Siamo a Castel Volturno, in provincia di Caserta. L’allenatore della squadra di basket locale, TamTam, si chiama Vittorio Scotto di Carlo e sa che, negli ultimi giorni, la sua squadra è stata al centro dell’attenzione generale non per le sue vittorie, ma per la sua storia. TamTam è nata nel 2016 grazie all’iniziativa di Massimo Antonelli, ex campione italiano di basket, che qui ha avviato un progetto che raccoglie, attorno e dentro il campo, un gruppo di ragazzini figli di immigrati stranieri. «Ragazzi che in teoria, per la legge italiana, sono stranieri fino al compimento dei 18 anni. Ma in pratica sono italianissimi, tutti nati in Italia».

Tra la pratica e la teoria, cos’è successo?

«È successo che due anni fa la Fip, la Federazione Italiana pallacanestro, ha deciso di tesserare i ragazzi, in deroga alla norma vigente. La Fip fu elastica, bisogna dirlo. E grazie ad una norma creata ad hoc per noi dall’allora ministro Lotti, i ragazzi hanno potuto disputare campionato regionale. L’anno scorso, contro ogni pronostico, il campionato l’abbiamo pure vinto. Quindi ci siamo posti come obiettivo campionato di eccellenza, che è nazionale. Ma qui siamo stati fermati dalla Fip, perché la regola è che non possono essere iscritti più di due stranieri per squadra. Una regola che trovo corretta».

Come, scusi? Trova corretta la regola che vi esclude dal campionato nazionale?

«Certo! Negli anni passati alcune squadre che volevano vincere a tutti i costi hanno messo in campo molti stranieri, andando a prenderli all’estero, giusto il tempo per farli giocare in Italia. Ma questo è un altro discorso. Io difendo i diritti di ragazzi italianissimi».

Quindi, cosa chiede?

«Noi siamo uomini di sport, non politici. Ma TamTam sta diventando lo snodo per un evento storico inevitabile. Prima o poi ci sarà uno ius soli sportivo, è evidente. Serve una rivoluzione culturale e certo non possiamo pretendere che a farla sia la Fip, che ha giustamente espresso quel che la legge esprime. E se la legge è scarna, o peggio se c’è un colpevole vuoto legislativo, tutto ne consegue».

Coach, questi sono concetti astratti. Nella pratica?

«Ragazzi nati in Italia da genitori stranieri sono già considerati italiani dai loro coetanei, i futuri cittadini ed elettori. Io insegno a scuola, che non ha barriere ed è chiamata ad accogliere, a non fare differenze. Quindi la mattina i ragazzi in classe li consideriamo tutti i pari e chiediamo loro di esserlo, nel pomeriggio li dividiamo? Non sono un legislatore, non so cosa potesse o non potesse fare la Fip. Di sicuro, lasciarli giocare sarebbe stato un atto di grande coraggio. In una sola cosa ha sbagliato».

In cosa?

«Nel comunicato che ha diramato, molto asciutto, ci suggerisce “in nome della piena integrazione e del miglioramento tecnico dei propri atleti”, di prestare i ragazzi ad altre società. Mi viene da ridere».

Perché, scusi?

«Perché è una risposta da burocrati. Hanno capito cos’è Castel Volturno? Qui c’è una situazione di grandissimo disagio sociale. La povertà è radicata, i ragazzi vivono situazioni familiari pesantissime. Non ci sono autobus, arrivano in palestra a piedi, stremati, poi tornano a casa nel buio pesto. È un miracolo sportivo il solo fatto che siamo riusciti a toglierli dalla strada e tu cosa fai, suggerisci che vadano, chessò, a Caserta?».

I ragazzi come l’hanno presa?

«Non voglio fare discorsi perbenisti: a qualcuno è dispiaciuto, altri sono contenti comunque. Aver vinto in campionato per loro è già una enorme conquista. L’amaro in bocca resta a noi. Come educatore gli dici di alzare l’asticella della loro vita, di puntare in alto, di fare sempre meglio. E ora? Cosa gli dovrei dire? Mi spiace ragazzi, non siamo come gli altri, ora vi dovete fermare».

A proposito di perbenismi. Cosa risponde a chi le dice che praticate un razzismo al contrario?

«Prima di iniziare la mia avventura con TamTam non mi rendevo neppure conto di quanti immigrati vivessero a Castel Volturno, e con loro i loro italianissimi figli. Qui di fatto c’è una cittadina di persone di pelle nera. Se n’è reso conto subito Massimo Antonelli, che è un grandissimo talent scout di invisibili. Ha trovato un palazzetto, ha avviato un crowfunding, ha dato vita ad un grande progetto. Ma la verità è che non abbiamo ragazzini bianchi perché non vogliono venire ad allenarsi qui».

Se lo facessero, le porte sarebbero aperte?

«Certo, ma faccio notare che l’inclusione non si fa dall’oggi al domani, non la fa TamTam. L’inclusione si fa nel lungo periodo, con iniziative serie e azioni sociali di ampio respiro. Dopodiché sì, mi è capitato di invitare altri ragazzini cui insegno a scuola, ma i genitori dicono di no, hanno paura. Non sono abituati, non hanno una cultura aperta. L’Italia non è razzista, è dura a capire».