Mi chiamo Djimba Diouf, ho 26 anni, sono nato in Senegal e vivo a Bergamo. Sono arrivato in Italia nel 2006 e ho iniziato a frequentare la scuola dalla terza media. E siccome avevo difficoltà con la lingua italiana, ho perso un anno. Alle superiori, ho scelto di frequentare il liceo scientifico, con indirizzo linguistico. Dopo due anni però mio padre mi ha spinto a lasciare il liceo per un istituto professionale turistico. Per mio padre era importante che avessi un titolo di studio che mi desse la possibilità di trovare subito un lavoro, senza dover fare l’università.

Di solito, i genitori, soprattutto i padri, cercano di fare un progetto. Quando fai arrivare tuo figlio dal Senegal in Italia, cerchi di indirizzarlo verso il mondo del lavoro. Per cui se il figlio ha un altro progetto di vita, un’ambizione e vuole studiare, diventa una cosa complicata. Mi spiego meglio. Se tu da una parte hai questa ambizione, dall’altra i tuoi genitori hanno già scelto per te. Per cui diventa un po’ difficile. Di solito, noi figli maschi siamo più indirizzati verso il mondo del lavoro dai genitori e non andiamo all’università per questo motivo, mentre le figlie, avendo la possibilità di stare a casa, riescono a investire di più negli studi. Io, ad esempio, ho dovuto combattere per poter studiare, i miei genitori sono analfabeti, hanno studiato solo nella scuola coranica. Ironia della sorte, se ho raggiunto i miei traguardi, è stato per merito del mio papà che ha sempre sofferto di non avere un’istruzione. Per lui, anche solo compilare il modulo per il permesso di soggiorno, era una difficoltà. Quando sono arrivato in Italia, il suo progetto per me era darmi una formazione professionale di tre anni e poi un lavoro, invece io avevo altri progetti e questa differenza di vedute ha creato un conflitto fra noi. Mia madre all’inizio mi ha sostenuto molto, ma si sa che la strada dello studio è più lunga, per cui anche lei era impaziente. Mi sono diplomato in tempo nel 2011 e poi ho mandato subito in giro il mio curriculum, ma non avendo avuto risposte ho deciso di iscrivermi all’università. E così, siccome il tempo trascorre veloce, e per me non aveva senso stare in attesa, ho pensato che fosse meglio continuare a studiare. Per fortuna, alla fine sono riuscito a convincere mio papà e mi sono iscritto all’Università di Bergamo, alla facoltà di Lingue e letterature straniere: mi sono laureato nel 2016 nella sessione straordinaria, nel frattempo mi ero già iscritto alla specialistica in Lingue moderne per la comunicazione e la cooperazione. Ho fatto un percorso per ottenere un doppia laurea, per cui ho fatto un anno di specialistica a Bergamo e l’altro in Francia a Lione, dove ho frequentato il corso di Commercio internazionale e lingue applicate. A Lione è stato un intenso e impegnativo, ma i miei sacrifici mi ha permesso di arrivare, il 4 aprile di quest’anno, alla doppia laurea, sia in Francia che in Italia. Nel frattempo, da ottobre 2017, ho iniziato il servizio civile al Cesvi di Bergamo, in cui sono stato inserito nell’area raccolta fondi e faccio l’assistente del responsabile dell’area digital che gestisce sia il sito istituzionale, sia l’e-commerce. I miei genitori sono tornati in Senegal cinque anni fa, mentre ero in Francia per l’Erasmus, durante la triennale. Mio padre ha vissuto vent’anni in Italia, faceva il metalmeccanico. Nel 2013, ha deciso di tornare indietro a causa della crisi economica e, visto che ero in Francia e riuscivo a badare a me stesso, ho deciso di non seguirli in Africa. Purtroppo, aver studiato all’estero mi ha allontanato dalla possibilità di ottenere la cittadinanza italiana perché, al ritorno dalla Francia ho dovuto ricominciare tutto da capo e rifare le pratiche. La mancanza di cittadinanza mi penalizza molto. Il mio obiettivo è quello di lavorare con l’Agenzia italiana per la cooperazione, ho studiato tanto per questo. Non posso neanche partecipare ai bandi di concorso, perché il primo requisito richiesto è la cittadinanza. Ho scelto il mio percorso universitario per lavorare nella cooperazione, per essere un ponte tra le culture. Amo la definizione di “nativi cooperanti” perché sono nato in Africa e mi identifico con tutti quelli che aiutiamo attraverso i nostri progetti. Avendo vissuto sia in Senegal sia in Italia, siamo dei facilitatori: ci sentiamo a nostro agio nelle relazioni internazionali. Il mio sogno? Essere un giorno un ambasciatore.

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