Ci sono un bel po’ di stereotipi che vengono cancellati, e che dovrebbero far riflettere pure i sindaci di casa nostra, nelle elezioni che oggi incoronano il primo cittadino di New York. Nessun dubbio che ad essere eletto sarà il candidato democratico Eric Adams. Il suo antagonista, il repubblicano Curtis Silwa, lo segue sotto di 40 punti nei sondaggi. Un divario incolmabile pure con un miracolo.
Eric Adams sarà dunque il secondo sindaco afroamericano della Grande Mela
Dopo David Dinkins che ha guidato City Hall tra il 1990 e il 1993. Eric Adams, 60 anni, ex poliziotto, ex capitano del New York City Police Department, assai ostile agli eccessi degli uomini in uniforme, piace a tanti ma non a tutti. I democratici che lo hanno incoronato alle primarie hanno visto in lui l’ex poliziotto in divisa, capace di contrastare ma stando nelle regole, una microcriminalità e pure grande criminalità in crescita, che non fa dormire sonni tranquilli ai newyorkesi e che ha reso la vita difficile al sindaco uscente Bill de Blasio, forse troppo di sinistra e forse dalla mano troppo morbida anche a detta dei democratici.
E qui cade il primo stereotipo sull’inaffidabilità degli afroamericani, sempre accusati di permissivismo e di un eccesso di garantismo nel combattere il crimine. Insomma a Gotham City, pur non rimpiangendo Rudolph Giuliani e la sua feroce “tolleranza zero”, piace il supereroe nero che veglia sulla città e sui suoi affari
Perché come scrive il New York Times «negli ultimi mesi della campagna elettorale un aumento delle sparatorie e degli omicidi ha spinto la sicurezza e il crimine in cima alle priorità degli elettori». Che sia un ex poliziotto, ai tempi di George Floyd e di Black Lives Matter, diventa allora un importante valore aggiunto.
L’elettorato di Eric Adams che dal centro arriva alle periferie
Ma c’è di più. Eric Adams, che dal 2014 è Presidente del Distretto di Brooklyn, alle primarie ha raccolto una montagna di voti nelle zone più disagiate della città dove spesso l’astensione è forte. Pur ricevendo l’endorsement del New York Times e la benedizione di un falco come Robert Murdoch, Eric Adams ha trovato il suo zoccolo duro nella comunità afroamericana e in quella ispanica, tra le meno abbienti, e tra i bianchi moderati. Un’analisi dei flussi elettorali ha dimostrato che non sfonda solo nel cuore di Manhattan, attorno al grattacielo di Donald Trump, dove abitano quelli veramente ricchi, con gli appartamenti che si misurano in centimetri e in milioni di dollari.
Amato comunque dai democratici facoltosi, da qualche tycoon in vena di cambiamenti, ma pure dai sindacati e dalle comunità di base, il prossimo sindaco di New York è riuscito a tenere ben stretto il fil rouge che lo lega all’elettorato di sempre dei democratici più progressisti e di sinistra
Una cosa che non sembrano aver ben capito alcuni sindaci di casa nostra che gongolano davanti al successo elettorale nelle zone 1 e nei centri storici, pensando che basti tenere lustra l’argenteria delle città per averle belle e scintillanti, dimenticandosi alla grande di chi abita in periferia. Quella periferia evocata in ogni campagna elettorale e poi mai frequentata. Con la conseguenza che in una città come Milano, tanto per dire, al ballottaggio è andato il 47,72% dei milanesi e quasi nessuno delle periferie.
Pensare che Eric Adams possa essere il sindaco più a sinistra che New York abbia mai avuto sarebbe però sbagliato
Lui stesso si definisce un «moderato pragmatico». Uno che ha disseminato Brooklyn di trappole per combattere il flagello dei topi per capirci. Alla fine sarà forse vero che aver indossato la divisa di poliziotto lo indirizzerà nel suo mandato. Che sia uno osservante delle regole anche per chi porta una divisa ci piace, e di questi tempi dove le violenze razziali sono in crescita non è poco. Ma lo Stato di New York è pure quello che ha mandato al Congresso la giovanissima ispanica Alexandria Ocasio-Cortez di ispirazione marxista, di cui per ora di memorabile si ricorda solo qualche scivolone, tipo la casa plurimilionaria che si è concessa, che non qualcosa di veramente radicale. Certo che viste da 6500 chilometri di distanza, queste elezioni di New York, con il vento nuovo che le agita, un po’ ci fanno sognare, sperando che il battito delle ali del colibrì agitato dal vento che spira sull’Hudson, provochi pure qui se non un uragano almeno un cambiamento.
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