Le migrazioni interne sono un fenomeno centrale nell’America Latina degli ultimi anni. Ne abbiamo parlato con Diego Battistessa.La sua propensione al nomadismo lo ha aiutato nel capire in parte la dinamica delle migrazioni, a cui dedica molto del proprio lavoro. Trentasei anni, nato a Gordona in provincia di Sondrio ma itinerante tra Madrid, Colombia e Panama, Diego Battistessa è stato cooperante internazionale in Asia, nell’Africa subsahariana, nel Maghreb e infine nell’Amazzonia ecuadoriana, sulla frontiera con la Colombia, dove è iniziata la «relazione con l’America Latina che mi è entrata subito sotto pelle», ci ha detto. Dal 2015 collabora con l’università Carlos III di Madrid e scrive per giornali e riviste italiani e stranieri, a cui si aggiunge una consulenza per Le Iene. Ha scritto vari libri di cui l’ultimo è America Latina afrodiscendente: storia della più violenta tra le migrazioni forzate, segnata dalla schiavitù e dalla ricerca di un riscatto di cui l’autore racconta protagonisti vecchi e nuovi.

 

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Le migrazioni interne sono un fenomeno centrale nell’America Latina degli ultimi anni. Non solo quelle verso il Messico e gli Usa ma anche le migrazioni più recenti degli haitiani in tutto il Centro e Sudamerica. E quelle di quasi sei milioni di venezuelani di cui la maggior parte in Paesi latinoamericani.

Il 2022 sarà un anno decisivo per le migrazioni. Negli ultimi tempi c’è stato un cambio di tendenza che ha visto i grandi flussi dirigersi non più soltanto verso Stati Uniti e Canada ma anche verso altre zone dell’America Latina. L’esplosione del grande esodo venezuelano ha influenzato gli assetti di alcuni Paesi, come la Colombia, che si è trovata a gestire l’arrivo di circa due milioni di persone. E poi c’è la migrazione haitiana, nel 2021 tra quelle di più forte impatto

«Il Messico ha registrano dal 2019 al 2021 un aumento da 500 richiedenti asilo haitiani a 50.000. Insomma è evidente che il tema delle migrazioni sarà al centro dei grandi summit regionali, tant’è che Joe Biden alla fine del 2021 ha incontrato Trudeau e il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador per discutere anche di immigrazione e, appena insediato, ha mandato Kamala Harris dal presidente Alejandro Giammattei in Guatemala e dallo stesso presidente messicano per trovare una soluzione».

Se ne parla poco ma l’America Latina sta diventando un ponte per le migrazioni che arrivano dall’Africa e dall’Asia in Paesi, come l’Ecuador, che non richiedono il visto e poi cominciano a salire per arrivare in Messico e da lì negli Usa

Parliamo di una migrazione storica, quella degli africani in America Latina a cui è dedicato il suo ultimo libro. Una persona su quattro in quel continente si considera afrodiscendente, 133 milioni secondo la Banca Mondiale, ma non è facile sapere chi lo è in America Latina. 

«Nella Repubblica Dominicana nessuno si riconosce come afrodiscendente perché per definizione sono tali gli haitiani, considerati dei paria per problemi di xenofobia e del passato di lotte fra i due Paesi. L’America Latina è un laboratorio umano incredibile e tra le stesse comunità afrodiscendenti la gamma di comportamenti è enorme. Per esempio le comunità Portobelo di Panama sono molto attaccate alla cultura ancestrale mentre altre hanno perso in parte quel legame e hanno trovato in America Latina un modo nuovo e tutto loro di essere».

Quali sono le differenze tra gli afrodiscendenti e le popolazioni indigene?

«La differenza con le popolazioni che abitavano in questo continente prima dell’arrivo degli europei è che gli afrodiscendenti sono stati portati qui con la violenza e anche il modo in cui si sono dovuti adattare è stato violento. Ad accomunare le une e le altre c’è il ricordo della violenza con la quale hanno vissuto l’epoca della conquista e delle lotte di indipendenza».

Con un’ulteriore differenza. Mentre molte delle popolazioni afrodiscendenti hanno partecipato alle lotte indipendentiste, quelle indigene le hanno subite perché in pochissimi casi hanno avuto la possibilità di prenderne parte. E una volta conquistata l’indipendenza i nuovi stati hanno fatto piazza pulita delle popolazioni originarie per ridistribuire i territori all’interno delle nuove società nazionali

Migrazioni e razzismo in America Latina

Il razzismo esiste ovunque? Secondo lo scrittore cubano Carlos Manuel Álvarez persino a Cuba c’è differenza tra dissidenti bianchi e neri. Secondo Diego Battistessa ovunque ci siano persone nere in America Latina ci sia razzismo.

Il modo con cui le società hanno risposto storicamente a questo razzismo e con cui hanno creato una contronarrazione per arrestarlo è l’elemento che le distingue tra loro. Attaccarsi all’idea un po’ naif che in certi Paesi in cui ci sono state rivoluzioni il razzismo non esista è ingenuo e Cuba non fa eccezione

Tornando alle migrazioni, vorrei che ci parlasse del lavoro che ha realizzato nel 2019 sulle migranti venezuelane in Colombia e che ha avuto riscontri importanti.

«Lavoravo da sei anni sulla situazione venezuelana e mi sono reso conto che non esisteva una sistematizzazione dei dati relativi alla migrazione delle donne. Ho cominciato a fare una ricerca e ho scoperto che i casi di tratta di esseri umani, di stupro e omicidi di venezuelane migranti erano numerosi, ma non erano riportati in maniera sistematica. E così, attraverso la lettura dei giornali locali, ho creato una mappa georeferenziata. È un lavoro in progress a cui ogni giorno dedico tempo, sedendomi a parlare con istituzioni, università e ong che vogliano ampliarlo».