Se c’è una cosa che non può proprio ascoltare, dopo quarant’anni di battaglie contro il regime iraniano, è la distinzione fra falchi e colombe. Per Davood Karimi, presidente dell’associazione dei rifugiati iraniani in Italia, sono tutti ayatollah. Sciacalli che opprimono il suo popolo senza pietà e sbranano gli scheletri degli oppositori, rimasti a terra dopo essere stati ammazzati. E lo chiarisce subito, all’inizio della nostra conversazione. Anche perché il ministro della Giustizia di questo governo che cerca di rappresentare un volto più riformista è l’ultraconservatore Ebrahim Raisi, che negli anni Ottanta ha condannato a morte decine di migliaia di prigionieri.
In Iran non esiste alcuna demarcazione fra conservatori e riformisti. Sono tutti uguali, complici delle stragi del terrorismo internazionale islamista in tutto il mondo.
E ora che è scoppiata una nuova rivolta in 150 città, con centinaia di morti, non ha tanta voglia di parlare del casus belli che ha innescato nuovamente la protesta. «Il carovita e l’aumento del prezzo della benzina hanno acceso una miccia mai spenta perché gli iraniani sono scavati dalla rabbia e dalla frustrazione». Davood Karimi, che a Roma chiamano tutti solo Davide, è arrivato in Italia dopo la rivoluzione del ’79. E infatti dice con ironia:
Ho fatto la rivoluzione e sono scappato. Avevo 18 anni, volevo studiare e diventare medico. Sono partito, convinto di avere lasciato un Paese libero e mi sono trasferito a Torino per frequentare l’università, ma due anni dopo ho abbandonato gli studi per dare assistenza a tutti i rifugiati che fuggivano dalla repressione.
E lo fa ancora oggi, davanti all’ennesima protesta silenziata dalla Guida Suprema. Con Internet oscurato, i cadaveri e i feriti portati via dagli ospedali dai Pasdaran per cancellare ogni segno della protesta. «Le notizie arrivano comunque e si calcola che i morti siano già 300», spiega Davood Karimi dopo una giornata passata a sgolarsi davanti a Montecitorio con alcuni rifugiati per chiedere al governo di essere più coraggioso e tentare di impedire al ministro degli Esteri Luigi Di Maio di incontrare il suo omologo Mohammad Javad Zarif a margine della conferenza Med Dialogues prevista dal 5 al 7 dicembre a Roma. Lui non lo dice, anche perché dopo 40 anni in Italia non ha ancora la cittadinanza e si considera un ospite, ma pensa che questo incontro sia un oltraggio inaccettabile davanti alle stragi degli ultimi giorni: 300 morti, 3000 feriti, 1000 arresti.
L’Europa deve assumere una posizione netta e non basta condannare la repressione, bisognerebbe chiudere tutte le ambasciate. E fermare una volta per tutte la politica di espansione islamista in tutto il globo. Non si fanno affari con un regime che organizza e finanzia il terrorismo in tutto il mondo. Ora sta lottando per la propria sopravvivenza e se ha oscurato il web è disposto a tutto.
E pare un po’ sconcertante che quest’uomo, due figli italiani che studiano all’università e lo hanno seguito nella battaglia per i diritti umani nel Paese che solo quest’anno ha impiccato 9 minorenni (secondo Amnesty International e Nessuno Tocchi Caino e le Nazioni Unite, dal 2010 le esecuzioni dei minorenni sono state 140 e nei bracci della morte ce ne sono altri 90), non abbia ancora mollato la presa.
«Ho vissuto in Iran solo 18 anni, di fatto sono italiano, ma fino all’ultimo respiro mi batterò come posso perché le donne in Iran siano considerate alla pari degli uomini, non vengano uccise e lapidate o date in sposa a 9 anni. Continuerò a farlo perché sono un rifugiato politico e questa è la mia unica identità. E la mia unica ideologia è e sarà sempre la stessa: rovesciare il regime degli Ayatollah». Venditore di tappeti persiani, Davood Karimi ha superato ogni sorta di difficoltà. E per un periodo si è trovato senza negozio, sulla strada a fare il venditore ambulante. Ne parla con serenità, come se fosse stato solo un incidente di percorso perché la sua unica ossessione è la libertà negata al suo popolo. Cita a memoria tutte le 40 risoluzioni del Parlamento italiano contro il regime iraniano.
Io sono un ospite e ora posso fare solo delle raccomandazioni, ma l’Italia è un Paese debole che non ha una politica estera e questo è un boomerang che tornerà indietro. Come lo è con la politica interna che ha portato il Paese a cedere al populismo contro gli immigrati.
Davood Karimi potrebbe parlare ore della resistenza iraniana, fare la lista dei politici italiani che hanno cercato di opporsi al regime iraniano e quelli che hanno continuato a voltare la faccia persino davanti all’ultima strage dei manifestanti. Ma per gli italiani che lo hanno accolto, dato asilo e aiutato a rialzarsi quando aveva perso il negozio, ha solo parole di stima e di gratitudine.
Quando sono arrivato in Italia a 18 anni, ho pensato di essere a casa per l’ospitalità e la generosità con cui sono stato accolto. Ora è cambiato tutto, la frustrazione e la rabbia porta le persone ad avere bisogno di un nemico straniero su cui sfogarsi.
Ora il presidente dell’associazione dei rifugiati iraniani ha un piccolo negozio dove insegna ai suoi connazionali anche l’arte del restauro dei tappeti per aiutarli ad avere un lavoro. «Il mio lavoro è mettermi a disposizione dei rifugiati. E di chi, in fuga, passa dall’Italia perché ormai quasi nessuno si ferma». E ora? «Posso solo chiedere al governo italiano di alzare la testa contro il regime del terrore. Perché questo è il mio Paese, certo, dove mia figlia ha scelto di studiare in una scuola cattolica e vive come i suoi coetanei, ma il cuore è sempre lì, dove le persone vengono uccise, impiccate, lapidate e torturate dal 1981 in nome di Allah».