La cronaca è nota. Un piccolo paese, questo si chiama Arigliana, in Lucania, cinquanta case e duecento abitanti, “invaso” dai migranti, che poi sarebbero sette poveri cristi finiti più a Sud di Eboli dove nemmeno Lui era andato oltre. Il libro di Carlo Levi spunta da più parti in questo straordinario romanzo di Giuseppe Catozzella, poco più che quarantenne e già vincitore di un Premio Strega Giovani.
In E tu splendi, l’arrivo dei migranti che appaiono come dal nulla nel buio di un luogo abbandonato è l’occasione per raccontare l’incontro dal vivo di una comunità ancestrale del Sud profondo, ma non sarebbe certamente diverso nel Nord in apparenza più evoluto, per la prima volta faccia a faccia con i “diversi”.
L’incontro con Pietro, il protagonista del libro, un adolescente, poco più che un bambino, parte dalla più elementare constatazione a cui si accompagna il primo dubbio: «Loro hanno scoperto i visi e ho visto la faccia della fame. Mamma mia, che brutta. Una cosa più brutta al mondo non l’avevo vista mai (…) Non riuscivamo a capire se erano come noi oppure diversi. Mica so’ marziani».
Quella che segue sarà una storia di difficile integrazione. Di accoglienza interessata, di sfruttamento con ricadute pure sulla popolazione locale fino all’epilogo di una tragedia consumata e poi seppellita sotto la polvere, pur di non fare i conti con una realtà che si fa troppo scomoda.
Una storia raccontata attraverso lo sguardo di Pietro che ogni anno in quel paesino lucano trascorre tre mesi di vacanze insieme alla sorella Nina. A casa dei nonni perché la mamma è morta da tempo e il papà verrà più tardi, per rimanere al Nord a lavorare, «in via Gramsci, in un posto alla periferia di Milano che chiamiamo Milanox (perché è un incrocio tra Milano e un luogo malfamato che si chiama Bronx)». Arigliana è un paesino italiano come tanti. Con un torrente, una torre normanna dove si nascondono i rifugiati mai accettati e vittima dei pregiudizi di sempre. «Qua non è mai arrivato nessuno mo’ arrivano in sette che è pure il numero della sfortuna. (…) Si porteranno via gli uomini nostri. Si capisce lontano come da qui alla Fontana di Maria Bambina. (…) Ne arriveranno altri, tra poco, vedrai. Faranno come abbiamo fatto noi in Germania e in America. Si prenderanno il tuo bar e tutto il resto. Si prenderanno i nostri lavori».
Le paure di sempre. Viste mille volte alla televisione e sui giornali. Dove a pregiudizi si sommano pregiudizi, difficili da capire agli occhi di Pietro che diventerà improvvisamente grande dopo questa estate, recuperando pure la memoria che credeva perduta della madre.
Pietro è ancora adolescente ma dopo essersi misurato con questo suo coetaneo dalla pelle scura, farà ancora più fatica a comprendere i discorsi che i vecchi e non solo loro fanno al bar del paese, di fronte all'”invasione” degli stranieri. «Lo so che questi fanno quello che abbiamo fatto noi, solo che loro sono cattivi mentre noi invece siamo lavoratori. Noi andiamo nei posti dove c’è lavoro, questi vengono qua dove non ce n’è manco per noi. Ci vogliono rubare il poco che abbiamo, sti maiali».
Il paese è piccolo. L’economia è contadina, Gli interessi sono feroci. Dietro tutto manovra zi’ Rocco, il possidente che tiene tutti nella miseria. Sarà sempre lui a manipolare le coscienze quando succederà qualcosa di brutto. Accettato da tutti come il cambio delle stagioni, il maturare delle spighe di grano o la crescita degli ulivi con i loro frutti. «Qualcuno doveva avere la colpa: la sventura non arriva da sola, c’è sempre qualcuno che la porta». Una verità che Pietro e gli stranieri non potranno mai accettare. Una verità che Pietro renderà uomo, un uomo migliore si spera, alla fine di questa estate che sarà per lui un momento di straordinaria crescita.