Ospite della trasmissione Chi l’ha visto? Ebla Ahmed, madre italiana e cattolica, padre yemenita e musulmano, ha commentato il video di un gruppo di uomini che celebrano un funerale con tradizione sciita. A pubblicarlo il padre di Saman Abbas, la ragazza diciottenne e di origini pakistane scomparsa a fine aprile a Novellara, in provincia di Reggio Emilia. Ora che il fratello minore ha di fatto raccontato le dinamiche dell’uccisione di Saman, che si era opposta a un matrimonio forzato con un cugino in Pakistan, sembra certo che la giovane sia l’ennesima vittima di una pratica ancora molto diffusa in diverse comunità. Saman Abbas è l’ultima delle delle vittime uccise dai parenti per essersi ribellate a matrimoni forzati. Prima di lei Sana Cheema, uccisa nel 2018, Sanaa Dafani, marocchina uccisa dal padre nel 2009, Hina Saleem, assassinata dal padre nel 2006, solo per citare alcuni casi e tante altre giovani pakistane che non hanno mai denunciato, che non hanno detto no a soprusi e barbare violenze familiari.

Senza Veli sulla Lingua

A commentare l’accaduto, Ebla Ahmed, un’avvocatessa che da anni combatte la violenza di genere in Italia. Ha fondato l’associazione Senza Veli sulla Lingua con l’obiettivo di aiutare le donne vittime di violenza a trovare la forza di denunciare, costruendo una rete di tutela che le protegga. Anche se non sempre ciò avviene. Quella dei matrimoni forzati è una pratica ancora molto diffusa in tutto il mondo ma che, come ricorda la legale dell’associazione Adalgisa Ranucci,  Saman non é stata aiutata dalla legge Codice Rosso, “che protegge la vittima sia se il reato sia commesso in Italia, sia all’estero da o ai danni di cittadini italiani o stranieri residenti in Italia”, spiega Ranucci. In un anno che ha reso particolarmente difficile contrastare la violenza contro le donne, NRW ha intervistato Ebla Ahmed per fare chiarezza su quanto accaduto a Saman Abbas e quanto accade ogni giorno in Italia alle donne vittime di tradizioni ancestrali.

Cosa non ha funzionato con Saman Abbas?

«In questo caso la rete territoriale è stata fallimentare. Andava inserita in una Casa Rifugio non in una comunità, bisognava isolarla e allontanarla dal contesto familiare. Invece le hanno lasciato il telefono, rendendola vulnerabile ai ricatti o forse al lavaggio del cervello da parte dei parenti, e quando lei è tornata a casa per prendere i suoi documenti, chi doveva proteggerla non l’ha fatto. Una ragazza in quella condizione deve tornare a casa solo se accompagnata dai carabinieri, ha bisogno di un supporto psicologico che la aiuti a capire e a sentirsi al sicuro. A Saman Abbas purtroppo è mancato questo».

Quella del matrimonio forzato è una pratica che colpisce maggiormente le donne?

«Il matrimonio forzato è una violenza, sempre, e lo è sia per uomini che per donne. La differenza è che davanti a un rifiuto un ragazzo viene perdonato, la ragazza viene costretta con la forza o, nel peggiore dei casi, uccisa. La rete di supporto dovrebbe essere in grado di proteggere una ragazza che ha trovato la forza di denunciare, eppure così non è stato».

Islam e matrimoni forzati, c’è veramente un nesso?

Io le parlo da musulmana ed è importante siano proprio i musulmani a spiegare che questa pratica non ha nulla a che vedere con la religione è una barbarie legata alla cultura. Non dimentichiamoci che fino a quarant’anni fa in Italia esisteva il delitto d’onore. Per capirci, l’islam sta ai matrimoni forzati come il Cristianesimo al delitto d’onore. È l’ignoranza l’ingrediente fondamentale

Dove si può intervenire per evitare che in futuro ci siano altre Saman?

«Bisogna partire dalle moschee per sensibilizzare le famiglie e intervenire con percorsi di formazione nelle scuole per raggiungere i giovani. Le ragazze a volte non frequentano le scuole superiori, perciò dobbiamo intervenire già a partire dalla scuola dell’obbligo. Una ragazzina delle medie che sente parlare di femminicidio ha una chance di sopravvivenza in più».

Eppure non si è parlato di femminicidio…

No, e mi batto molto per questo. Questo delitto va classificato come femminicidio non si può sottovalutare la situazione e ridimensionarla. Che differenza c’è tra la mano di un padre di uno zio e quella del marito?

Secondo il rapporto Eures il numero di donne straniere uccise nel 2020 è diminuito, come interpreta questo dato?

«Va precisato che il numero totale di femminicidi è aumentato nell’ultimo anno, per quanto le donne straniere siano meno del solito. Credo stia finalmente cominciando a funzionare il lavoro di sensibilizzazione, le donne straniere oggi sono più consapevoli reagiscono denunciando o fuggendo».

Un’associazione multiculturale come la vostra ha un impatto sociale più forte?

«Quando le donne vedono una squadra variegata come la nostra si avvicinano più facilmente, si fidano. Riusciamo a rappresentarle ad agganciarle meglio, e sentirsi dire certe cose da qualcuno che parla la tua lingua o crede nella stessa religione ha un peso diverso per loro».