I muri crollano ma non ovunque. In America il presidente Joe Biden, tra i primi atti del suo mandato, ha deciso che da venerdì 19 febbraio i richiedenti asilo provenienti dal Messico potranno nuovamente chiedere di entrare negli Stati Uniti. Già pronto un primo pacchetto di 25 mila provvedimenti da esaminare.

Un atto che fa voltare pagina, si spera definitivamente, rispetto alle politiche di Donald Trump. Anche se non fa dimenticare la vergogna delle gabbie di detenzione per minorenni inventate dal ticket Barack Obama e Joe Biden, poi largamente usate da Donald Trump

In Italia il presidente Mario Draghi, tra i primi atti del suo mandato non ha né il diritto alla cittadinanza, figuriamoci lo ius soli, manco a parlare di revisione delle politiche migratorie. In una coalizione con dentro tutti che va da Liberi e uguali a Matteo Salvini, dal Pd ai resuscitati berlusconiani, da Italia Viva al Movimento 5 Stelle, sembra difficile trovare una sintesi mentre i richiedenti asilo premono dai Balcani su Trieste e presto torneranno ad affollare il Mediterraneo, con l’arrivo della nuova stagione degli sbarchi.

Mentre nel nostro Paese oltre un milione di nuovi italiani di fatto aspettano ancora il riconoscimento formale del loro status. Dal movimento Italiani senza cittadinanza e altre reti associative è partito un appello a Mario Draghi: «È necessario agire subito, abbattendo alcuni requisiti per la domanda di cittadinanza e i tempi di attesa per l’ottenimento. In particolare bisogna rivedere i tempi di presenza in Italia richiesti e i requisiti legati al reddito, che ci penalizzano ancor di più in quanto parte di una generazione precaria e sfruttata. Con queste parole vogliamo rivendicare il diritto di un milione di persone ad essere quello che già sono, italiane e italiani.

Questa riforma è un investimento fondamentale per il nostro Paese, per tutte e tutti noi. Siamo noi la Next Generation EU, la Next Generation Italia

Matteo Salvini, diventato più europeista degli europeisti per salire sul carro del governo, si appella ai Paesi con le legislazioni più rigide e in un’intervista ad Avvenire di qualche giorno fa, erige un muro perché non cambi nulla: «Credo sia corretto uniformarsi agli altri Paesi europei, ricordando che chi arriva in Italia arriva in Europa. Su espulsioni, respingimenti e controllo dei confini possiamo seguire l’esempio di Spagna, Germania o Francia che sono decisamente più severe di noi. (…) Allora per essere più chiaro le dirò che a me basta, a legislazione vigente, una politica seria di controllo e verifica di chi entra nel Paese. Non stiamo a smontare e rimontare decreti».

Sarà quindi proprio dura per il Pd rilanciare, come ha fatto pochi giorni fa Nicola Zingaretti, la richiesta di revisione della Bossi-Fini, della legislazione europea e degli accordi tra Stati sulla gestione dei migranti fino all’approvazione dello ius culturae. Anche perché c’è da avere più di un dubbio guardando il calendario. La legge Bossi-Fini è del 2002. Da allora ad oggi il Pd ha guidato il Paese direttamente con Romano Prodi, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni. Ed è stato al governo con Mario Monti e nel secondo governo di Giuseppe Conte. Prima di sedere al tavolo di governo, primus inter pares, con l’alleata Lega di Matteo Salvini.

 

Foto: Presidenza della Repubblica Italiana Quirinale / YouTube