No, il Covid non è stato una “livella” che ha messo tutti nella stessa condizione. In particolare non lo è stato nei Paesi in guerra, con un alto tasso di violenza diffusa o con regimi autoritari.
Purtroppo dobbiamo constatare ciò che è realmente avvenuto: chi deteneva il potere in maniera non democratica su un territorio o un Paese prima della pandemia, non importa se governo legittimo, gruppo armato, milizia o fazione terrorista, ha tentato di strumentalizzare la crisi per aumentare la propria influenza, accrescere il proprio territorio o la presa sui suoi abitanti, espandere il proprio potere, perseguitare le minoranze o cacciare gli indesiderabili.
Va detto che su quest’ultimo punto sono coinvolti anche i governi democratici che hanno trovato nel Coronavirus una scusa per giustificare le proprie politiche di chiusura alle migrazioni, di espulsione o di respingimento. Ma molto peggio è andata e sta andando laddove c’è violenza, guerra e non c’è democrazia vera. Sembra che il fatto che il mondo fosse distratto dalla pandemia abbia destato in alcuni il desiderio di approfittarne.
Dall’Africa sub-sahariana allo Yemen, l’appello inascoltato dell’Onu
In quasi tutti i quadranti di guerra non è stato accettato l’invito del segretario generale dell’Onu António Guterrez a chiamare la tregua, anzi in molti hanno deciso di avvalersi del Covid per testare gli avversari o prendere vantaggio.
In Siria e Yemen si è avuto un breve calo della violenza, subito ripresa per due conflitti quasi dimenticati che ancora fanno tanti morti. In Libia abbiamo assistito all’escalation dovuta agli attacchi di Haftar e alla reazione turca. Quest’ultima ha addirittura creato situazioni di “quasi guerra” nel Mediterraneo contro gli alleati della NATO. Nel Sahel africano aumenta la violenza in Mali, ormai preda del caos politico militare, e in Burkina, un Paese quasi fallito. Addirittura i jihadisti del Sahel si stanno scontrando duramente tra di loro (una specie di “guerra di mafia” per la supremazia), cioè tra quelli che sostengono la linea al-Qaeda e gli affiliati all’ISIS, senza che ciò li indebolisca davanti alle forze franco-africane.
Intanto gli attacchi contro i civili sono aumentati lungo tutto il periodo pandemico. In Mozambico settentrionale, nella provincia di Cabo Delgado, gli islamisti armati hanno moltiplicato gli attacchi, occupando i capoluoghi di distretto senza difficoltà. Così a nord est della Nigeria, ma soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo. In quest’ultimo Paese, il periodo del Covid è stato terribile: 480.000 profughi hanno dovuto lasciare la regione dell’Ituri, dove è in corso un duro scontro tra governo e ribelli. Si tratta del 75% di tutti i profughi creati durante il periodo della pandemia.
L’Ituri è appena uscito dall’Ebola e questo nuovo conflitto ha distrutto tutte le cliniche e i punti di sanità creati durante quella crisi. Se arriva anche il Covid non c’è più alcuna protezione.
Non solo Bolsonaro
In America Latina molte guerriglie hanno rialzato la testa. Seppure l’ELN abbia dichiarato una tregua di un mese (già terminata), ciò che resta delle FARC ha interpretato il Covid a modo suo, facendo pressioni sulla popolazione perché il lockdown fosse rispettato. Così ha potuto muoversi più liberamente nel contrabbando, ma anche trasformarsi in procacciatori di cibo e medicine.
Lo stesso hanno fatto alcuni cartelli della mala locale in Colombia e i narcos messicani. Dal canto suo, il governo colombiano di Duque (sostanzialmente contrario alla pace voluta dal predecessore Santos), ha fatto altrettanto chiudendo la frontiera con il Venezuela e obbligando i numerosissimi frontalieri – che sopravvivono di piccoli commerci sul confine – ad attraversare la frontiera nei passaggi controllati dai ribelli, pronti a taglieggiare o peggio.
A sud del Messico la frontiera era già chiusa prima della pandemia a causa delle pressioni USA sulle migrazioni: ora è sbarrata a nord anche per il commercio, mettendo a repentaglio le stesse imprese americane che hanno delocalizzato o investito in Messico.
In Brasile un governo dissennato si serve della pandemia per isolare ancor più i poveri e le parti arretrate del Paese: sembra quasi essere tornati ai tempi della dittatura fazendero-militare.
Gli scontri in Asia
In Asia, Cina e India hanno scelto questo “tempo sospeso” per scontrarsi al confine della zona himalayana dove la frontiera è contesa. A Hong Kong la repressione si è acuita. La Corea del Nord, della quale non è dato sapere se il leader si sia davvero ammalato, ha distrutto la sua base per i colloqui con la Corea del Sud. Subito il Giappone ha detto di essere pronto a valutare un attacco preventivo. Il governo del Bangladesh sta utilizzando questo periodo per pressare ancora di più sui profughi rohingya in modo che rientrino o se ne vadano.
Va detto che la chiusura delle frontiere lascia in generale chiunque stia in un campo profughi con poche risorse e quasi nessuna prevenzione o cura medica. Le ong internazionali hanno spesso ritirato o diminuito il loro personale mentre le agenzie dell’Onu lavorano a rilento.
Oltre i casi citati ve ne sarebbero molti altri. Tuttavia ciò basta a dimostrare che la pandemia non ha trovato né sta lasciando tutti allo stesso modo. Troppi sono coloro che ne stanno approfittando per rendere il mondo un luogo peggiore. Bisogna saperlo, occorre ripeterlo continuamente. Soprattutto è necessario reagire.
Immagine: morning brew / unsplash