L’ultima ondata rilevante avvenne nel 2011, dopo la prima di una serie di primavere arabe da cui non sbocciarono fiori, ma crisantemi dovuti all’atroce stagione di islamizzazione. Allora c’era il governo Berlusconi e il ministro dell’Interno era Bobo Maroni: 25mila tunisini fuggiti alla crisi politica ed economica. A circa 17mila venne dato un permesso temporaneo per permettere loro di fare quello che fanno la maggioranza dei migranti arrivati in Italia, a dispetto della percezione e dell’inutile demagogia: proseguire il viaggio verso altri Paesi europei (allora erano soprattutto diplomati e universitari) per raggiungere le terre d’Oltralpe. Ai francesi girarono le palle più che con Bartali e cercarono di rispedirli indietro con un tira e molla che durò mesi. Poi ci fu quella di minor portata del 2017 seguita all’amnistia in Tunisia che allarmò il sindaco di Lampedusa del Partito democratico, Totò Martello: chiese la chiusura dell’hotspot e parlò di tentativi di molestie da parte dei migranti nei confronti delle isolane.
E ora, davanti alla recrudescenza della crisi economica e politica acuita anche dalla pandemia – con la guerra in Libia ai suoi confini da cui arrivano libici in fuga dalla guerra e trafficanti di esseri umani – i tunisini arrivati in Italia sono 5mila su 14mila migranti sbarcati complessivamente nel 2020, ma questa volta sembrano essere intere famiglie che scappano in Europa, o meglio in Francia.
E come ogni volta che c’è di mezzo la Tunisia si assiste alla solita litania: polemiche, mediazioni e negoziazioni per il sostegno del Paese e la richiesta di far funzionare l’accordo bilaterale.
Infine il solito responso, in Italia: due charter alla settimana per i rimpatri che sono sempre stati due, ma ce li vendono ogni volta come novità e soluzione. Pur sapendo che ottanta rimpatri alla settimana è come svuotare l’oceano con un secchiello. E lo sanno tutti i ministri dell’Interno che si sono susseguiti
Nel frattempo la narrativa mediatica, che come sempre si concentra solo sulla polarizzazione del dibattito politico italiano e poco sugli scenari geopolitici del Mediterraneo, ci riporta la frase forte del premier Giuseppe Conte contro gli arrivi dei migranti irregolari, con allusione allegata sul rischio sanitario per i pochi fuggitivi dalla quarantena. Come se non fossero gli italiani ad essere il vero agente di contagio, dati alla mano.
Narrativa pericolosa in un momento di precarietà, instabilità, incertezze e frustrazioni in cui già lo straniero è di nuovo bersaglio della percezione che provoca astio. Morale: nulla di nuovo, nessuna discontinuità con il Governo precedente, se non nei toni. Il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, è preoccupata perché la crisi in Tunisia è seria e infatti il presidente tunisino Kais Saied ha visitato i porti di Sfax e Mahdia, nei luoghi da cui si imbarcano i cittadini convinti di avere diritto ad andarsene per cercare di scoraggiarli e dare un messaggio ai trafficanti. Nel frattempo sulla nostra sponda, la maggioranza al Governo litiga. Invece di pensare come evacuare i centri di detenzione in Libia, allargare i corridoi umanitari, potenziare i flussi legali. Avere insomma quella cosa lì che si chiama politica migratoria per smetterla di navigare a vista, facendo un favore a tutti i populisti che si sfregano le mani.
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