Quella di José David Chaparro è una storia tra due mondi in cui si incrociano avventure e politica, ribellione e cammino spirituali, brillanti incarichi istituzionali e impegno militare nella guerra in corso. I suoi uomini lo chiamano El comandante, alla spagnola, anche se sono ucraini.
Chaparro vive e lavora in Ucraina. Ha 55 anni ed è stato imprenditore e giurista, consulente d’impresa e proprietario di un’azienda agricola a cento chilometri da Kiev. La moglie è un’artista plastica e nella sua casa arrivano da tutta Europa per seguire masterclass di ceramica e pittura. Una volta all’anno e per tre mesi partono insieme in moto per girare l’Europa, l’Africa e l’Asia. I figli vivono all’estero. Moglie e marito conducono una vita tranquilla, senza stress. O almeno la conducevano fino al 24 febbraio. Perché qualche ora dopo l’invasione dell’Ucraina, José David Chaparro si è recato presso la Difesa Territoriale di Kiev e si è messo a disposizione.
L’arruolamento di José David Chaparro
Subito dopo aver firmato, è stato arruolato in un battaglione entrando in un sistema molto organizzato: si comincia con aiuti nei quartieri vicino al proprio e si passa poi a missioni in città e comuni anche lontani, nel suo caso nella zona di Kharkiv e in altre zone dell’Est. José David Chaparro si trova in una di quelle zone quando ci risponde anche se non può dire dove. I volontari portano viveri e aiuto psicologico nei punti caldi e al fronte. Evacuano i civili e assistono le persone anziane, i malati, i bambini. Distribuiscono le medicine. Arrivano in convogli di quattro o cinque auto e per prima cosa cercano i feriti.
Non sono riuscito a riportare la democrazia nel mio Paese e almeno cerco di aiutare a mantenerla in questo Paese che è la mia seconda patria, spiega con amarezza
L’Ucraina, la sua seconda patria
Il suo Paese è il Venezuela. È nato a San Cristóbal, nello Stato andino di Táchira che confina con la Colombia, ma fin da ragazzino ha girato non solo per la sua terra ma per il mondo. Per spirito di avventura e anche perché, ci racconta, aveva una passione per il paracadutismo e le arti marziali.
L’incontro con l’Ucraina avvenne quando aveva 22 anni e si era appena laureato in diritto. Borse di studio del governo permettevano di frequentare corsi di post grado all’estero e mentre i suoi coetanei partivano per Spagna o Stati Uniti lui scelse l’Urss
Era il 1990 e l’Ucraina faceva ancora parte dell’allora moribonda Unione Sovietica. Da Mosca lo mandarono a studiare a Kiev, diritto internazionale presso l’Istituto di Relazioni Internazionali. Finì che ci restò fino all’inizio del ’97, proprio negli anni in cui le repubbliche sovietiche diventavano stati indipendenti e l’Urss si convertiva in Federazione Russa. Visse la frenesia del cambio e la trasformazione delle regole economiche, il passaggio al capitalismo storpiato della Federazione Russa.
Il ritorno in Venezuela (e la missione a Mosca)
José David Chaparro aprì una società di consulenza giuridica per aziende che investivano in Ucraina o che aprivano succursali in quel Paese. Si chiamava Amica Veritas ed ebbe successo. Quando decise di tornare in Venezuela, per far compagnia al padre rimasto vedovo e forse per la consueta irrequietezza, aveva moglie e due figli. Nel suo Paese la classe politica era screditata e l’elezione di Hugo Chavez nel 1998 gli diede fiducia ed energia. Il nuovo presidente sembrava carismatico e capace, puntava sui giovani competenti e José David Chaparro era tra questi.
Lo assunsero al Ministero delle Relazioni Esterne, diventò capo di un ufficio di analisi e pianificazione strategica e grazie al fatto che parlava russo e alla conoscenza di quell’area lo mandarono a Mosca presso l’ambasciata come incaricato di affari. I suoi compiti si estendevano anche all’Ucraina. Ancora una volta capitò in una fase di fermento e cambio. In Russia gli oligarchi si erano insediati nell’apparato produttivo e avevano smembrato l’impresa di stato privatizzando la produzione del petrolio.
La fine dell’idillio di Chaparro con Hugo Chavez
Tutto interessantissimo per un giovane diplomatico, ma nel frattempo a Chaparro aveva smesso di piacere Chavez.
Mi accorsi quasi subito che politicamente non mi convinceva. Ero un uomo di fiducia del governo ed ero presente al viaggio ufficiale di quel presidente del 2001 ma più passava il tempo e più mi allontanavo
Con gli anni, quel sentimento si accentuò. «Non ero d’accordo con le misure populiste, con la politica che prevedeva un’economia sempre meno diversificata. Inoltre erano arrivate al potere persone senza alcuna competenza e il cui solo merito era la fedeltà a Chavez».
Al suo ritorno dalla Russia dopo cinque anni aprì una società specializzata in consulenze geologiche che fu penalizzata dall’avversione del governo per l’imprenditoria privata e per una classe media sempre più ostile.
La repressione e gli anni felici in Ucraina
Quando alla morte del caudillo venne eletto il suo braccio destro Nicolás Maduro la già pericolante fiducia di Chaparro nella “rivoluzione bolivariana” crollò. «Il nuovo presidente consegnò il potere ai militari in cambio di protezione. Il resto di ciò che è successo in Venezuela lo conosciamo». Partecipò alle proteste a San Cristóbal e si unì alle guarimbas, le barricate. Subendo persecuzioni come tutti i dissidenti, la sua azienda fu boicottata, la sua famiglia aggredita e minacciata. La repressione fu sanguinaria e a quel punto decise di tornare in Ucraina in cui si ritagliò uno spazio dove fino a tre mesi fa ha vissuto felicemente e in pace.
Ho trovato molto calore e un senso all’esistenza. Insieme con mia moglie vivevamo tra la casa di Kiev e l’azienda agricola in cui coltivavamo la terra e ci dedicavamo tra le altre allo sviluppo spirituale e io alla cabalistica
La vita di oggi di Chaparro
Ed eccolo invece da un giorno all’altro vestito da militare e armato, pronto a difendere la sua vita e quella delle persone che aiuta.
Ogni giorno ad affrontare pericoli che sono, come racconta, innumerevoli: i razzi e i bombardamenti, gli attacchi dell’artiglieria, le mine antiuomo e i combattimenti a cui assiste di continuo. Ogni mattina al Comando gli danno le istruzioni, gli dicono dove andare, ogni giorno è una storia diversa
Di aneddoti da raccontare ne avrebbe tanti, ma dice poco perché dietro la leggerezza affabile della sua lingua c’è troppa amarezza, sconforto. «Questa guerra è assurda, è terribile che la Russia abbia violentato la pace e la sovranità di un Paese che non rappresentava una minaccia», si sfoga. «Ed è incredibile non si sia trovata un’alternativa all’invasione».
Coraggio, ci siamo noi
Ripete come tanti che quei due popoli, russo e ucraino erano fratelli ma chi la sanerà questa ferita, e quando? «Ci vorrà tanto di quel tempo. La guerra ha cambiato le logiche, perfino di consanguineità: tanti ucraini che hanno famiglia in Russia, tanti russi che non credono ai loro parenti quando raccontano cosa fanno i loro soldati nelle città ucraine». Ed è cambiata anche la sua, di logica. Per esempio quando gli tocca dare assistenza psicologica a gente terrorizzata, che ancora non capisce quello che succede. Lui li conforta e dice coraggio, ci siamo noi. Anche se pure lui fatica ad accettare, per quanto sia un duro si stranisce, e alle volte si deprime. Lui li conforta e dice coraggio, ci siamo noi.
El comandante Chaparro non si può deprimere né sconfortare nemmeno davanti alle case sventrate, alle persone disperate a cui la guerra ha strappato a volte molto, a volte tutto. È un uomo di pace, prestato a un conflitto abominevole la cui portata si gonfia con i giorni e a cui si aggiungono di continuo aspetti da rabbrividire
Per esempio quello delle donne rapite e ridotte in schiavitù sessuale. Sappiamo per certo che ci sono e stiamo raccogliendo informazioni più precise, ci ha detto. Ma questa è ancora un’altra storia