un estratto dal libro Dove comincia la rivoluzione.
Era diventata ogni giorno più timorosa, non solo per me ma per tutto quello che riguardava la vita stessa. Mi raccomandava di fare attenzione, di scegliere chi frequentavo, diceva che c’erano dei comunisti rivoltosi tra gli studenti. Era sconvolta per l’attacco alla fabbrica militare di esplosivi dove c’erano stati morti e feriti. Tutti, non soltanto lei, erano spaventati. “Oggi giorno non ci si può fidare di nessuno. Devi sentire le cose che succedono”, diceva. “Mamma, non esagerare, vado a studiare e basta”. “Uccidono in pieno giorno. Come vuoi che non mi preoccupi? Pensa solo alla tragedia della fabbrica militare”. “Io non mi immischio in quelle cose, stai tranquilla”. Sapevo che non sarei riuscita a convincerla. Le davo un bacio per finire la conversazione e correvo a casa. Perón era morto e il Paese si trovava nelle mani di López Rega che comandava dietro la figura istituzionale di Isabelita. Io non ci capivo molto di politica ma mi fu chiaro che era stato messo in atto un feroce piano repressivo: sequestravano studenti, attivisti e oppositori del governo. Un mattino vidi Mauricio all’ingresso dell’Istituto. Distribuiva volantini in cui c’era la convocazione di un’assemblea urgente, quello stesso pomeriggio, in palestra. “Cosa fai qui?” mi chiese. “Studio”. “Ma… non ti eri sposata?” “Quest’anno ho deciso di riprendere”. “Credevo che fossi venuta in biblioteca solo per un libro in prestito”. “E tu?” “Studio letteratura. Mi manca poco per finire. Vieni all’assemblea questo pomeriggio. È un brutto momento”, e mi porse un volantino. Il Paese era un pentolone bollente sul punto di scoppiare, io iniziavo a percepirlo solo in quel momento. Mi resi conto che il mondo andava oltre me stessa e la mia famiglia. Forse mamma non esagerava. Nel cortile centrale c’era un pozzo in pietra che per precauzione avevano chiuso con un coperchio di ghisa. Degli studenti, forse del quarto o del quinto anno, si erano seduti sopra, facendo dondolare le gambe. Parlavano dell’assemblea e dell’urgenza di analizzare gli ultimi eventi. Proponevano di organizzarsi per affrontare il pericolo di un golpe. Facevano il nome di organizzazioni di resistenza che io non avevo mai sentito; ero sedotta da tutta quella effervescenza. Qualcuno mi appoggiò la mano sulla spalla. Mi girai e trovai il viso di Mauricio a pochi centimetri dal mio. Potevo avvertire il suo profumo e vedere la linea che il sorriso allungava sui suoi occhi neri. “Ah, sei tu”. “Sì, sono io”, si avvicinò all’orecchio e mi chiese: “Perché ti sei sposata?” Non seppi cosa rispondere se non sorridere come una bambina. “Ero innamorata, credo”. “E ora?” “Non lo so”. Mille volte mi ero detta che avrei dovuto aspettarlo. Ricordai i tempi della scuola superiore. Riaffiorarono gli stessi sentimenti, le stesse emozioni. Finite le lezioni andai all’assemblea. Rimasi in piedi, vicino alla porta per andar via senza disturbare nel caso si facesse tardi, ma in quella confusione nessuno avrebbe fatto caso a me. I compagni parlavano senza chiedere la parola, ognuno voleva esprimere la propria opinione. Le voci erano cariche di passione e si sovrapponevano, era difficile capire. Chiesi a Mauricio di spiegarmi cosa stessero dicen- do. Qualcuno sosteneva si dovesse intraprendere un dialogo con le forze politiche per fermare l’ondata di violenza, mentre la maggior parte propendeva per la resistenza organizzata. C’era moltissima gente dentro la palestra e uno spesso strato di fumo faceva bruciare gli occhi. Mauricio ogni tanto apriva la porta per cambiare aria. Era tutto nuovo per me e lo guardai con espressione interrogativa. Mi toccò un braccio e mi invitò a uscire. Andammo in biblioteca, era quasi l’ora della chiusura. Ci nascondemmo dietro gli scaffali. Si avvicinò e mi baciò con delicatezza sulla bocca. Sentii la terra sparire sotto i miei piedi, era la fine del mondo. Mi sembrò che David fosse lì, con noi, che mi puntasse contro l’indice accusatorio. Malgrado lo stupore e la paura di essere scoperta mi abbandonai alle carezze di Mauricio. Con il suo calore e la sua tenerezza smisi di pensare a David. Tutto in quel momento mi sembrava delicato e amorevole. Cancellai dalla mente, per un momento, la mia casa, Adela e tutto ciò in cui ero intrappolata. Anche se non provavo più nulla per David, mi sentivo responsabile della promessa che avevo fatto sposandomi. Quando reagii e guardai l’ora mi agitai. Avevo il ritmo della respirazione alterato, le parole mi uscivano come se trovassero delle pietre sul loro percorso. “Ho fatto tardi. Ci vediamo domani”. “Ti aspetto”. Ero confusa, camminavo a passo sostenuto senza guardarmi intorno. Il mondo era scomparso. Attraversando la strada sentii una macchina che frenava a pochi metri da me. Il conducente mi urlò delle parolacce e io mi misi a correre senza alzare la testa. Di fronte alla porta di casa mi passai le mani sul viso e sui vestiti cercando di cancellare eventuali tracce. Inspirai profondamente e salii le scale. David sta- va guardando la televisione. Controllò l’orologio e poi, lentamente, alzò gli occhi su di me. Gettai con stizza la giacca sul divano. Dalla tasca spuntò il volantino che mi aveva dato Mauricio. David lo prese e leggendolo diventò bianco come la carta. “Cosa significa? Dove sei stata?” “Lo davano per strada”. “Bugiarda, per strada non danno questa roba”. In quel momento provai più rabbia che paura. “Non puoi controllare la mia vita. Sono tua moglie, non tua figlia”. Lui si mise a urlare e io mi coprii le orecchie con le mani e chiusi gli occhi. Sarei voluta scappare di corsa a casa di mamma ma questo avrebbe complicato ancora di più la situazione. Andai a letto. Quando mi svegliai David non era più in casa. © 2022 Scritturapura Casa Editrice Soc. Coop.