Nicola Lagioia, 45 anni, di Bari, è scrittore e direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino. Nel 2001 esordisce con Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (senza risparmiare se stessi) pubblicato da minimum fax. Nel 2010 con Riportando tutto a casa edito da Einaudi vince il Premio Viareggio. Il Premio Strega arriva nel 2015 con La ferocia pubblicato da Einaudi, che presto sarà anche un film con la sceneggiatura dello stesso scrittore. Per anni Nicola Lagioia è stato uno dei selezionatori della Mostra del Cinema di Venezia.
Nicola Lagioia secondo l’Onu nei prossimi 30 anni 7 milioni e mezzo di africani lasceranno il loro Paese. Molti cercheranno di arrivare in Europa. C’è chi dice “invasione”. Come si risponde a questo sentimento di paura?
A problemi continentali, soluzioni continentali. Credo che il sentimento di paura non passerà fino a quando (se le stime dell’Onu sono esatte) non si troverà una soluzione — pacifica, civile, e non disastrosa per nessuna delle parti — a questo esodo. Se l’esodo sarà così vasto, la soluzione non potrà non essere sovranazionale. Quello che servirebbe, insomma, è una politica europea efficace, razionale, e umana, di concerto con la politica dei diversi Paesi africani coinvolti. Ma questa politica europa di cui sto vagheggiando mi sembra che manchi, o che sia troppo debole. Mancava purtroppo, o era insufficiente, anche prima dell’onda populista.
Gli episodi di intolleranza verso gli stranieri non si contano più. Siamo diventati un Paese razzista? Lo siamo sempre stato?
Siamo un Paese molto fragile. Un Paese istituzionalmente fragile, innanzitutto. La paura discende proprio da questa fragilità, da questa debolezza intrinseca delle istituzioni. Che quanto più alzano la voce, tanto più mostrano la propria debolezza.
Cosa si può fare davanti ai troppi giovanissimi che maneggiano gli insulti razzisti sui social con inquietante leggerezza?
Investire in istruzione, e in formazione. Esattamente ciò che l’Italia non fa da decenni.
L’accoglienza sempre, come dicono pure il Papa e la Chiesa, è praticabile? Basta essere “buoni”?
Non bisogna essere buoni, bisogna essere razionali. Razionalità e umanità vanno quasi sempre d’accordo. Chi sfrutta la paura a proprio vantaggio è furbo, al limite assetato di potere, non razionale.
L’immagine del piccolo Alan annegato su una spiaggia turca ha fatto il giro dei media del mondo. È diventata parte dello spettacolo?
Temo sia diventata parte dello spettacolo. Emozionarsi e indignarsi forse serve, ma se all’emozione non segue qualcosa di concreto non si fa altro che ingrossare l’onda emotiva che (in qualunque direzione si muova) mi sembra uno degli involontari protagonisti della politica di questi anni.
Secondo l’Istat ci sono 1 milione 100 nuovi italiani: sono anche chirurghi, imprenditori, ricercatori, eppure invisibili… Si fa finta di non vederli, un alibi per non occuparsene?
Sarà impossibile non vederli quando le seconde e le terze generazioni entreranno definitivamente nella vita civile, lavorativa, politica di questo Paese.
I nuovi italiani che vincono nello sport o eccellono nello spettacolo vengono osannati. Siamo rimasti alla Capanna dello zio Tom, lo schiavo che ci piace solo se sta al suo posto e non disturba?
Non mi pare che vengano osannati. Vengono visti piuttosto come degli alieni. Siamo a prima della Capanna dello zio Tom.
La letteratura, il teatro, il cinema, si sono sempre occupati di migrazioni e migranti. Gli intellettuali, gli scrittori, che ruolo possono avere in questo dibattito?
Gli scrittori possono anche non avere nessun ruolo. Il compito di uno scrittore (se per scrittore intendiamo chi si occupa di letteratura di finzione) è scrivere buoni romanzi, buoni racconti, buone poesie. Il suo compito inizia e finisce lì. Ed è moltissimo, quando viene scritto un nuovo libro di livello. La buona letteratura è sempre preterintenzionale, capita che svolga un ruolo anche ulteriore rispetto alle finalità immediate. Stessa cosa per il cinema e per il teatro. Non devono essere per forza impegnati, e non sono rari i casi in cui si ritrovano a fare il bene della società quanto meno sono impegnati socialmente. Gli intellettuali, al contrario, si caricano addosso una maggiore responsabilità.