«Oh, come sarebbe meravigliosa l’opera se non ci fossero i cantanti!» La celebre frase di Gioacchino Rossini, il noto compositore italiano autore di opere buffe e drammi giocosi come Il barbiere di Siviglia e La gazza ladra, ben riassume la storia che sto per raccontarvi attinta dal mondo dello spettacolo.

Alina (nome di fantasia per ragioni di privacy) è una mezzosoprano verdiana molto conosciuta e mi viene presentata da un nostro assistito di lunga data, anche lui cantante lirico, originario dell’Azerbaijan. Il suo repertorio è straordinario, la sua vita è una tournée continua in giro per il mondo. Canta nei teatri più famosi al mondo, dal Metropolitan Opera House all’Opéra National di Parigi, passando ovviamente per il Teatro alla Scala. Alina è una donna affascinante ma l’altro lato della medaglia è che allo stesso tempo sembra stanca di passare la sua vita chiusa in camere d’albergo, per belle che siano. Arriva nel mio studio e mi spiega che vorrebbe stabilirsi in Italia, affittare un appartamento e tornarci ogni volta che deve studiare un nuovo ruolo o riposarsi, fare shopping e godersi il suo nuovo flirt.

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I visti dello spettacolo per lavorare con la musica lirica

I cachet di Alina le consentono una vita sicuramente agiata e può dimostrare di avere dei compensi più che sufficienti per sostentarsi in Italia, secondo i parametri previsti dalla normativa sull’immigrazione. Gli artisti “di chiara fama” possono infatti fare ingresso in Italia con un visto di lunga durata e stabilirsi nel nostro Paese con un regolare permesso di soggiorno. Il Maestro pesarese non immaginava forse che, nel mondo globalizzato del XXI secolo, il pubblico melomane avrebbe visto moltissimi artisti stranieri calcare le scene dei grandi e piccoli teatri di lirica italiani. D’altra parte, l’Italia è il Paese della musica lirica. Terra natale di compositori universalmente noti e meta di studio per numerosi aspiranti cantanti e musicisti, che si formano nelle nostre accademie e conservatori. Ho avuto la fortuna di assistere alcuni noti cantanti, allora emergenti, nel disbrigo delle pratiche di visto e soggiorno in Italia. Ho incrociato e seguito molte storie di musicisti, cantanti e compositori, spesso asiatici o provenienti dai Paesi dell’ex Unione Sovietica.

Non solo per gli artisti stranieri meno famosi il percorso per stabilizzare la propria permanenza in Italia è una giungla di trafile burocratiche, ma anche per i big le procedure per l’ingresso ed il soggiorno in Italia possono diventare kafkiane

Pur avendo pochissimi giorni per preparare il dossier di Alina, mi appassiono alla sua storia e, rincorrendola tra prove, viaggi e recite, il 23 dicembre 2019 riesco ad ottenere dalla Questura di Milano il nulla osta provvisorio al suo ingresso. Le consegno l’incartamento e ci salutiamo per aggiornarci in vista dell’appuntamento presso il Consolato d’Italia nel suo Paese di origine. Questo è il momento cruciale per ogni straniero che voglia vivere stabilmente in Italia perché l’ultima parola spetta all’Ufficio visti della rappresentanza italiana compente nel Paese di provenienza. Ottenere l’ambito permesso di soggiorno per lavoro autonomo consente, non solo di entrare ed uscire dall’Europa senza dover richiedere un visto di breve durata ogni volta che si deve entrare per lavoro, ma anche e soprattutto di viaggiare all’interno dell’Europa con un titolo di soggiorno europeo, riconosciuto in tutto lo spazio Schengen.

I contratti del mondo dello spettacolo

A gennaio, al rientro dalla pausa natalizia, inizio a comunicare via mail con il responsabile dell’ufficio visti del competente Consolato d’Italia, anticipando la richiesta della mia assistita. Chiedo di poter fissare un appuntamento alla fine di gennaio per consentire ad Alina di presentarsi di persona a depositare la richiesta, incastrando l’incontro tra un concerto ed una performance.

L’agenzia di Alina, con sede a Londra, mi supporta al meglio, ma non riusciamo ad avere tutti i contratti firmati per l’anno 2020 dai teatri italiani, che hanno già selezionato la cantante per una serie di concerti, ma che non hanno ancora messo nero su bianco gli accordi contrattuali

I numerosi ingaggi degli anni precedenti, i concerti già in cartellone nei programmi dei teatri per la stagione 2020, ancora ignari della scure della pandemia che stava per scoppiare, riportavano il nome di Alina e ne confermavano la notorietà e l’impegno lavorativo in Italia e nel mondo. Tuttavia, per ottenere un visto di lungo periodo, la categoria dei lavoratori autonomi dello spettacolo deve esibire «copia dell’atto contrattuale di lavoro autonomo, con firma autenticata del gestore, del titolare della licenza di esercizio, dell’impresario o di un legale rappresentante, che garantisca al lavoratore un compenso di importo superiore a quello previsto dai contratti nazionali per le categorie di lavoratori subordinati con qualifiche simili». Alina ha in mano almeno due contratti firmati in Italia per i primi mesi del 2020, uno con l’Accademia di Santa Cecilia di Roma ed uno con la Scala di Milano. Gli altri ingaggi sarebbero ovviamente arrivati, ma nel mondo della lirica è praticamente impossibile avere in mano le carte di recite che si svolgeranno così avanti nel tempo.

La burocrazia insensata del mondo della musica lirica

L’appuntamento con il funzionario va malissimo. Alina è una prima donna e detesta aspettare. Quando finalmente la riceve un funzionario italiano, la tratta con sufficienza. Dopo aver visionato i documenti, il nostro funzionario all’estero si rifiuta di protocollare la domanda di visto in quanto sostiene che i contratti di Alina non rispondono al requisito richiesto dalla norma: proverebbero un’attività lavorativa saltuaria e non continuativa sul territorio nazionale e, dunque, non sufficienti al rilascio del visto. Richiedere che l’attività professionale di una cantante sia continuativa e di lunga durata, magari con lo stesso committente, vuol dire non avere idea di come funzioni il mondo dello spettacolo. Alina ha un passaporto zeppo di visti per cantare in tutto il mondo: chiedere l’autorizzazione a stabilirsi in Italia l’avrebbe portata a pagare le tasse nel nostro Paese, anche solo per rinnovare il permesso di soggiorno, che in prima battuta, viene rilasciato per la durata di un anno. Se l’artista non apre una posizione fiscale non paga i tributi a fine anno o, ancora peggio, non lavora, e non potrà rinnovare il suo permesso in Italia. Che vantaggio trae il nostro Paese nel bloccare queste candidature?

Ricordo ancora la telefonata di Alina, una volta uscita dal Consolato italiano. Era furibonda. Ancora agitata e offesa, mi ha raccontato concitata: «Pensa che il funzionario mi ha detto: “Signora, poteva anche essere Bruce Springsteen, ma senza contratti io il visto proprio non glielo posso dare.”».

Per informazioni o assistenza potete contattarmi via mail a irene.pavlidi@studioincipit.eu o tramite la redazione@nuoveradici.world

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Foto di Irene Pavlidi: Pier Francesco Lanzillo